C’era una volta un vecchio, un vecchio e una bottiglia, in rue Saint Vincent, a Parigi.
Il vecchio aveva occhi forti, neri pece, occhi vivi, che illuminavano la strada nella notte.
La bottiglia era una bottiglia di vino, di Bordeaux antico, che pareva serbare in sè ancora un ricordo degli antichi splendori.
Vivevano all’incrocio della strada, di fronte alla macelleria, quella bella, con la vetrina sempre piena.
Tutti nel quartiere conoscevano il vecchio e la bottiglia, erano ormai divenuti un pezzo importante di quella Boulevard, ma nessuno sapeva quando fossero arrivati o quale fosse la loro vera storia, erano lì e basta, come un mattone di una casa o una pietra del selciato.
Il vecchio raccontava storie, ai bambini e agli adulti, ai cittadini e ai turisti, a chiunque fosse in grado di prestare ascolto.
Non aveva denaro e non ne chiedeva, l’unica moneta che desiderava e che aveva valore per lui erano i racconti, veri o fittizi poco importava, le storie scacciavano la paura del freddo, la paura della solitudine : come i primi ominidi riuniti intorno a un fuoco a narrare miti per levare la paura delle belve feroci, così si sentiva lui.
La bottiglia dal canto suo, benché non apprezzasse i vini di bassa qualità che ora doveva contenere, amava il suo padrone di un amore puro, autentico, che solo i bambini e gli oggetti possono provare, e mai lo avrebbe lasciato.
Il vecchio giocava a scacchi con un cieco ogni giovedì.
Il primo prendeva i neri, il secondo i bianchi.
Non aveva mai vinto una partita.
I suoi concittadini ridevano, ci vuole impegno per farsi battere da un cieco, dicevano, e rideva anche lui, giocando con la barba grigia, rideva e beveva.
Il cieco era un altro come lui, senza casa, senza dimora e senza occhi.
Era stato un ladro, un donnaiolo e sopratutto un baro.
Al vecchio piaceva, era sempre allegro, di quell’allegria che solo quelli che hanno attraversato l’oceano hanno. Quale di preciso fosse poi, l’oceano, non lo sapeva e non gli importava.
Aveva conosciuto il cieco quando ancora i suoi occhi erano aperti al mondo, quando ancora le sue pupille brillavano, da allora erano passati ventisette anni, ventisette anni e mille quattrocento sette giovedì, ovviamente, senza nessuna vittoria.
Spesso i giornalisti parigini andavano a trovare il vecchio vagabondo, in cerca di qualche nuovo servizio, qualche scoop, da chi conosceva palmo a palmo tutti i segreti di quella città, da chi aveva il dono di saper ascoltare quelle strade.
Lui si sedeva, li guardava bene uno per uno, odorava i sapori freschi di dopobarba, e iniziava a raccontare fiabe.
I più se ne andavano, qualcuno, coraggioso, restava e tornando a casa, la sera, abbracciando la moglie o i figli, magari, si sentiva in qualche modo diverso e allora tornava.
Nessuno sapeva il suo nome.
Nessuno sapeva da dove venisse.
Nessuno sapeva quando fosse arrivato.
Nessuno lo conosceva eppure, tutti, lo sentivano vicino, famigliare, paterno a tratti e, per questo, gli portavano cibo, coperte, vino.
Era arrivato una notte di luglio e non se ne era più andato.
Lui era felice, aveva freddo, paura a volte, ma niente lo risollevava di più del suo unico legame, di quella bottiglia fresca, bella, fraterna.
C’era una volta un vecchio, un vecchio e la sua bottiglia, in Rue Saint Vincent, a Parigi, c’era una volta un vecchio e ora non c’è più e le case e le strade sembrano più vuote, più sole, non si respira più, nella via, quell’aria di allegria e di storie appena nate, quell’aria della partita del giovedì, di “Questa è la volta buona, me lo sento”e i turisti che passano non se ne accorgono, ma è come se mancasse qualcosa a quella Rue ora, come se mancasse un mattone di una casa o una pietra del selciato.
Alessio Ragazzo