Divorzio alla cinese

Divorzio alla cinese secondo Liu Zhenyun

Divorzio alla cinese. Ovvero fatta la legge e trovato l’inganno, come recita il noto detto. A volte l’inganno può rivolgersi contro chi lo ha ordito. La giovane Li Xuelian, incinta per la seconda volta, per aggirare la legge cinese del figlio unico propone al marito di divorziare. In questo modo entrambi risulteranno genitori di figli unici, e quando si risposeranno non avranno più problemi, trattandosi dell’unione di due genitori separati. Ma il marito, Qin Yuhe, approfitta dell’occasione per sposare un’altra donna e farci un figlio insieme. La povera Li Xuelian, trovatasi così ad un tempo priva di marito e di figlio maggiore, cerca di farsi giustizia e rimediare proprio ricorrendo alla legge prima aggirata. Ma la legge stavolta aggirerà lei, e giudici, funzionari e politici, via via interpellati, si cimenteranno in una serie di gare a scaricabarile, mentre il percorso di Li Xiuelian procederà tra episodi tragicomici.

È la trama di “Divorzio alla cinese” (Bompiani, pp. 294, 19 euro, traduzione di Maria Gottardo e Monica Morzenti), ultimo romanzo di Liu Zhenyun, scrittore originario dell’Hunan e vincitore di prestigiosi premi letterari in Cina, oltre che tradotto in venti lingue. Zhenyun sta attualmente ultimando un ampio tour europeo.

Cosa l’ha spinta a scrivere “Divorzio alla cinese”?

Nella società cinese ci sono persone che cercano di resistere alle ingiustizie ed è di loro che volevo parlare. Un altro tema importante in Cina è la differenza tra le persone importanti e quelle oneste. La questione iniziale tra marito e moglie è molto piccola. In Cina si dice che “un seme di sesamo è diventato un cocomero”. Ma la storia si svolge fondamentalmente utilizzando differenti livelli di umorismo: la lingua, il modo di parlare dei personaggi, gli eventi, l’ironia delle piccole vicende.

L’episodio della protagonista che per ingraziarsi i favori dei magistrati si porta in giro dei polli starnazzanti. Queste scene ricordano i “Promessi Sposi”. E’ un caso o una somiglianza voluta?

No, non conoscevo Manzoni e non mi sono ispirato volontariamente. Ma si tratta di difficoltà che riguardano tutto il mondo, e che vengono raccontate con ironia, nella quale rimane però un fondo di tristezza. Ma la vita stessa è ironica.

Lei è uno dei pochi scrittori o artisti che hanno una visione critica della società cinese a non essere andati a vivere fuori dalla Cina o avere subito restrizioni.

La censura sui libri è rilassata, perché leggere i libri e faticoso. Per i film è più rigida. Infatti abbiamo impiegato svariati anni a realizzare i miei. Per uno quattro ani e per uno addirittura diciotto.

Lei pare muoversi agevolmente tra letteratura e cinema. Dai tutti i suoi libri, incluso l’ultimo, uscito con il titolo Madame Bovary, sono stati realizzati dei film.

Io penso che i libri siano migliori perché meglio riescono a rendere la varietà dei personaggi presenti nei miei film, mentre i film semplificano. Ma mi viene richiesto di trarre film dai miei libri partecipando come sceneggiatore per lo stretto rapporto che ho con i miei personaggi. I registi amano molto lo humor.

Barbara Caputo

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