Come ogni domenica mattina mi ritrovai seduta su uno di quei muretti attorno alla grande peschiera. La giornata era calda per essere un giorno di fine ottobre. L’autunno, d’altronde, era ben evidente nei colori della vegetazione, negli odori e nel leggero venticello che penetrava nel mio maglioncino a trecce di cashmire rosa. Avevo i capelli scompigliati davanti a quel paesaggio maestoso ma poco curato. L’acqua era di un verde smeraldo ma per via della melma depositata sui fondali non riuscivo a scrutare la flora né la fauna. Cercavo di scacciare dalla mente pensieri evanescenti o preoccupazioni inutili che si riducevano a morire in preoccupazioni che mi avrebbero tormentato durante tutto il giorno. In lontananza avvertivo il flebile vociferare delle persone che si intrattenevano passeggiando o girando in bici con il vestito anteriore pieno di cose buone da gustare.
Il din-don di qualche campana… l’abbaio di un cane… il verso delle anatre nel laghetto… il suono dell’urto degli zoccoli di un cavallo sull’asfalto…
Tutto perfetto. Era tutto come avevo immaginato e richiesto per quel giorno. Volsi lo sguardo al cielo e lo notai riempirsi pian piano di nuvole grigie. Così, l’aria iniziò a raffreddarsi. Il sole sparì e il venticello divenne sempre più intenso. Mi strinsi fra le braccia per non disperdere quel poco di calore che mi rimaneva. L’acqua del laghetto divenne di un color verde petrolio, ed io decisi di avanzare verso l’uscita per paura di beccare acqua e fulmini a volontà. Una pioggia impetuosa scese dal cielo infracidandomi dalla testa ai piedi.
Cadde un lampo nelle vicinanze poiché il tuono che susseguì mi fece trasalire alimentando le mie ansie. Intanto, mi stavo spostando in preda ad una corsa campestre verso la direzione dell’uscita, ma anziché prendere la strada principale, mi diressi nel parterre, ovvero fra i boschetti ritrovandomi poco di fronte alla Castelluccia. Avanzai verso di essa per trovare un pò di riparo dalla tempesta. «Cavolo…e adesso?» riflettei ad alta voce. Rimasi ad osservare,dall’interno della struttura, il cielo precipitare con tanta veemenza. Incespicai in un monologo.
«Mi viene da dire…mai una gioia! Sono senza acqua, senza cibo… e senza campo!» sbottai sventolando il mio smartphone all’aria. Intravidi la carcassa di un topo in fondo alla stanza mezzo sepolto da un cumulo di polvere e foglie secche. «Ma che schifo!» strillai.
«Dunque, lei è sempre così intollerabile?» una voce interruppe i miei piagnistei. Mi girai attorno ma non scorsi nessuno. Eppure mi parve di aver sentito qualcosa. «Chi c’è?» chiesi intimorita. La mia voce fu un eco impercettibile, «Salve» entrò un gatto dal manto maculato. Aveva dei baffi enormi ed orecchie tese e lunghe. Era piuttosto grassottello.«Oh Dio… un gattopardo…e parlante!» esclamai, portandomi le mani al volto dallo sconcerto. Pensai ad un periodo della mia vita, in cui mia madre mi consigliò uno bravo psicologo per la mia nevrosi. Mi chiesi perché non andai.
«Signorina Lulù…» tossì per schiarirsi la voce divenuta rauca improvvisamente, «questo tempo mi farà ammalare…preferisco il settecento…ci sono meno variazioni temporali, sa?».
Avanzò nella mia direzione «si sente bene? Mi sembra un po’ cerea».
«Signore Edoardo non vede che la sta spaventando?Si ricordi che la Signorina è figlia dell’epoca contemporanea, dove la scienza abbraccia la religione senza tornaconto. Forza, si trasformi» questa voce, armoniosa e candida, appartenne ad un corvo che svolazzò nell’ambiente. «Perbacco! Ricordami perché lo stiamo facendo Agata… sono dolorosi questi passaggi da specie in specie».
Mi ritrovai di fronte un uomo anziano simile a matusalemme e una donna, giovane e bella, dai lunghi capelli nero corvino e gli occhi grigio cristallino.
«Che ne pensi Eduardo sarà morta?» chiese lei perplessa e accigliata. I miei occhi li sentì quasi fuori dalle orbite.
«Non sono morta. Sono solo in fase di shock» affermai.«Eppure, non ho mai fatto uso di droghe. Non bevo tanto spesso camomilla… chi siete la proiezione del mio alter ego?Oppure, quella dei miei disagi inconsci mai elaborati?».
«Siamo la tua Saggezza e la tua Curiosità. Ti guidiamo costantemente. Eppure, ti siam sconosciuti poiché la tua commiserazione ti acceca».
«Certamente” alzai gli occhi al cielo,“E io chi sono? Giovanna D’Arco» risi fortemente, «passiamo alla domanda successiva… da dove venite? Cioè, di dove siete? Di quale combriccola strana fate parte? Di una setta? Vade retro!!» esclamai indietreggiando e ponendo una croce fatta di dita fra di noi.
«Non sembrava così strana dall’interno» mormorò Edoardo disturbato volgendo lo sguardo alla compagna di viaggio.
«Ahimè…Non hai niente della D’Arco. E non facciamo parte di nessuna setta o combriccola, cara. Siamo stati un dono al concepimento e viviamo in un arco temporale infinito, dove non ci sono determinazioni e cosmi. Un luogo senza categorie e limitazioni. Siamo giunti qui per te perché stai passando i tuoi anni migliori nella diffidenza e nel totale disinteresse verso le bellezze della vita» disse la signora dai bei capelli.
