Bruciato sul rogo Giordano Bruno

Il 17 febbraio 1600 a Campo de’ fiori a Roma, il filosofo Giordano Bruno viene bruciato sul rogo per eresia.

Non esistono molti documenti sulla gioventù di Bruno. È lo stesso filosofo, negli interrogatori cui fu sottoposto durante il processo che segnò gli ultimi anni della sua vita, a dare le informazioni sui suoi primi anni. “Io ho nome Giordano della famiglia di Bruni, della città de Nola vicina a Napoli dodeci miglia, nato ed allevato in quella città“, e più precisamente nella contrada di san Giovanni del Cesco, ai piedi del monte Cicala, forse unico figlio del militare, l’alfiere Giovanni, e di Fraulissa Savolina, nell’anno 1548. Il Mezzogiorno era allora parte del Regno di Napoli, compreso nella monarchia spagnola: il bambino fu battezzato col nome di Filippo, in onore dell’erede al trono di Spagna Filippo II.

Nel 1576 la sua indipendenza di pensiero e la sua insofferenza verso l’osservanza dei dogmi si manifestarono inequivocabilmente. Bruno, discutendo di arianesimo con un frate domenicano, Agostino da Montalcino, ospite nel convento napoletano, sostenne che le opinioni di Ario erano meno perniciose di quel che si riteneva. Appassionato di teologia e filosofia antica e moderna, dotato di animo irrequieto e fervido acume non incline all’accettazione di dogmi senza averli prima sviscerati nel profondo, gradualmente matura la convinzione panteistica – ispirata ad Eraclito – che Dio è l’universo pur nella sua molteplicità; ma in tempi di piena Controriforma, forse i più bui nella storia della Chiesa cattolica romana, la sua teoria gli costa l’accusa di eresia, costringendolo ad abbandonare Napoli.

Bruno ripara a Roma dove, nel 1576, lascia l’abito talare. Riprende a viaggiare per l’Italia, da Roma a Nola, a Savona, a Venezia, fino ad approdare a Ginevra. Dalla Svizzera si trasferisce a Tolosa, in Francia, dove si dedica all’insegnamento e a Parigi, nel 1582, scrive le sue prime opere, fra le quali “De umbris idearum” e “Il Candelaio” (in verità la sua prima opera, “De’ segni de’ tempi”, risale al 1577). Dal 1583 al 1585 è in Inghilterra, dove prosegue la produzione letteraria con la pubblicazione de “La cena delle ceneri” e “De l’infinito universo et mondi”: pubblicate nel 1584, entrambe sposano le teorie copernicane sulla natura e sull’eliocentrismo, pur contrapponendo al mondo finito di Copernico la sua idea di infinità dell’universo, ed accantonano definitivamente i postulati aristotelici; con “Spaccio de la bestia trionfante” (1584) e “Degli eroici furori” (1585), pone la conoscenza dell’universo quale fine ultimo della vita; del 1584 è anche “De la causa principio et uno”.

Nel 1591 è in Germania, a Francoforte, ed anche qui continua a scrivere componendo tre poemetti latini “De triplici, minimo et mensura”, “De monade, numero et figura” e “De immenso et innumerabilibus”.

Nello stesso anno è invitato a Venezia dal nobile Giovanni Mocenigo che desidera essere da lui istruito sulla mnemotecnica (tecnica impiegata da Bruno per memorizzare tantissime informazioni) e, probabilmente, avviato alla magia. Giordano Bruno si trasferisce dunque nella città lagunare, non presagendo che quella decisione gli sarà fatale: il Mocenigo, infatti, impressionato dalle idee fortemente temerarie dell’ex sacerdote fino ad apparirgli inquietanti e blasfeme, lo denuncia al Sant’Uffizio facendolo arrestare e processare prima a Venezia, dove ritratta in parte le proprie posizioni; poi l’inquisizione romana avoca a sé il processo e chiede, ottenendola nel 1593, l’estradizione dalla Repubblica lagunare.

