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Il mulino degli elfi (Anna Bartolomei)

C’era una volta una laboriosa famiglia di elfi che viveva in un antico e misterioso mulino.

Dairon e Naimi lo avevano ereditato dalle zie, le fate. Si erano trasferiti lì, fin da quando erano molto giovani, per ristrutturarlo e rimanerci a vivere per sempre. Avevano avuto tre figli, due maschi e una femmina: Beleg, il maggiore, Gelmir, il mezzano ed infine Estel, la più piccola.

La vita, al mulino, trascorreva serenamente nonostante ci fossero sempre tante cose da fare e imprevisti da affrontare: erano tutti molto uniti e si aiutavano volentieri l’un l’altro.

Il mulino era immerso nel bosco, circondato da un grande giardino, da un ricco orto con frutteto e da dorati campi di grano.

Naimi era una cuoca molto brava che sapeva sfruttare al meglio i prodotti che, in quel terreno fertile, ubertoso, venivano coltivati. La sua rinomata marmellata di peperoncini, era solo una delle tante prelibate specialità che le venivano richieste, in grande quantità, dagli gnomi delle botteghe dei paesi vicini. E la sua abilità non era limitata solo a queste: in estate, sfornava tutte le mattine, per la colazione della famiglia, ottime crostate con le more raccolte nel frutteto, accompagnate da squisito succo di ribes o da altre bacche arbustive commestibili che crescevano spontanee nel bosco; durante i mesi invernali, invece, sapeva riscaldare lo spirito e il corpo con un suo speciale sciroppo di mirtilli, addolcito con il miele ricavato dalle arnie e con altri distillati di innumerevoli erbe, la cui ricetta era segreta, ma che ben si accordavano con pastosi biscotti di farina di castagne, zenzero e semi di papavero. In certe fredde serate, quando il buio calava presto, Naimi faceva tostare e caramellare noci e nocciole che poi, insieme ai suoi cari, si abbandonava pigramente a sgranocchiare davanti al grande camino in pietra nella più ampia sala del mulino.

Dairon, elfo ingegnoso ed energico, era sempre impegnato nei più svariati lavori, a seconda delle stagioni, e portava spesso con sé i due figli Beleg e Gelmir. Dei due, Gelmir era quello che più si appassionava alla cura dell’orto e del frutteto, mentre Beleg, più grande e robusto, si occupava preferibilmente della sistemazione della legna che, tutti e tre, tagliavano a primavera.
Estel, poiché era la più piccolina, aiutava, per quanto poteva, Naimi nelle pulizie di casa e, qualche volta, anche in cucina. In estate, dava una mano a Gelmir nell’orto: nella raccolta dei pomodori, dei fagioli rossi, dei fagiolini verdi, delle fragole giganti, molto succose, anche se un po’ meno dolci delle fragoline selvatiche del bosco.

Fra i tanti lavori da svolgere, la bella famigliola riusciva però anche a ritagliarsi dei momenti di pausa per rilassarsi e godere della gioia di ritrovarsi tutti insieme: si organizzava, allora, per fare delle piacevoli gite nel bosco, alla ricerca di funghi, o per recarsi nei pressi di un piccolo lago vicino a fare dei ricchi pic-nic e a pescare.

Per almeno tre giorni a settimana, Naimi e Dairon, avevano stabilito che i loro figli dedicassero due ore allo studio della storia e della grammatica elfica oltre che della matematica e della geometria.

Estel, forse per la giovane età, era, dei tre fratelli, la più sognatrice: aveva un animo fantasioso e uno spirito artistico. Spesso, soprattutto durante le ore di studio, la scoprivano intenta a disegnare o a scrivere filastrocche, in versi rimati, molto carine. Naimi, infatti, da quando si era accorta dei suoi talenti, aveva cominciato a incaricarla di decorare le torte che sfornava e di creare delle belle confezioni per le marmellate, i liquori e le altre specialità che vendeva.

Così passavano i mesi, le stagioni, gli anni…
Estel divenne una bella signorina. Aveva mantenuto, addirittura potenziato, perfezionato, la sua creatività e le sue abilità artistiche, tanto che, un giorno, decise di provare a realizzare un sogno che aveva fin da quando era piccola: costruire, cioè, una meravigliosa ruota, perfettamente funzionante, per il suo amato mulino.

Quando le fate, le zie di Naimi, vivevano al mulino, avevano fatto togliere dalla sua sede naturale la grande e potente ruota, pericolosa per le loro ali sottili e delicate. Da allora, se ne era persa ogni traccia: la maestosa ruota era andata perduta per sempre. L’argomento della ruota e della sua ricollocazione era stato affrontato in famiglia e scartato, anni prima, poi nessuno ne aveva più parlato.

Estel, temendo che la sua idea non sarebbe stata ben accolta, si mise all’opera nella più assoluta segretezza. Poco lontano dal mulino, nel bosco, c’era un vecchio seccatoio abbandonato, ma in buone condizioni: un laboratorio perfetto per Estel, che attese l’inizio della primavera, quando la neve era ormai sciolta del tutto e il terreno asciutto, per iniziare a lavorare al suo progetto. Si era informata, senza darlo a vedere, anni prima, sulle dimensioni che avrebbe dovuto avere la ruota e sul legname migliore con il quale costruirla. Aveva chiesto al padre di spiegarle i requisiti fondamentali che avrebbe dovuto avere per un corretto funzionamento. La prima cosa che fece, fu disegnare la ruota sopra un grande foglio di carta per capire quali pezzi le sarebbero serviti per i vari ingranaggi. In seguito, partì alla ricerca dei primi attrezzi utili da sottrarre, senza farsi scoprire, dalla loro baracca-magazzino rifornitissima. Il primo ostacolo che le si presentò fu quello di riuscire a trovare il legno più resistente, più adatto allo scopo.

Quelli erano i giorni in cui tutto, al mulino, si risvegliava dall’inverno e c’erano tanti lavori da iniziare: Gelmir doveva preparare la terra dell’orto per la semina di nuove coltivazioni; Beleg doveva occuparsi di tagliare la legna in piccoli pezzi, adatti alla stufa; Dairon, invece, s’era assunto l’impegno di sistemare il recinto del giardino, danneggiato dalle grandi nevicate.

Inizialmente, Estel non aveva tenuto conto della contemporaneità della sue e di queste altre attività, indispensabili, e temeva che la sua famiglia potesse scoprirla, prima o poi, in qualche modo. Aveva preso, praticamente sottratto, alcuni pezzi della legna che tagliava Beleg e sapeva che Dairon, alle prese con i pali di legno del recinto, avrebbe presto avuto bisogno proprio di quel martello, leggero e maneggevole, che aveva preso lei.

Il primo ad accorgersi che mancavano dal loro posto alcuni attrezzi fu Gelmir. Geloso delle sue cose e molto ordinato e preciso, non aveva dubbi: qualcuno era entrato nella sua baracca e li aveva presi di nascosto. Anche Beleg notò che qualcosa non gli tornava proprio: quando tagliava la legna, infatti, teneva ben conto dei pezzi che ammucchiava, non li ammonticchiava a caso, così da assicurare una scorta sufficiente, matematicamente calcolata, anche per far fronte all’inverno peggiore. Gli bastò dare una rapida occhiata al suo legname per accorgersi che ne mancava una certa quantità. I due fratelli ne parlarono tra di loro e poi informarono anche il padre che, a sua volta, stava considerando che accadevano dei fatti strani, da un po’ di tempo, intorno a loro.

Estel, in quei giorni, presa com’era dal suo progetto segreto, non si faceva vedere da nessuno per giornate intere e non collaborava più alle faccende di casa: cosa che, naturalmente, preoccupava molto Naimi. Una sera, prima di andare a dormire, Naimi fece partecipe della sua preoccupazione anche Dairon, il quale le confidò che, pure secondo lui, stavano accadendo delle cose inspiegabili. Dairon, però, astuto com’era, forse s’era già fatto un’idea sulla causa di tante stranezze, ma non ne fece parola. Il mattino seguente, però, chiese a Beleg e a Gelmir di seguire Estel quando usciva, furtivamente, di casa. I due fecero proprio così e videro Estel dirigersi verso il seccatoio abbandonato. Raggiunsero il posto e, non visti, sbirciarono all’interno scoprendo che gli attrezzi e parte della legna mancante erano proprio lì, ma non sapevano spiegarsene il motivo. Che fu loro chiaro dopo poco, quando Estel, che non si era accorta di essere osservata, uscì dal seccatoio con il disegno di una meravigliosa ruota, tra le mani, per osservarlo meglio alla luce del giorno.

