Si racconta che il vecchio Pietro Nenni, negli anni Cinquanta del secolo scorso, parlando con un giovane militante del suo stesso partito, il Psi, abbia affermato: «È sbagliato fare i moralisti in politica, perché prima o poi arriva uno più moralista di te e tu resti fregato!». E Dio sa quanto nel Psi di Nenni e di taluni suoi successori un po’ di moralismo fosse necessario.
Alcuni lustri più tardi, agli inizi degli anni Ottanta, Enrico Berlinguer, segretario del Pci, andò in televisione a mostrare le proprie mani e ad affermare che erano pulite, come quelle di tutti i comunisti italiani. Poco tempo dopo scoppiò uno scandalo proprio in una delle città simbolo del buon governo comunista, Bologna. Fu un piccolo scandalo, roba che oggi parrebbe da dilettanti, ma non risparmiò al leader sardo battute pungenti e ironie feroci.
Chi più di Antonio Di Pietro ha fondato la propria carriera politica, nella Seconda repubblica, sul tema dell’onestà e di un visione moralistica della lotta politica? Il suo movimento, l’Italia dei Valori, ha prodotto fenomeni come i senatori Razzi e De Gregorio, inoltre lo stesso leader è stato allontanato da giovani rottamatori (come diceva Sciascia: a ciascuno il suo!) che hanno ritorto contro di lui gli argomenti che egli stesso era solito usare verso i suoi avversari.
Nel tempo presente è il movimento di Beppe Grillo a trovarsi in difficoltà, per opera del sindaco di Quarto (Napoli), accusato di essere stato eletto coi voti (determinanti o no, conta poco) della camorra e non disponibile – fino a qualche giorno fa – a farsi da parte per favorire nuove elezioni. La vicenda è ancora in corso e non è chiaro come potrà concludersi, di sicuro rappresenta un ostacolo pericoloso sulla marcia dei Pentastellati verso le prossime elezioni amministrative.
Il M5S ha costruito tutta la propria fortuna elettorale su una piattaforma moralistica, un moralismo spinto fino alla demagogia (e spesso anche oltre): la nemesi lo sta mettendo in grave difficoltà, minacciando di azzopparlo, come un cavallo alla vigilia del gran premio. Tutto ciò dovrebbe insegnare quello che Nenni aveva capito in grande anticipo sui tempi: l’onestà non deve essere un titolo di merito per chi fa politica, ma una condizione indispensabile, come quella di godere dei diritti politici, o di aver raggiunto la maggiore età (o l’età necessaria per concorrere alla carica in palio).
L’errore fondamentale che compiono le forze politiche (vecchie e nuove) è quello di semplificare con la demagogia moralistica il messaggio che inviano agli elettori; certamente è più facile andare a vociare nelle piazze con slogan che accusano gli avversari di ruberie (vere o presunte), ma la ragionevolezza ci dice che un programma serio, fatto di contenuti precisi, il più delle volte permette di costruire con i cittadini un legame meno precario, più profondo. In tal caso, i disonesti, se ci sono, non reggono alla prova.
Giuseppe Gregori