Il 27 febbraio 1593 Bruno è rinchiuso nelle carceri romane del Palazzo del Sant’Uffizio. Nuovi testi, per quanto poco affidabili, essendo tutti imputati di vari reati dalla stessa Inquisizione, confermano le accuse e ne aggiungono di nuove.

Giordano Bruno fu forse torturato alla fine di marzo 1597, secondo la decisione della Congregazione presa il 24 marzo, stando all’ipotesi avanzata da Luigi Firpo e Michele Ciliberto, una circostanza negata invece dallo storico Andrea Del Col.Giordano Bruno non rinnegò i fondamenti della sua filosofia: ribadì l’infinità dell’universo, la molteplicità dei mondi, il moto della Terra e la non generazione delle sostanze – “queste non possono essere altro che quel che sono state, né saranno altro che quel che sono, né alla loro grandezza o sostanza s’aggionge mai, o mancarà ponto alcuno, e solamente accade separatione, e congiuntione, o compositione, o divisione, o translatione da questo luogo a quell’altro“. A questo proposito spiega che “il modo e la causa del moto della terra e della immobilità del firmamento sono da me prodotte con le sue raggioni et autorità e non pregiudicano all’autorità della divina scrittura“. All’obiezione dell’inquisitore, che gli contesta che nella Bibbia è scritto che la “Terra stat in aeternum” e il Sole nasce e tramonta, risponde che vediamo il Sole “nascere e tramontare perché la Terra se gira circa il proprio centro“; alla contestazione che la sua posizione contrasta con “l’autorità dei Santi Padri“, risponde che quelli “sono meno de’ filosofi prattichi e meno attenti alle cose della natura“. Il filosofo sostiene inoltre che la Terra è dotata di un’anima, che le stelle hanno natura angelica, che l’anima non è forma del corpo, e come unica concessione, è disposto ad ammettere l’immortalità dell’anima umana.

Il processo di Giordano Bruno, bassorilievo del basamento della statua in Campo de’ Fiori dello scultore Ettore Ferrari

Il 12 gennaio 1599 è invitato ad abiurare otto proposizioni eretiche, nelle quali si comprendevano la sua negazione della creazione divina, dell’immortalità dell’anima, la sua concezione dell’infinità dell’universo e del movimento della Terra, dotata anche di anima, e di concepire gli astri come angeli. La sua disponibilità ad abiurare, a condizione che le proposizioni siano riconosciute eretiche non da sempre, ma solo ex nunc, è respinta dalla Congregazione dei cardinali inquisitori, tra i quali il Bellarmino. Una successiva applicazione della tortura, proposta dai consultori della Congregazione il 9 settembre 1599, fu invece respinta da papa Clemente VIII. Nell’interrogatorio del 10 settembre Bruno si dice ancora pronto all’abiura, ma il 16 cambia idea e infine, dopo che il Tribunale ha ricevuto una denuncia anonima che accusa Bruno di aver avuto fama di ateo in Inghilterra e di aver scritto il suo Spaccio della bestia trionfante direttamente contro il papa, il 21 dicembre rifiuta recisamente ogni abiura, non avendo, dichiara, nulla di cui doversi pentire.

L’8 febbraio 1600, al cospetto dei cardinali inquisitori e dei consultori Benedetto Mandina, Francesco Pietrasanta e Pietro Millini, è costretto ad ascoltare in ginocchio la sentenza che lo scaccia dal foro ecclesiastico e lo consegna al braccio secolare. Giordano Bruno, terminata la lettura della sentenza, secondo la testimonianza di Caspar Schoppe, si alza e ai giudici indirizza la storica frase: “Maiori forsan cum timore sententiam in me fertis quam ego accipiam” (“Forse tremate più voi nel pronunciare contro di me questa sentenza che io nell’ascoltarla“). Dopo aver rifiutato i conforti religiosi e il crocefisso, il 17 febbraio, con la lingua in giova – serrata da una mordacchia perché non possa parlare – viene condotto in piazza Campo de’ Fiori, denudato, legato a un palo e arso vivo. Le sue ceneri saranno gettate nel Tevere.

Immagine d’apertura: Giordano Bruno in una stampa dell’epoca

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