Le piazze centrali di molte città sono teatri e scenografie di simboli identitari, di memoria e di valori dei luoghi e delle comunità che vi abitano. E la piazza del Duomo di Prato non fa eccezione, spazio di celebrazioni tra il religioso e l’identitario e di passaggio in quiete transizioni per motivi di loisir di abitanti in prevalenza “nativi”. Recentemente però un evento di natura culinaria ha scardinato queste coordinate, prefigurando golosi scenari futuri, gastronomici e no.
Da poco si affaccia discretamente sulla piazza il ristorante Andaloussia, frutto dell’iniziativa e volontà di Omar e Soufiane, due marocchini di Casablanca, la città più aperta del Marocco, che non si sono limitati a proporre i raffinati piatti della cucina del loro paese, ma anche, con essi, una lettura storica e per conseguenza politica.
Ma parliamo prima dei piatti. Andaloussia propone alcuni tra i piatti principali della gastronomia marocchina, la più elaborata del Vicino Oriente, esaltando il ruolo rivestito nella preparazione di molti di loro dalla tajine, una particolare pentola a cottura lenta in terracotta, costituito da una base rotonda e un coperchio conico che consente al vapore di accumularsi in cima senza disperdersi e una cottura dolce. Il ristorante offre una tajine di manzo alle prugne con zenzero e cannella, una di pollo con limone e olive, arricchito da zenzero e zafferano, e una di verdure, anche questa composta da ortaggi di stagione e da spezie secondo le preferenze dello chef. Propone poi la pastilla, uno sformato di carne in un delicato involucro di pasta fillo fresca, preparata sul momento, che nella versione originale sarebbe al piccione, e qui è di manzo. La pastilla è un piatto di origine andalusa che unisce, come spesso accade nella cucina marocchina, il dolce al salato, con una cottura lenta della carne nelle spezie e un’aggiunta di cannella, mandorle e zucchero. Non manca il cuscus alla carne, riccamente guarnito di verdure, carote, zucchine, zucca e fave. Il menu è coronato alla fine dal tè arabo, accompagnato da dolci tipici di tutto il mondo arabo e turco, con propaggini in Grecia, a base di frutta secca e burro o miele. C’è una vera crew di cucina, tre donne che si dividono la preparazione delle diverse specialità. E’ possibile recarvisi anche il pomeriggio per una pigra pausa a base di tè e dolci.
Alla base del ristorante una precisa filosofia culturale e storica, quella di riportare alla ribalta il patrimonio culturale andaluso, fatto di cibo come di storia, e legato a un periodo di conquiste sì, ma di fertili incroci e di creatività in tutti i campi. Parliamo di un periodo in cui nonostante le guerre in tutto il Mediterraneo fervevano commerci, navigazioni, incroci, passaggi anche religiosi e identitari da una sponda all’altra del Mare Nostrum. Periodo di grande ricchezza e mescolanza di genti che ha lasciato tracce importanti in Sicilia ed è durato fino alla fine dell’Impero ottomano. Andaloussia vuole ricordare questa civiltà dalla duratura impronta nei motivi in ceramica dei suoi tavoli e nelle raffigurazioni di case alle pareti. L’operazione dei due gestori non è peregrina, ma perfettamente in sintonia con le politiche maghrebine del patrimonio culturale degli ultimi venti anni, tese a ricordare gli elementi storici e culturali che hanno unito le civiltà attestate sulle sponde opposte del Mediterraneo. Una storia non di fanatismi e violenza, ma di tolleranza, métissage e convivenza di popolazioni diverse, e che includeva sia cristiani sia ebrei, arabi come italiani (i noti ebrei livornesi).
Ora questo ristorante, che si apre sulla piazza del Duomo con il suo dehor e che ha naturalmente attratto cittadini curiosi delle novità e delle sperimentazioni culinarie, si candida, forse un po’ consapevolmente, forse un po’ no, a diventare molto significativamente un portale di métissage e di incroci, aperto all’apertura culturale.
Andaloussia, cibo, arte e un ponte antico sul Mediterraneo
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