In occasione della Giornata mondiale contro lo sfruttamento del lavoro minorile, 12 giugno, Terre des Hommes lancia l’allarme per il drammatico aumento del lavoro minorile in seguito alla pandemia.
Già prima della pandemia 152 milioni di minori dovevano lavorare e 386 milioni di bambini in tutto il mondo vivevano in condizioni di povertà estrema. A questi, a causa del Covid-19, si aggiungeranno altri 66 milioni di minori caduti nel baratro della povertà se non verranno prese adeguate misure. «Per milioni di bambini la crisi causata dal Covid-19 ha il volto della fame, dello sfruttamento e della fine di ogni speranza di opportunità educative. È fondamentale che i governi nazionali e la comunità internazionale diano priorità ai bisogni dei bambini delle fasce di popolazione più svantaggiate nei loro programmi di aiuto per la pandemia di Covid-19», ha detto Paolo Ferrara, direttore generale di Terre des Hommes. «Oltre agli aiuti alle famiglie si pensi anche a sostenere attivamente l’istruzione. La riapertura delle scuole deve essere accompagnata da programmi di recupero scolastico per evitare che i bambini abbandonino la scuola e finiscano per lavorare».
Questo, purtroppo, in molti casi è già accaduto.
Ritu, 12 anni, lavora come domestica dall’inizio del lockdown. Fino ad allora, lei e i suoi due fratelli andavano alla scuola pubblica in una baraccopoli della città di Davanagere, nello stato indiano del Karnataka. Anche se suo padre lavorava come spazzino, il cibo in casa è sempre stato scarso. Dopo il lockdown decretato dall’India dal 23 marzo le scuole sono state chiuse e il padre non ha potuto più lavorare. Già due giorni dopo la famiglia non aveva né soldi né provviste. Per andare avanti il padre di Ritu ha trovato un lavoro per sua figlia come domestica di una famiglia della classe media. Adesso la bambina lavora tutta la settimana e guadagna 1.000 rupie al mese, l’equivalente di circa 12 euro. Questo lavoro è illegale, sia a causa del coprifuoco, sia perché in India non si può lavorare fino all’età di 14 anni.
Ritu è una delle milioni di bambine e bambini nel mondo che la crisi economica conseguente l’emergenza Covid sta strappando dalla scuola e costringe a lavorare in condizioni di sfruttamento.
Se prima della pandemia i bambini erano colpiti in modo sproporzionato dalla povertà2 e oltre 152 milioni di loro lavoravano, 73 dei quali occupati in una delle peggiori forme di lavoro minorile (schiavitù, prostituzione, lavori forzati, pericolosi, attività illegali), si stima che altri 66 milioni di bambini siano a rischio di povertà estrema a causa del Covid-19.
Particolarmente colpiti sono i bambini i cui genitori lavorano nel settore informale come venditori ambulanti, domestiche, spazzini, lavoratori edili o agricoli (nei paesi in via di sviluppo questo settore può arrivare al 95% degli occupati). Secondo le stime dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, a maggio 2020 1,6 miliardi di persone impiegate nel settore informale hanno visto azzerarsi il loro reddito a causa della chiusura totale. Ciò si tradurrà inevitabilmente in un forte incremento del lavoro minorile. A rischio anche i minori già svantaggiati, come bambini di strada, orfani o abbandonati, minori rifugiati, migranti, bambini che vivono in zone di conflitto.
Le organizzazioni partner di Terre des Hommes stanno osservando un aumento ben visibile del lavoro minorile in molti Paesi dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina. Nelle grandi città ci sono più bambini che chiedono l’elemosina, o vendono merce per strada. Nelle piantagioni i bambini in età scolare lavorano con i genitori. Nelle Filippine, con la perdita dei proventi dal turismo e la chiusura delle scuole, sono sempre di più i minori che si prostituiscono davanti alla webcam. L’Europol ha dichiarato che globalmente la domanda di pornografia infantile in rete è aumentata con l’inizio del lockdown.
Secondo l’Unesco, a maggio 1,5 miliardi di studenti in 186 paesi non hanno potuto frequentare la scuola per il lockdown. La chiusura delle scuole ha significato la perdita del più importante pasto per 365 milioni di bambini, spesso l’unico pasto del giorno. L’alternativa è la fame.
Nei Paesi più poveri milioni di ragazze e ragazzi stanno perdendo completamente il loro legame con la scuola ed è altamente probabile che non tornino più a scuola, perché devono contribuire al reddito familiare. I bambini provenienti da famiglie povere che vivono in zone senza elettricità o che non possono permettersi computer e connessioni internet non hanno la possibilità di seguire la didattica a distanza. Questo significa che il loro rendimento scolastico, spesso già scarso, alla riapertura sarà talmente basso che sarà impossibile recuperare il tempo perduto.
Inoltre, la chiusura delle scuole e dei centri giovanili ha azzerato un sistema informale ma efficace di allarme contro la violenza domestica, i matrimoni precoci e lo sfruttamento dei bambini. È indispensabile che vengano messe in atto tutte le misure possibili perché la loro riapertura avvenga nel più breve tempo possibile.