È facile catturare il lettore con emozioni ed eventi forti. Ben più difficile è descrivere, in letteratura, il nulla esistenziale. C’è riuscita la scrittrice indiana Jhumpa Lahiri, che ha declinato questa sua scelta in Dove mi trovo (Guanda, pp. 180, 15 euro).
È il suo primo romanzo in lingua italiana, per lei lingua di transito dallo spessore minimale adatto a descrivere la vita di una donna che ha oltrepassato la quarantina, che di mestiere fa l’insegnante, e che vive di relazioni effimere o potenziali, forse eredità di una madre tendenzialmente fusionale o del lutto del padre.
Nulla sembra coinvolgerla dal punto di vista emotivo, come se non avesse il coraggio di entrare nella vita, di prendervi parte e di prendere parte a qualcosa. La sua relazione più significativa si sviluppa con un uomo tanto abile da poterne vivere due in contemporanea.
I suoi occhi e la sua narrazione selezionano una sequenza di episodi tristi e dolorosi, indici di una mancanza di senso delle vite: un uomo morto in un incidente e ricordato da una lapide che nessuno guarda, un padre separato da poco e rifiutato dalla figlia. Oppure raccontano esistenze sull’orlo di un equilibrio sempre messo a repentaglio, come quello dell’amico sposato che lei amerebbe volentieri, ma che si limita a essere con lei disponibile. O, ancora, dell’amica che viaggia continuamente per non doversi confrontare con la noia della sua vita familiare.
Per certi versi questo romanzo fa pensare a quello di Jean de la Ville de Mirmont, Le domeniche di Jean Dézert, in cui il protagonista, un uomo solo, vagava per la città inanellando episodi surreali. La conclusione è ambigua e fluida come il resto della narrazione. Sta al lettore, come forse una sorta di cartina al tornasole, decidere se si tratta di un cambiamento o solo di un falso movimento.
Nello scegliere l’italiano come lingua letteraria Jumpa Lahiri ha compiuto una scelta coraggiosa, che comporta un notevole sacrificio economico, poiché il mercato letterario anglosassone è molto più redditizio. Si è trattato per lei di conservare qualcosa del soggiorno in Italia, lei che ha avuto una vita transnazionale, dove si era sentita a casa. In questo romanzo quindi l’intreccio tra l’uso della lingua e le tematiche trattate, legate fortemente alla biografia della scrittrice, fatta di continui cambiamenti di luoghi appare particolarmente significativo, e forse può dare da pensare su cosa possa significare per ogni persona vivere in bilico tra lo stare e il muoversi, il cambiare.