Quelle inutili polemiche su Clet Abraham

Trovo stucchevole la sarabanda di polemiche sulle installazioni di Clet Abraham nella città di Prato. Sembra che in città non ci sia altro argomento di discussione se non “gli occhi” di Clet che ci guardano da sopra gli archi delle antiche porte, dalla statua di Moore, dai cavalcavia.
Sì, è un dibattito davvero stucchevole. Non per una questione di merito. Il bello e il brutto, quando si parla di arte – e non solo di arte, aggiungo, – non sono mai oggettivi. È sempre una questione di gusto personale.
Ci sono quadri di Picasso che trovo bellissimi e altri che getterei volentieri nell’immondizia. E così potrei dire delle opere di altri mostri sacri della tela e del marmo, a partire dagli albori dell’arte per giungere fino ad oggi. E non m’interessa che la critica li abbia consacrati e canonicizzati. I critici e gli storici dell’arte svolgono il loro mestiere rispettabile. Posso condividere le loro argomentazioni culturali, le interpretazioni storico e sociali – e le condivido spesso –, ma anche quando questo è, davanti al quadro, alla statua, all’architettura è il mio senso del bello, in definitiva il mio gusto personale, a determinare se un’opera mi piace o non mi piace, per quanto osannata o bistrattata sia dalla critica.
Quel che trovo stucchevole in assoluto, tuttavia, è che, in una città moribonda e in cerca di se stessa, non si trovi di meglio da fare che puntare il dito contro un atto di coraggio.
Sì, le installazioni di Clet sono un atto coraggioso. Danno il senso di un tentativo di guardare oltre il presente, di lanciare uno sguardo verso un futuro possibile. Ci dicono che Prato, se vuole risorgere e ritrovare una sua forte dimensione sociale, economica e culturale, non può restare ancorata a ciò che è stata e non è più.
Con “gli occhi” di Clet è l’arte (o la non arte, è questione di gusti) che si fa carico, mancando un organico e forte progetto politico, sociale, economico e culturale, del riscatto di una città. È l’arte che, in silenzio e con le sue insite contraddizioni, offre una prospettiva, un’opportunità.
È per questo che trovo stucchevole fare polemica sulle opere di Clet. Ci si ferma all’espressione di un giudizio artistico, decontestualizzando le opere dalla realtà in cui sono state calate. È come se l’arte fosse qualcosa di fine a se stessa. E invece, non lo è quasi mai. Lo è per i collezionisti, a volte per qualche artista, ma mai quando si cala nel contesto urbano e sociale di una città.
Ma forse, è giusto che anche la polemica faccia parte del gioco. Le vie del futuro non sono mai lastricate d’oro.

Luca Martinelli

Su Luca Martinelli, giornalista, scrittore, critico, conoscitore profondo del mondo dell’editoria, rinviamo al blog personale dedicato a Shelorck Holmes – libriconsherlockholmes.altervista.org – del quale ha per altro scritto nuove storie apocrife.

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