Il 12 settembre 1919 il poeta nazionalista italiano Gabriele d’Annunzio a capo di 2500 “legionari” al motto di “O Fiume o morte” occupa la città di Fiume.
La città multietnica di Fiume era un Corpus separatum e municipio autonomo dell’Impero austro-ungarico. Un censimento del 1910 (nel quale fu richiesta la lingua d’uso), calcolò una popolazione di 49 806 abitanti: 24 212 dichiaravano di parlare l‘italiano. Durante le trattative di pace del 1918, l’Italia ottenne le terre “irredente”: Trento, Trieste e l’Istria. Il presidente statunitense Woodrow Wilson tuttavia si oppose all’annessione italiana di altre terre. I territori contesi erano, in particolare, la regione della Dalmazia, (parte della quale era stata richiesta dall’Italia nel patto di Londra) e la città Fiume, situata in una regione prevalentemente croata ma reclamata da Roma in quanto abitata in maggioranza da italofoni.
A Fiume, nell’aprile 1919 l’irredentista fiumano Giovanni Host-Venturi e l’esponente nazionalista Giovanni Giuriati crearono una milizia di volontari filo-italiani per resistere in caso di annessione jugoslava della città. Nel frattempo Gabriele D’Annunzio si era recato a Roma per tenere una serie di comizi in favore dell’italianità di Fiume. I discorsi di D’Annunzio coinvolsero un numero crescente di reduci e adolescenti. Questa campagna diede origine al mito della vittoria mutilata, un modello di revanscismo che reclamava l’annessione all’Italia dell’intera costa orientale dell’Adriatico, nonostante fosse in larga parte popolata da croati (a sud di Fiume, la sola città a maggioranza italiana era Zara).
Tra la primavera e l’estate 1919, la situazione a Fiume divenne sempre più incandescente, a causa delle tensioni tra attivisti irredentisti (appoggiati dai militari italiani) e militari francesi, filo-jugoslavi. I militari più politicizzati erano alcuni battaglioni dei Granatieri. I reparti lasciarono Fiume il 25 agosto, accompagnati da manifestazioni irredentiste, e si acquartierarono a Ronchi di Monfalcone. Qui, sette ufficiali determinati a tornare a Fiume inviarono a D’Annunzio una lettera, invitandolo a sostenere la lotta irredentista. Ai primi di settembre D’Annunzio promise il suo sotegno ai cospiratori garantendo che il 7 settembre 1919 avrebbe raggiunto Ronchi per guidare il ritorno dei granatieri a Fiume. I molti dubbi e un’improvvisa influenza lo costrinsero a ritardare l’impresa all’11 settembre.
il 12 settembre 1919 iniziò così l’occupazione di Fiume la quale durò 16 mesi con alterne vicende, tra cui la proclamazione della Reggenza italiana del Carnaro, uno stato indipendente proclamato dai dannunziani a Fiume a causa del fallimento del loro proposito di ottenere l’annessione della città all’Italia. Quando i ribelli si opposero al Trattato di Rapallo, il governo italiano sgombrò la città con la forza durante il Natale 1920, per permettere la creazione dello Stato libero di Fiume.
Lo storico Roberto Vivarelli, indica nell’Impresa di Fiume una svolta decisiva del processo di decadimento e di crisi dello Stato liberale in Italia. L’impresa contribuì a rendere pubblica ed esasperatamente chiara la realtà di uno Stato debole oberato da interessi di parte e spesso corrotto. In questo contesto Mussolini, appoggiò la sortita di D’Annunzio e ne sfruttò il momento propizio. Mussolini comprendeva l’intuito di D’Annunzio: l’impresa era la grande occasione per restituire all’Italia quella unità che il patto di Londra le aveva sottratto. Il fascismo fu influenzato per molti aspetti dall’esperienza fiumana: oltre ai riti e ai simboli del combattentismo, assumerà anche i modi di praticare la politica, come l’imposizione di determinati slogan e valori tramite la comunicazione di massa, il culto del capo, la repressione delle opposizioni.
Immagine d’apertura: D’Annunzio (al centro con il bastone) con alcuni legionari a Fiume nel 1919
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