«Non riesco a respirare». Poche traumatiche e fatali parole quelle di George Floyd, il quarantasettenne afroamericano morto il 25 maggio a Minneapolis in seguito ad un arresto da parte di quattro agenti di polizia chiamati da un negoziante locale perché convinto che Floyd avesse pagato con soldi contraffatti.
I giorni che stanno vivendo gli Stati Uniti rappresentano non solo la protesta, ma anche quella voce silenziosa di una parte del paese che ha subito nella storia americana troppi eventi di odio razziale, troppi eventi di abuso di potere da parte delle forze di polizia.
Alcune città statunitensi, a partire da Minneapolis, sono diventate teatro di proteste e rivolte da parte della comunità afroamericana e di tutti coloro che non sopportano più questo sistema. Cartelli con scritto “I can’t breathe”, “Black Lives Matter”, “Justice or Violence” hanno invaso le strade e la polizia ha provato a placare le rivolte e, in alcuni casi, ha partecipato alle manifestazioni pacifiche organizzate perché solidale.
Moltissimi poliziotti si sono dissociati fermamente dall’operato del loro collega Derek Chauvin, ormai ex perché licenziato dal commissario di polizia Medaria Arradondo, insieme ai suoi tre colleghi presenti al momento dell’arresto, e poi incriminato per omicidio dallo stesso sindaco di Minneapolis Jacob Frey.
Il mondo dei social è inondato da giorni di foto completamente nere, una sorta di protesta silenziosa: un messaggio di solidarietà verso il movimento Black Lives Matter, verso George Floyd e il suo omicidio. Si chiama #BlackoutTuesday, un’idea nata venerdì sui social per fermarsi e riflettere.
L’evento è stato sconvolgente, un fulmine che ha destato il paese anche durante un periodo come questo del Covid-19 che lo ha già destabilizzato socialmente ed economicamente: focolai e cortei verso la Casa Bianca, le dichiarazioni di Donald Trump alquanto sprezzanti sull’esortare la polizia a sparare nel caso di impossibilità di gestione delle proteste, che mostrano come una parte del paese, non solo afroamericano, non sopporta più questi abusi di potere.
Manifestanti in lacrime, poliziotti che si uniscono ai cortei: molte città sono state messe a ferro e fuoco perché purtroppo la degenerazione di una situazione del genere era prevedibile e ha creato non poco imbarazzo a Trump che si è scagliato contro il sindaco di Minneapolis inviando la guardia nazionale per sedare la rivolta.
Floyd non è morto, è stato ucciso: al termine di un’autopsia condotta privatamente su volere della sua famiglia, viene determinata come causa di morte l’asfissia provocata dal ginocchio di Chauvin sul suo collo per più di otto minuti, che ha ostruito il flusso sanguigno verso il cervello nella zona del collo.
Le due tematiche di cui parliamo, abusi di potere e razzismo, sono due sostanze liquide difficili da afferrare e poter gestire: in un’intervista rilasciata al Messaggero, il politologo Edward Luttwak promuove a pieni voti il presidente Donald Trump: «Ha gestito la protesta di strada con la mano ferma, il risultato è che gli elettori puniranno chi non ha saputo difenderli in questo frangente, e premieranno il presidente per la sua fermezza. Il disordine delle ultime settimane ha rinforzato la figura di Trump, la strada verso la rielezione non è mai stata così in discesa per lui». Ovviamente il voto afroamericano per le presidenziali di novembre difficilmente potrà pendere sul tycoon repubblicano, ma le settimane a seguire saranno un ottimo banco di prova per la possibile rielezione alla Casa Bianca.
Il 2020 verrà ricordato per la pandemia di Coronavirus, per le tante vittime e per come ciascun paese ha saputo o meno affrontare l’emergenza, ma anche per il caso Floyd, ennesimo episodio di abusi di potere e razzismo. Speriamo possa bastare.
Andrea Repek