«Ottimo. E chi vi dice che sia così?» domandai sfacciatamente. «Noi siamo te e tu sei noi. Conosciamo tutto di te. La tua storia e il tuo futuro. Lavorando insieme sviluppiamo i tuoi talenti in base all’evoluzione dei tuoi giorni. Ma siamo qui, per avvertirti che stiamo scomparendo…» sospese e guardò il compagno di viaggio, «aiutami Edoardo, non voglio turbarla. Percepisco la sua agitazione. Mi destabilizza» disse la donna stralunata. «Vede, Signorina… siamo preoccupati per la sua salute. Ultimamente, lei si sta chiudendo in un cerchio ostile dove sembra non esserci spazio per noi che ci nutriamo dell’esperienza e dei buoni sentimenti. In assenza di ciò, svaniamo. Pertanto, sopraggiunge, di conseguenza, un brutto male per l’animo» sospirò matusalemme. «Quale sarebbe?» domandai perplessa. «L’inerzia: la morte dello spirito» dissero entrambi in sincrono in modo singolare. Trattenni un risolino.
«Non credo di vivere nell’inerzia» sbottai boriosa, «ho una vita attiva e non solo sui social network. Sono laureata, ho amici, un marito, un lavoro…» cercai nella mente altre cose valide da aggiungere all’elenco. «Non penso che lei, solitamente, faccia scelte che mi riguardino più di tanto, Signorina…»disse il nonnetto con tono di rimprovero. «E non credo che tu viva con tanta passione, cara Lulù» aggiunse l’altra gentilmente.
«Fate un esempio. Non comprendo. Poi siete qui, solo per salvarvi la pelle a quanto pare» contrastai.
«Saccente» affermò Edoardo. «Se noi dovessimo scomparire vivremmo comunque, tuttavia, in una dimensione diversa da questa. Siamo preoccupati per la sua eventuale triste sorte. Disperazione e solitudine sono pronti ad abbracciarla e la condurranno alla morte». Una forte pressione mi colpì al cervello e poi al petto. Avvertì delle scosse intense sul mio corpo. «Che mi sta succedendo?» domandai spaventata.
Mi ritrovai scaraventata in una stanza di ospedale e guardai me stessa su un lettino circondata da medici ed infermieri.
«La sfiducia e la disperazione ti porteranno questa miseria» sentì il tocco di una mano delicata sulla spalla. Continuavo ad esser fatta di carne ed ossa. Avvertivo odori e provavo sensazioni.
Osservai i dottori esser frenetici nel mantenermi in vita fra lavande gastriche e varie flebo. Un EEG segnava le variazioni della mia attività cerebrale.“Cosa ho fatto?” chiesi incredula. «Non riuscivi ad accettare alcune delusioni. Hai rinunciato a te stessa per compiacere la melma di alcune persone che ti sono attorno».
«Com’è potuto accadere?» farfugliai angosciata. «Significa che hai rinunciato ai tuoi valori, al tuo credo e alla saggezza che di norma accompagnavano le tue scelte di vita. Così, il buonsenso ti è venuto a mancare un po’ alla volta. È così che accade nei sentieri bui». Rispose lentamente. Osservavo su quel lettino una me distrutta in lotta fra la morte e la vita.
«Quando ho deciso di lasciarmi andare cosi, Signor Edoardo?» mi voltai per guardarlo in volto. «Quando hai iniziato a cedere all’infedeltà nelle tue relazioni. Convertisti l’ingenuità nella malizia, e diventasti ipocrita e vendicativa con le persone che amavi. Il perdono ti divenne sconosciuto e il tuo cuore incespicò in un’aridità devastante. Nessuna passione, nessun amore in nessuna operosità, così la tua intelligenza andava ad atrofizzarsi, in concomitanza al convincimento, che l’amore non esiste. Iniziò a tormentarti il nichilismo e l’idolatria della bellezza effimera. Rinunciasti all’amore di tuo marito per quel tuo collega, e ai tuoi figli, per calarti nell’assurdità di questo era ingannevole. Crescesti i figli del disinteresse e della perdizione. E quante vite sciupate per colpa dei tuoi falsi consigli».
Iniziai a piangere davanti a quell’atroce verità. Divenni insopportabile perfino a me stessa e mi scrutai invecchiata e sudicia. «Mi sono uccisa per ciò sto lì, inerme?».
«Non possiamo rivelarti altre verità» mormorò la signora dai bei capelli.«Badi bene alle sue scelte che se sbagliate, attirano tragiche conseguenze a catena» mormorò Edoardo. Questa volta fu più comprensibile. Forse perché mi vide ampiamente turbata.
Percepì il segnale dell’EEG emettere quel suono, a molti spaventoso. Sentì il cuore stringersi in una morsa.Caddi nello sconforto più profondo. Singhiozzai.Urlai.
«Ciao Luisa…».
Il flusso dei miei pensieri ad occhi aperti fu interrotto. Ero alla scrivania con il pc acceso in attesa di scrivere quel dannato articolo sui tradimenti. Avevo ancora la mente offuscata.“Ciao Luca” ricambiai il saluto cortesemente. «Allora, jogging domenica mattina e caffè insieme?» propose sorridente. «No!» gridai spaventandolo a morte. Mi ripresi, «Scusami, ci ho ripensato. Domenica è stato bello passare la mattinata insieme fra i boschi. Ma credo che ci andrò con la mia famiglia». «Peccato… ci avevo sperato sul serio» chiuse la porta e mi lasciò sola nel mio ufficio. Sospirai liberandomi i polmoni. Iniziai a scrivere l’articolo soddisfatta e dal davanzale della finestra, notai un gattopardo e un corvo fissarmi.
Roberta Palladino