Sono già seduta, la faccia vicina all’oblò. Il cielo è limpido, qualche rara nuvola cattura il mio sguardo. Batuffoli di cotone striati di un grigio scialbo o bianchi come neve immacolata. Da bambina osservavo le nuvole, distesa sul prato dietro casa e quando passava un aereo pensavo che da grande sarei salita anch’io su quell’oggetto affascinante quanto misterioso. La schiena poggiata contro lo schienale, decolliamo. Trattengo il fiato, poi cerco di rilassarmi. Sto volando, non da turista, torno al mio paese, il Perù, dopo quattro anni, quattro lunghi anni. Adesso però penso alla nonna che ho lasciato a casa, in città e questo pensiero mi fa soffrire. Mi sostituirà una delle mie sorelle, arrivata in Italia per trovare un lavoro.
La nonna, come la chiamo io, è la donna a cui faccio da badante: è vecchia, malata da tempo e cammina a fatica. Le voglio bene e lei ne vuole a me. E’ una persona istruita, quando era giovane insegnava storia in una scuola; nei miei confronti è sempre gentile, ma dopo la morte del marito è cambiata, è sempre triste e sorride soltanto quando vengono a trovarla delle care amiche che rimangono a farle compagnia. Parlano del passato, di quando erano giovani, guardano e commentano vecchie fotografie.
La casa è grande, arredata con mobili antichi, tappeti pregiati. Le finestre sono alte e la luce illumina le stanze fin dalle prime ore del mattino, così posso pulire e spolverare il salone senza accendere quell’enorme lampadario di cristallo che mi mette un po’ di ansia. Subito dopo sistemo la nonna in un’ampia poltrona, le pettino con cura i capelli e sulle labbra le passo il solito rossetto rosa pallido. Oltre al salone ci sono le camere, lo studio, la cucina, i bagni, e anche per me una stanza, una cameretta. C’è il mio letto, il comodino, un armadio peri vestiti, il televisore, l’asse da stiro. Sì, stiro i panni in camera così posso guardare la tv. Noi le chiamiamo telenovela, quelle storie a puntate, che si vedono anche qui e a me piacciono molto. Sinceramente mi dispiace esser partita senza aver potuto vedere la fine di una storia d’amore con intrighi e colpi di scena. Dalla casa della nonna esco raramente perché lei ha sempre bisogno di me, quindi vado di corsa in farmacia per le medicine o nei negozi del quartiere per comprare qualcosa per il pranzo o per la cena. L’hostess dalla voce gentile mi distrae da questi pensieri e sdoppiandomi provo una sensazione strana quando cerco di immaginare il mio vecchio paese. Abitavo in uno dei quartieri della capitale ed ho lasciato là il marito, i due figli, le sorelle, i miei genitori. Ho lasciato tutto, come altre donne, per venire a lavorare in Italia e poter far studiare i miei ragazzi, per dar loro un futuro migliore. Separarmi dai figli è stato doloroso, ho sofferto e ogni giorno sento la loro mancanza. Sono contenta però di averli lasciati con mia madre, sono bravi a scuola e bene educati. Prendo il caffè che mi offre la hostess, una bella ragazza bionda con degli occhi azzurri come il cielo di questa giornata, ringrazio e rispondo che sì, certo, va tutto bene.
Questi anni, lontana dal mio paese, hanno tracciato un solco profondo in me, giorno dopo giorno ho imparato usi e consuetudini di un altro popolo, ho imparato una nuova lingua, riesco ad orientarmi nella nuova città, sento di essere cittadina del luogo in cui lavoro e non certo una straniera. Sono accettata per quello che sono, una donna che lavora e vive in una famiglia che la rispetta. Le amiche della nonna parlano volentieri con me, mi chiedono come si vive dalle mie parti, cosa facevo quando ero piccola, se andavo a scuola, se ero brava, chi si occupava di me. Era la mia nonna, la donna della famiglia, che faceva il pane per tutti e noi bambini potevamo prendere un poco di farina e imitarla a impastare, dando forme diverse al pane che veniva messo a lievitare, prima di infornarlo, coperto da un telo bianchissimo. Per noi era un gioco divertente e la farina finiva dappertutto, anche sulle nostre facce.
Le amiche della nonna, sorridendo, dicevano che anche la loro nonna insegnava ai bambini di casa a fare i biscotti , da cuocere in forno. Biscotti dalle forme incredibili, facendo girare l’impasto fra le mani e spargere la farina, arrotolare, schiacciare. La cucina risuonava delle risate dei bambini e di qualche rimprovero della nonna per la confusione che facevano.
In fondo quei ricordi infantili erano molto simili per tutte noi, anche se vissuti in case lontanissime fra loro.
Un giorno una delle signore mi ha chiesto la ricetta del dolce di pane che faccio ogni volta che ne avanza dal pranzo o dalla cena. E’ davvero squisito e lei ha scritto sopra un foglietto la ricetta del dolce, gli ingredienti e il procedimento. Questo mi ha fatto sentire brava, utile.
Ricordo con nostalgia quei pomeriggi in compagnia delle amiche della nonna, come se fossero lontani nel tempo.
Sospiro e chiudo gli occhi. Sta arrivando il sonno, sono stanca, stamani mattina mi sono alzata all’alba, per prepararmi e salutare la nonna che si è commossa e mi ha detto di tornare presto. Le ho promesso che le avrei telefonato e non sono stata capace di trattenere le lacrime.
Penso alla nonna che ho lasciato e sono emozionata e felice di rivedere i miei figli, la mia famiglia.
Mi sento divisa in due.
Sono già oltre le nuvole.