I gabbiani disegnano laboriosi circuiti nell’aria calda di questo pomeriggio d’estate. Tutto sembra immobile e innaturale come innaturali sono i pensieri nella mente di Anna. Appaiono come maschere spaventose che spuntano all’improvviso togliendo il respiro e fermando i battiti del cuore e poi scompaiono dietro i veli neri da cui si sono affacciate e lasciano il posto a pensieri da cui invece ti lasci cullare e trasportare leggera, abbandonandoti nella loro bellezza.
Anna è sdraiata su un fianco sul letto nella sua stanza, sembra stia dormendo ma il leggero e ritmico movimento del suo respiro si alterna a brividi incontrollati; è in quei momenti che il suo corpo già minuto, si fa ancora più piccolo, con le braccia afferra le ginocchia e le stringe al petto come a volersi difendere da quelle maschere deformi. Poi, lentamente si rilassa e il cuore riprende il suo ritmo normale.
Fa caldo fuori, il cielo è terso e il mare calmo, si sentono le onde infrangersi sulla spiaggia di ciottoli rotondi, perfettamente levigati dall’incessante lavoro dell’acqua.
Ogni onda decide quali sassi trascinare con sé e il loro cozzare nel breve tratto in cui la terra si fonde con l’acqua, assomiglia a un applauso scrosciante che si ripete a intervalli regolari.
La stanza di Anna è rivolta verso il mare e lei ne conosce i rumori, i colori, lo ama in tutte le sue manifestazioni.
Quando era piccola, le burrasche le mettevano paura, ed era la nonna che, calma ed esperta, la rasserenava dicendole che il mare è come l’uomo, ha un carattere proprio ed esprime, con l’unico modo possibile, l’irascibilità che l’essere umano comunicherebbe sferrando un pugno sul tavolo.
Per Anna divenne quindi naturale attendere qualche burrasca e aveva imparato ad assaporare maggiormente la calma che incombeva quando tutto finiva.
Ogni lamento del mare, le raffiche di vento che lo schiaffeggiavano formando onde altissime, il leggero sciabordio estivo o i mugolii che regalava nelle fredde notti d’inverno erano i suoni che formavano la colonna sonora della sua vita.
Anna aveva sempre vissuto in quella casa color ocra affacciata sul mare sistemata su un piccolo promontorio roccioso dove costruire, era impresa ardua. Ogni mattone di quelle case, una addossata all’altra, gridava ora l’appagamento nel trovarsi lì a godere ogni giorno di scenari meravigliosi di albe e tramonti mai uguali, o a scrutare la linea lontana dell’orizzonte dove i due elementi, l’acqua e l’aria, sembrano talvolta fondersi e talvolta marcare ancora più a fondo la linea che li divide come l’uno a volersi estraniare dal mondo dell’altro.
La finestra aperta lasciava entrare aria profumata di mare che le tende imprigionavano gonfiandosi come vele di vascello.
Anna le aveva sempre immaginate così, come vele gonfie dell’unico elemento necessario per raggiungere qualsiasi meta, ora invece, i suoi occhi catturano immagini diverse che la mente elabora in maniera distorta.
Le vele sono fantasmi e il vento che le gonfia è la loro anima tesa sul punto di esplodere e rovesciare addosso paura, angoscia e dolore.
Sulla parete accanto alla finestra c’è uno specchio, lo stesso davanti al quale Anna ogni mattina raccoglie approssimativamente i lunghi capelli castani. Qualche ciocca ha catturato il colore del sole ed è brillante come fili di grano.
Anna usa sempre una molletta azzurra a forma di delfino che ha trovato qualche anno fa incastrata tra gli scogli forse persa o dimenticata da una bambina che come lei amava il mare.
Non se ne separa mai, la mette al mattino e la toglie la sera e, nonostante la nonna le compri accessori più adatti alla sua età, Anna preferisce il suo delfino non senza però, aver ringraziato la nonna a modo suo. Anna si ferma, la guarda negli occhi e, lentamente porta la mano a sfiorarle la guancia ma senza mai toccarla. Quel gesto che le veniva dal cuore era l’unico in grado di stabilizzare i suoi movimenti.
In quel cenno lento ed equilibrato, la nonna riponeva tutte le sue speranze, distingueva chiaro e limpido un raggio di luce che, con forza e determinazione riesce a filtrare attraverso i rami, ma quella luce era destinata a svanire ben presto e tutto tornava come prima. Le mani strette a pugno, lo sguardo fisso in un punto lontano, e la mente con i pensieri e le parole scritte come con il gesso sulla lavagna, perfette e corrette ma incapaci di volare.
Quella tavola nera conteneva le parole di una vita, dalle prime sillabe imparate da bambina fino alle frasi di disperata consapevolezza, ma anche di amore, di amicizia, di felicità e poi sogni, desideri, apprezzamenti, critiche e anche qualche parolaccia scagliata verso il mondo o più banalmente allo spigolo del tavolo. Tutto insomma. Perché tutto è normale in Anna.
La sua mente è composta di ventidue anni di educazione, di regole, di emozioni, di studio e apprendimento c’è il colore preferito, il cantante, l’artista e il libro preferito e poi c’è anche l’amore. Sì, perché Nicola è davvero carino, lui porta i turisti a fare il giro dell’isola con una piccola barca bianca. E’ forte e gentile. Anna se la ricorda ancora la sua mano salda che la aiutava a salire sulla Giulia II e quel sorriso che però lei non era stata in grado di ricambiare.
