In Toscana, viviamo di bellezza da anni, da quando abbiamo scoperto che il turismo può essere un’industria, ed anche remunerativa. Spesso, troppo presi da tanta bellezza che circonda questa nostra regione, ci dimentichiamo di essere una delle locomotive d’Italia che vive anche di industria e manifatturiero.
Ci dimentichiamo della Pharma Valley fra Siena, Firenze e Arezzo, del cuore italiano della moda a Scandicci, delle cartiere a Lucca, delle cave a carrara, del porto a Livorno, della Piaggio o della Continental a Pisa. Forse più spesso ci ricordiamo delle piccole realtà, della manifattura, del cuoio, del comparto profumiero, dei vini e delle tante piccole eccellenze che popolano questa regione.
Perché queste attività sono l’espressione materiale della bellezza di una regione che ha sempre un piede nel futuro e uno nel passato, un piede nell’avanguardistica piana fiorentina ed uno nei piccoli borghi che la caratterizzano. Davanti a questo scenario, la crisi che ci aspetta spaventa, perché la nostra “Fiat” (intesa come sineddoche di quando la Fiat impiegava mezza Torino) rischia di fermarsi, il turismo con il suo incalcolabile indotto rischia un arresto brutale. Non è trascurabile se consideriamo che in Toscana muove quasi il 15% del Pil.
La stagione turistica avrebbe dovuto essere già iniziata in primavera ma ad ora non può e non riesce a partire, complici le misure restrittive ancora in atto. Le casse dei piccoli comuni soffrono, così come le tasche di chi lavora in questo settore, dal chiosco in spiaggia all’isola d’Elba al grande hotel di Firenze. Ma non sono solo i piccoli comuni (che fanno del turismo quasi la totalità della propria economia) a soffrire.
Recentemente il sindaco di Firenze Nardella ha minacciato di spegnere l’illuminazione cittadina per mancanza di fondi. Anche il modello Firenze, senza la tassa di soggiorno, si scioglie come neve al sole. E non è tanto la caduta disastrosa delle piccole realtà a spaventare, quanto piuttosto la crisi delle “grandi potenze”. Quando Milano o Firenze fanno fatica ad andare avanti che futuro aspettarsi per i piccoli paradisi turistici?
Non è facile per gli operatori del settore pianificare il domani, in una giungla normativa poco chiara che vede imprenditori confusi e decisi a lasciare questa stagione orfana di lettini ed ombrelloni, sperando di avere la forza, il prossimo anno, di ripartire. Fanno eco le proteste dei proprietari degli stabilimenti, spesso con spazi ridotti a disposizione (Isola d’Elba, Capraia isola, Isola del Giglio) e impossibilitati a rispettare le distanze (ancora non chiare e troppo aleatorie).
Davanti a preoccupazioni legittime, ci si chiede se non possa essere proprio la bellezza toscana dei piccoli centri a fare da traino alla ripartenza, vedendo agriturismi, borghi e campagne come mete tranquille di turisti locali (sui quali si punta molto) ma non solo. La paura del virus, la noia delle misure restrittive può essere un motivo, ancora una volta, per scegliere la Toscana. Quella imperturbabile degli agriturismi, delle isole, dei luoghi magici lontani dalla ressa.
D’altronde la grandezza della Toscana sta nel piccolo. Serve avvicinare anche chi viene da soli cento chilometri di distanza, far innamorare della qualità a portata di mano, l’assenza delle code che ci perseguitano da mesi, la possibilità di rilassarsi davvero, davanti ad un bicchiere di vino e un viale di cipressi. Ora più che mai serve innalzare quel brand che la Toscana rappresenta nel mondo, non sarà la panacea in tempo di pandemia, non eviterà l’impatto disastroso, ma lo attutirà, permettendo di ferirsi senza morire, la Toscana può e deve farlo.