I fratelli corsero velocemente a casa a raccontare a Dairon e a Naimi ciò che avevano visto e che li aveva lasciati senza parole per la sorpresa. Dairon, senza lasciar capire quanto fosse piacevolmente colpito dalla scoperta, disse a tutti di far finta di niente. In cuor suo, da tempo sospettava che Estel avesse a che fare con le stranezze che accadevano e ora gliene era stata data la certezza. Quella sera, durante la cena che vedeva tutti riuniti, Dairon decise di fare un certo discorso: «Vorrei dire qualcosa di molto importante a tutti voi: la nostra famiglia è unica e speciale. E sapete perché? Le giornate, per noi, sono sempre ricche e gioiose; non ci manca niente, giusto? Il motivo di ciò è molto semplice, proprio come la vita che conduciamo: siamo molto uniti, non abbiamo segreti tra di noi e lavoriamo sempre in comunione! Ecco cos’è che determina la nostra forza e la nostra felicità». A queste belle parole tutti alzarono i bicchieri per brindare, solo Estel, consapevole di essere l’oggetto del discorso del padre, piena di vergogna, abbassò lo sguardo. Dairon, allora, riprese a parlare con profonda dolcezza: «Mia cara Estel, mio dolce e brillante tesoro, abbiamo scoperto ciò che stai progettando. Pensiamo che la tua idea sia fantastica! Perché non ci hai detto niente? Temevi che non ci sarebbe piaciuta? Posso dire, a nome di tutti, che siamo fieri di te, della tua ingegnosità e creatività. Immagino che tu sia in non poche difficoltà, però, nel cercare di realizzare un progetto così impegnativo. Che ne diresti se la tua magica ruota la costruissimo tutti insieme?»
Estel si sentì una vera sciocchina per aver dubitato della solidarietà della sua famiglia, ma sorrise piena di gioia e carica di un nuovo entusiasmo.

La mattina seguente, tutta la famiglia si mise all’opera: per qualche giorno, i vari impegni e lavori di ciascuno, potevano essere anche trascurati a favore di quell’unico, comune, intento. Estel potè contare sull’aiuto di Dairon che, saggio ed esperto, dirigeva i lavori; Beleg, pratico di conti e con alcune nozioni di architettura, controllava le misure dei vari pezzi; Gelmir, svelto e attento, era stato incaricato di procurare gli arnesi e i materiali adatti ad ogni occorrenza; Naimi, un po’ artista come la figlia, s’era offerta di occuparsi delle cura e della levigatura delle parti della ruota che apparivano più grezze. Ognuno di loro aveva in sé le capacità fondamentali e sostanziali per la buona riuscita del progetto ambizioso rappresentato dalla grande ruota per il mulino che, nel giro di una settimana, infatti, fu pronta.

Lucida, maestosa, quasi imponente, la ruota fu subito posizionata, pronta per essere impiegata al meglio. L’antico mulino aveva ancora la sua ruota e l’emozione fu forte, per tutti, quando iniziò a girare. Naimi pensò che avrebbe potuto macinare da sola la farina per i suoi dolci; Gelmir ideò subito un nuovo impianto di irrigazione per l’orto e il frutteto; Dairon e Beleg studiarono come avviare un sistema di segheria.

Dairon si sentì fiero di Estel, e pure lei, a quel punto, si sentì veramente soddisfatta.

La famiglia decise di dare una festa, di invitare tutte le fate e gli gnomi dei dintorni per mostrare loro la bellissima e utile ruota che sarebbe servita un po’ a tutta la comunità.

Naimi cucinò, per l’evento, tante buonissime torte, con la farina macinata dalla ruota. La succosa e coloratissima frutta di Gelmir andò a decorare, dentro ad eleganti vassoi in legno intarsiato, un grande tavolo in giardino circondato da graziosissime sedie e pratici sgabelli: realizzazioni di Dairon e di Beleg e primi riuscitissimi esperimenti della nuova, ma già attivissima, segheria. Estel tornò al suo compito di aiutare Naimi a completare gli addobbi e ad abbellire, come sapeva fare lei, i tanti dolci destinati ad appagare tutti i gusti.

La giornata di festa si rivelò davvero splendida e tutti gli invitati rimasero stupiti ed ammirati nel vedere l’utile opera dei loro industriosi amici elfi.

Il mulino degli elfi aveva avuto nuovamente la sua dinamica ruota! A questo si applaudì e si brindò. Ma la morale profonda di quanto accaduto fu che Estel comprese e sperimentò l’importanza dell’unione, della collaborazione e, soprattutto, dell’amore della famiglia.

Anna Bartolomei

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