Quello era stato il regalo per il suo compleanno. La nonna, la sua ancora, aveva deciso di farle sperimentare quelle sensazioni che l’amore può dare perché, anche se le parole non avevano suoni, rimanevano comunque scritte negli occhi e quegli occhi, per lei, non avevano segreti.
Mamma. Così la chiamava Anna, ed era l’unica parola che sapeva pronunciare. La nonna ci mise un po’ per capire che quel nome era destinato a lei. Per Anna, infatti, lei era la sua mamma, l’aveva cresciuta e amata, e a volte sgridata proprio come dovrebbe fare chi ti genera e ti mette al mondo. Non come la sua, che al primo abbraccio non ricambiato o al primo lacerante grido lanciato verso l’aereo che attraversava il cielo rombando, aveva cullato l’idea di lasciare, abbandonare tutto e fuggire rinunciando così all’amore sconfinato, senza limiti, che solo Anna e chi è come lei, è in grado di offrire.
Lei non immaginava nemmeno a quale inestimabile tesoro stesse rinunciando.
Di quel venti maggio di diciannove anni prima, Anna ha ricordi frammentari e imprecisi, aveva solo tre anni ma le lacrime che rigavano le guance della sua mamma le ricorda bene e ricorda anche quell’ultimo abbraccio, come sempre rifiutato e allontanato perché Anna non sopporta il contatto fisico. Poi più nulla. Era come scesa la notte. Il ricordo successivo è quello di lei seduta, giorno dopo giorno, sui gradini esterni con il viso rivolto allo stretto vicolo tra le case, l’unico che conduceva a casa, l’unico che sua madre avrebbe potuto percorrere per tornare da lei.
Nel periodo successivo molte persone avevano fatto visita a casa. Alcune erano gentili altre invece non la guardavano nemmeno e parlavano con la nonna.
Parlavano di lei, ma questa era l’unica cosa che riusciva a capire. Poi, un giorno, quella brutta signora con gli occhiali scuri aveva fatto arrabbiare la nonna ed era stata cacciata da casa investita da un’infinità d’insulti.
Anna, già provata da quell’assenza importante e pesante come un macigno, si spaventò vedendo, per la prima volta, la rabbia impadronirsi della nonna. Pianse tanto quel giorno. Pianse e urlò lacrime amare, di rancore verso chi non l’aveva voluta, di rabbia per non saper dar voce a quei sentimenti così forti che non dovevano nemmeno far parte del mondo di una bambina così piccola.
Nei momenti di pianto più disperato le sue mani afferravano i capelli e tiravano, strappavano con forza quelle figure spaventose.
Ci volle molto tempo perché le cose tornassero alla normalità. Trascorsero giorni difficili in cui Anna, chiusa tra le sue mura di forzato silenzio, faticava a mangiare e a dormire. Quando stava in piedi, il suo corpo oscillava spostando il peso da un piede all’altro e le braccia, sempre lungo i fianchi, terminavano con i pugni stretti.
La nonna non la abbandonò nemmeno un istante, trascorse con lei ogni momento del giorno e della notte e quando riusciva a calmarla parlandole con infinito amore e quelle parole suadenti riuscivano a condurla, anche se brevemente in un mondo di sogni, allora anche lei si lasciava andare a lacrime mute e, silenziosamente implorava aiuto.
Gli anni trascorsero lenti e carichi di difficoltà. La nonna pur essendo una donna forte, forgiata da una vita faticosa e dal lavoro iniziava a subire il trascorrere del tempo, la forza diminuiva nei momenti in cui ce n’era maggiore bisogno. Diventava difficile a volte, trattenere Anna dal quel suo inquieto desiderio di fuggire per raggiungere il mare.
Era ormai lontano il ricordo di quel maggio di tanti anni prima e il tempo trascorso non aveva che rafforzato il già forte legame con la nonna. Anna sembrava vivere sola, in un mondo tutto suo ma in realtà lei sapeva e conosceva perfettamente l’importanza di avere accanto quell’inesauribile fonte d’amore.
Quanto avrebbe voluto ripagarla di tutto l’affetto che le aveva saputo dare, stringendola in quell’abbraccio che attendeva da sempre!
In televisione, un giorno, Anna vide l’immagine di una mamma che svegliava il suo bambino con un bacio, lui la ricambiava abbracciandola e tirandola a sé facendola cadere morbidamente. Anche la nonna la svegliava ogni mattina avvicinandosi fino a sfiorarle la guancia, lo sapeva, il tocco delle labbra l’avrebbe resa nervosa. In quel momento, in cui la nonna credeva che stesse ancora dormendo, Anna avrebbe voluto allungare le braccia e fare come quel bambino, tirarla a sé, farle il solletico, farla ridere e stringerla forte gridandole, soffocandola di baci, quanto le voleva bene, quanto fosse grande la gratitudine per averla fatta crescere, per averla amata, per non averla mai abbandonata.
Se solo avesse potuto mettere le ali a quelle parole!
Se solo avesse potuto, anche per una sola volta, gioire nell’ascoltare la sua voce!
Invece, la vita, aveva deciso per lei.
Un altro brivido, un’altra scossa elettrica nella mente di Anna. Il cuore accelera, i pensieri si fanno cupi, le mani sudano, gli occhi si chiudono fissi contro i fantasmi che la stanno inghiottendo. La paura vince e la trascina con sé.
Che ne sarà di me ora?
La nonna riposa nella sua stanza già da ieri sera. Già da troppo tempo.
Katia Chini