Elezioni

Quello che non ho mai capito della sinistra

La sinistra italiana ha sempre avuto la vocazione a farsi male da se stessa. Basta ripercorrerne anche sommariamente la storia, dalla fondazione del Psi nel 1892 ai giorni nostri, per accorgersi che, tra scissioni e ricomposizioni, non c’è stato passaggio cruciale della storia nazionale che non l’abbia vista mettersi dalla parte del torto. Una sorta interminabile di sindrome di Tafazzi, il mitico personaggio altaniano che, per sentir bene, si martellava gli attributi.

L’ultimo episodio su cui merita di spendere qualche parola è quello delle primarie del Partito democratico per scegliere il candidato sindaco di Milano, dove l’uscente Pisapia non si ricandida. Si è votato sabato 6 e domenica 7 febbraio, ha vinto Giuseppe Sala, ex commissario dell’Expo, ex collaboratore di Letizia Moratti, sindaco del centrodestra. Sala è uno che ha tante probabilità di essere un progressista quante ne ha un macellaio di essere vegetariano.

Voluto a tutti i costi da Matteo Renzi, Sala ha vinto con meno di venticinquemila voti (su un tale di sessantunomila espressi), mentre due candidati considerati di sinistra (Francesca Balzani e Pierfrancesco Majorino) hanno ottenuto poco meno del 60 per cento dei voti espressi. E’ difficile capire come mai i due candidati della sinistra non abbiano trovato il modo di presentarsi uniti, magari, come si dice in gergo, in tiket: nessuno ce lo spiega, nonostante che i fiumi d’inchiostro siano copiosi e lo strombazzamento grande e poco giustificato, visto che hanno votato sessantamila persone su un milione di elettori!

Anche la carriera di Renzi ebbe un passaggio decisivo nel 2009, alle primarie per il comune di Firenze, dove vinse con circa il 40 per cento dei voti perché i suoi avversari si divisero: ne ricordo almeno tre, Michele Ventura, Daniela Lastri e Lapo Pistelli. Come si dice: errare umanum, perseverare diabolicum est. I giornali degli ultimi tempi hanno pubblicato svariate interviste a Pisapia, che non ha mai mancato di far riferimento a un “metodo” che gli ha permesso, cinque anni fa, di conquistare Milano. E tutto questo cartesiano discorso sul metodo non ha saputo produrre che una strategia per la sconfitta certa.

Partecipare è importante, più importante che vincere. Ma bisogna partecipare con la speranza di arrivare primi, bisogna per lo meno provarci. C’era qualcuno a Milano che pensava che Francesca Balzani o Pierfrancesco Majorino avrebbero potuto vincere da soli con tutto l’ambaradan legato al governo e alla borghesia benpensante schierato con Sala? Dicevano gli antichi Romani, che se ne intendevano: divide et impera! È quello che si è fatto nella città lombarda.

Mi viene in mente che ci sono due sole possibilità: o gli strateghi della sinistra a Milano sono degli incompetenti, e allora se ne vadano a casa; oppure hanno lavorato per rendere più probabile una sconfitta, e allora vadano a farsi curare da qualche cervellaio, come si dice a Prato.

Giuseppe Gregori

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