Che i provvedimenti governativi per i giovani nell’era renziana non siano all’altezza si è capito da tempo; lo aveva già ampiamente dimostrato la ministra Giannini con “la buona scuola”, una riforma malfatta che penalizza le autonomie e la collegialità degli organi scolastici . La riforma che ha introdotto il “preside sceriffo”, deputato a dirigere da solo gli istituti scegliendo anche i propri collaboratori, è stata bocciata da studenti e professori.
Il governo ha messo in campo un provvedimento povero di risorse e di una visione moderna capace di guardare alla necessità di una formazione che abbracci l’intero arco della vita: basti pensare alla mancanza di risorse per la generalizzazione della scuola dell’infanzia e di un piano per l’estensione degli asili nido ancora relegati a servizi a domanda individuale, anziché servizi educativi a tutto tondo inseriti in un piano nazionale per l’infanzia.
Ma, dopo la Giannini, è arrivato lui, Poletti. Prima ha iniziato dicendo che gli studenti possono lavorare gratis durante le vacanze scolastiche. È sua, infatti, la proposta di progetti di alternanza scuola-lavoro per stage lavorativi gratuiti, una scelta volontaria per far capire ai giovani cosa sia il lavoro e cosa sia un’impresa, avanzata nell’aprile 2015. Ma le perle di saggezza sui giovani continuarono a novembre dello scorso anno quando diede un consiglio agli universitari italiani che suonava più o meno cosi: prendere 110 e lode a 28 anni non serve a niente; è meglio prendere 97 a 21 ed entrare subito nel mondo del lavoro. Come dire che le eccellenze non servono e che si può anche accontentarsi di una formazione mediocre purché veloce senza buttar via inutilmente tempo sui libri. L’ultima uscita del ministro del governo Gentiloni ha forse superato le precedenti facendo arrabbiare addirittura i giovani del suo partito, oltre che gran parte delle opposizioni.
Se centomila giovani se ne sono andati, sostiene Poletti, non vuol dire che i milioni rimasti qui siano i meno capaci. Ci sono persone, andate via, che è meglio che stiano dove sono. Un’affermazione alquanto offensiva per i tanti ragazzi e ragazze che hanno lasciato l’Italia alla ricerca di opportunità che qui non hanno avuto e che sono forse fra le energie migliori di questo Paese, disposti a rischiare e a mettersi in gioco senza neppure l’ombrello familiare.
In tanti hanno chiesto le dimissioni al “Ministro delle gaffes”: ma questo non può compensare il vuoto di politiche attive ed adeguate che rendano il binomio giovani-lavoro una leva importante per lo sviluppo e la crescita dell’Italia. Altro che riforme flop come “la buona scuola” o come il “jobs act” la cui illusione di produrre più occupazione è svanita appena sono finiti gli incentivi e le agevolazioni previste per le assunzioni effettuate nel primo periodo di attuazione.
Il ministro Poletti dovrebbe forse dimettersi prima di tutto per questo, per l’incapacità, mascherata da battute ingiuste ed offensive, di mettere in campo politiche del lavoro che producano occupazione, attirando i giovani invece di farli scappare e coinvolgendoli nella scommessa di costruire per sé e per il paese un futuro migliore.
Sabrina Nieri