Marco Casula

Marco Casula, l’italiano che vive dove non c’è il virus e che non sa quando tornare

Marco Casula vive a 1.000 chilometri dal Polo Nord. Lassù, al freddo e tra panorami unici, il coronavirus non è arrivato. Ha raggiunto a inizio gennaio la Base Dirigibile Italia del Cnr a Ny-Alesund, nell’arcipelago delle Svalbard, in Artico. Ricercatore dell’Istituto di scienze polari del Consiglio Nazionale delle Ricerche vive al riparo dal Covid-19. Ma ancora non sa quando potrà far ritorno in Italia. Un rientro che era previsto nei primi giorni di marzo.

Dove si trova, con esattezza?

«Sono partito dall’Italia il primo gennaio per la stazione di ricerca Dirigibile Italia, che il Consiglio Nazionale delle Ricerche gestisce nelle Isole Svalbard, a Ny-Alesund, una cittadina a solo uso esclusivo di ricerca scientifica che si trova a circa 1.000 km dal Polo Nord».

Sa quando potrà tornare in Italia?

«Sarà proprio il coronavirus a deciderlo. All’inizio, la data di rientro era ai primi di marzo, poi posticipata ai primi d’aprile, per motivi tecnici e organizzativi».

Trova pesante questa situazione personale?

«Noi che lavoriamo qui in Artico, quando partiamo in missione, diamo la massima flessibilità: sappiamo che potrebbero esserci degli imprevisti di qualunque genere che ci portano a cambiare i programmi iniziali, ad esempio un collega che non sta bene e non può venire a darci il cambio. Adesso, nessun collega può venire qui e rimango io, anche perché ho la responsabilità di portare avanti il mio lavoro e non interrompere la serie climatica di dati che l’Italia sta raccogliendo in Artico da oltre 10 anni».

Il coronavirus le impedisce di tornare ma da lei non è arrivato

«Mi trovo in uno dei due luoghi sulla Terra – con l’Antartide, dove ci sono altri colleghi del Cnr – che non sono stati toccati dal Covid-19. Una situazione impensabile al momento della partenza. Innanzitutto io ho scelto questa condizione: data la tipologia della ricerca polare, vivere isolati non è inconsueto. E poi la mia attuale condizione di isolamento non è proprio la stessa che vivono gli italiani e i cittadini di tanti Paesi: io posso uscire, godermi questi ambienti unici e magnifici, avere contatti umani con i colleghi delle altre stazioni di ricerca internazionali, anzi ho tutto lo spazio che voglio a disposizione e credo che abbiano molte più difficoltà le persone che si trovano costrette a rimanere chiuse in casa loro, per non dire di coloro che sono in quarantena o ricoverati. In questo senso mi ritengo in una posizione privilegiata e poi la dimensione internazionale che vivo qui mi induce a guardare la situazione italiana nel contesto di quella dei Paesi delle persone che frequento e dalle quali ho informazioni di prima mano su come vivono il coronavirus le altre nazioni».

L'aurora boreale da Ny Alesund
L’aurora boreale da Ny-Alesund

Tanto tempo in Artico le fa sentire la lontananza dell’Italia?

«Trovo comunque fondamentale avere quello che io chiamo un buon abito mentale. Fare una cosa che si ama, come nel mio caso, alleggerisce il peso della lontananza e della solitudine, anzi sto vivendo questa situazione come un allenamento per una prossima missione in Antartide, che mi piacerebbe poter fare. In ogni caso possono tenermi in costante contatto con i miei genitori e i miei amici attraverso internet, per rassicurarmi sulle loro condizioni».

È solo o ci sono altre persone con le?

«Io sono il solo italiano tra i 30 ricercatori presenti a Ny-Alesund, ma questa piccola comunità in questo momento particolare è unita più che mai. Intanto dal punto di vista lavorativo: io e i miei colleghi di altre nazionalità collaboriamo per portare avanti le rispettive attività di ricerca a lungo termine e, dato il numero ridotto di persone presenti, quando finiamo il nostro lavoro se possiamo aiutiamo gli altri. Ma ci sentiamo molto uniti anche dal punto di vista umano, c’è davvero tanto calore, il primo con cui ho stretto rapporti è stato proprio un ricercatore cinese. In questa cittadina, che per me ormai è una sorta di famiglia, nessuno è straniero e i rapporti vanno oltre le difficoltà che alle volte si possono incontrare, come quelle linguistiche. Non nego che alle volte un momento di tranquillità da solo me lo prendo volentieri…».

In che cosa consiste il suo lavoro?

«La mia attività principale riguarda il campionamento di particolato atmosferico e di neve superficiale, in pratica consiste nel gestire gli strumenti che raccolgono il particolato su filtri che poi verranno analizzati in laboratorio in Italia. Altri strumenti analizzano invece le caratteristiche delle particelle in tempo reale, ma vanno comunque controllati periodicamente. Per quanto riguarda la neve, ogni giorno raccolgo dei campioni nei primi centimetri del manto, li peso, catalogo e dopo un primo processamento li congelato, in attesa che vengano spediti anch’essi per essere analizzati. Queste attività, oltre a permettere la caratterizzazione chimico/fisica del particolato atmosferico e quindi la identificazione delle sue sorgenti, permette anche di stimare qual è l’effetto di deposizione del particolato stesso causato dalla precipitazione nevosa. Tutte queste informazioni sono utili allo studio dei processi e dei cambiamenti climatici in corso. Oltre a queste attività, mi occupo poi di risolvere i problemi che si possono verificare nella strumentazione installata qui da diversi Istituti di ricerca italiani, dagli strumenti meteorologici ai contatori di raggi cosmici».

Please follow and like us: