Matteotti assassinato

Il 10 giugno 1924 Giacomo Matteotti viene assassinato da una squadra fascista su ordine di Benito Mussolini

Giacomo Matteotti, nell’ultima fotografia scattata prima dell’omicidio

Politico socialista, giornalista e antifascista italiano, segretario del Partito Socialista Unitario, formazione nata da una scissione del Partito Socialista Italiano, e deputato al parlamento, Giacomo Matteotti fu rapito e assassinato da una squadra fascista capeggiata da Amerigo Dumini per volontà esplicita di Benito Mussolini, a causa delle sue denunce dei brogli elettorali attuati dalla nascente dittatura nelle elezioni del 6 aprile 1924 e delle sue indagini sulla corruzione del governo, in particolare sulla vicenda delle tangenti della concessione petrolifera alla Sinclair Oil. Matteotti, nel giorno del suo omicidio (10 giugno) avrebbe dovuto infatti presentare un nuovo discorso alla Camera dei deputati, dopo quello sui brogli del 30 maggio, in cui avrebbe rivelato le sue scoperte riguardanti lo scandalo finanziario coinvolgente anche Arnaldo Mussolini, fratello minore del Duce. Il corpo di Matteotti fu ritrovato circa due mesi dopo, dal brigadiere Ovidio Caratelli.

Matteotti fu eletto in Parlamento per la prima volta nel 1919, in rappresentanza della circoscrizione Ferrara-Rovigo. Fu rieletto nel 1921 e nel 1924, e veniva soprannominato Tempesta dai suoi compagni di partito per il suo carattere battagliero ed intransigente. In pochi anni, oltre a preparare numerosi disegni di legge e relazioni, intervenne 106 volte in Aula, con discorsi su temi spesso tecnici, amministrativi e finanziari. Per il carattere meticoloso e l’abitudine allo studio, passava ore nella Biblioteca della Camera «a sfogliare libri, relazioni, statistiche, da cui attingeva i dati che gli occorrevano per lottare, con la parola e con la penna, badando a restare sempre fondato sulle cose». Dopo i fatti del dicembre 1920 a Ferrara divenne il nuovo segretario della camera del Lavoro cittadina, e questo produsse un rinnovato impegno nella sua lotta antifascista, con frequenti denunce delle violenze che venivano messe in atto. Nel 1921 pubblicò una famosa “Inchiesta socialista sulle gesta dei fascisti in Italia“, in cui si denunciavano, per la prima volta, le violenze delle squadre d’azione fasciste durante la campagna elettorale delle elezioni del 1921.

Il 30 maggio 1924 Matteotti prese la parola alla Camera dei deputati per contestare i risultati delle elezioni tenutesi il precedente 6 aprile. Mentre dai banchi fascisti si levavano contestazioni e rumori che lo interrompevano più volte (un deputato fascista, Giacomo Suardo, abbandonò l’aula per protesta) Matteotti, denunciando una nuova serie di violenze, illegalità ed abusi commessi dai fascisti per riuscire a vincere le elezioni, pronunciava un discorso che sarebbe rimasto famoso:

«[…] Contestiamo in questo luogo e in tronco la validità delle elezioni della maggioranza. […] L’elezione secondo noi è essenzialmente non valida, e aggiungiamo che non è valida in tutte le circoscrizioni. […] Per vostra stessa conferma (dei parlamentari fascisti) dunque nessun elettore italiano si è trovato libero di decidere con la sua volontà… […] Vi è una milizia armata, composta di cittadini di un solo Partito, la quale ha il compito dichiarato di sostenere un determinato Governo con la forza, anche se ad esso il consenso mancasse.»

Riguardo la responsabilità di Mussolini come mandante dell’omicidio, si ha una ricostruzione accreditata anche dal Ministero dell’interno italiano per cui Mussolini, rientrato al Viminale dopo il famoso discorso del deputato socialista si rivolse a Giovanni Marinelli (a capo, insieme a Rossi, della polizia segreta fascista Ceka, capitanata dallo squadrista Amerigo Dumini) urlandogli: «Cosa fa questa Ceka? Cosa fa Dumini? Quell’uomo dopo quel discorso non dovrebbe più circolare…» Il fatto che queste parole fossero effettivamente una chiara e ben compresa autorizzazione di Mussolini, è sostenuto dalla maggior parte delle teorie storiografiche.

Il 3 gennaio 1925, alla Camera, Mussolini respinse inizialmente l’accusa di un suo coinvolgimento diretto nel delitto Matteotti, sfidando anzi i Deputati a tradurlo davanti alla Suprema Corte in forza dell’articolo 47 dello Statuto Albertino. Successivamente però, con un improvviso cambio di tono, si assunse personalmente, in due vicini passaggi del suo discorso, la responsabilità sia dei fatti avvenuti e sia di aver creato il clima di violenza in cui tutti i delitti politici compiuti in quegli anni erano maturati, trovando anche parole per riaffermare, di fronte ad alleati ed avversari, la sua posizione di capo indiscusso del fascismo:

«Ma poi, o signori, quali farfalle andiamo a cercare sotto l’arco di Tito? Ebbene, dichiaro qui, al cospetto di questa Assemblea e al cospetto di tutto il popolo italiano, che io assumo, io solo, la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto. Se le frasi più o meno storpiate bastano per impiccare un uomo, fuori il palo e fuori la corda! Se il fascismo non è stato che olio di ricino e manganello, e non invece una passione superba della migliore gioventù italiana, a me la colpa! Se il fascismo è stato un’associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere! Se tutte le violenze sono state il risultato di un determinato clima storico, politico e morale, ebbene a me la responsabilità di questo, perché questo clima storico, politico e morale io l’ho creato con una propaganda che va dall’intervento ad oggi.»

Dopo la conclusione della seconda guerra mondiale e la nascita della Repubblica, nel 1947, in seguito al Decreto Luogotenenziale del 27.7.1944 n.159 (che rendeva potenzialmente nulle le condanne avvenute in epoca fascista superiori ai tre anni), la Corte d’Assise di Roma re-istruì il processo nei confronti di Giunta, Rossi, Dumini, Viola, Poveromo, Malacria, Filippelli, Panzeri (Giovanni Marinelli era stato fucilato a Verona dagli stessi fascisti). Con la revisione del processo, Dumini, Viola e Poveromo furono condannati all’ergastolo (poi commutato in 30 anni di carcere), Cesare Rossi venne assolto per insufficienza di prove, mentre per gli altri imputati si ravvisò il non luogo a procedere a causa dell’amnistia Togliatti disposta dal Dpr 22.6.1946 n.4. Solo sei anni dopo il Dumini verrà amnistiato. In nessuno dei tre processi venne mai accertata la responsabilità diretta di Mussolini, ma tutti coloro che sono stati riconosciuti implicati nell’omicidio furono esponenti o sostenitori del regime fascista.

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