Il 23 marzo 1919 in Piazza San Sepolcro a Milano vengono fondati ufficialmente i Fasci di combattimento, precursori del Partito nazionale Fascista di Benito Mussolini.
Il 2 marzo 1919 apparve su Il Popolo d’Italia un comunicato in cui si indiceva una riunione programmatica per il 23 dello stesso mese e le prime adesioni giunsero già il 4 marzo da Genova da parte del Fascio dei Reduci di guerra “Italia Redenta” e del circolo “Pensiero e Azione“. In seguito da parte di diverse associazioni combattentistiche sparse in tutta Italia e circa 500 adesioni a titolo individuale.
Il comunicato fu rinnovato il successivo 9 marzo sul Popolo d’Italia: «Il 23 marzo sarà creato l'”antipartito” sorgeranno cioè i Fasci di Combattimento, che faranno fronte contro due pericoli: quello misoneista di destra e quello distruttivo di sinistra“.
La sera del 21 marzo 1919, nei locali dell’Associazione Commercianti ed Esercentiin piazza San Sepolcro 9 (palazzo Castani) fu ufficialmente fondato il Fascio di Combattimento di Milano, il cosiddetto “Fascio primigenio“. Al termine della prima riunione fu formata la Giunta del Fascio di Combattimento milanese composta da: Benito Mussolini, Ferruccio Vecchi, Enzo Ferrari, Michele Bianchi, Mario Giampaoli, Ferruccio Ferradini, e Carlo Meraviglia. Si stabilì inoltre che l’adunata del 23 sarebbe stata presieduta dal capitano degli arditi Ferruccio Vecchi e segretario della giunta esecutiva fu nominato Michele Bianchi.
Dopo Mussolini intervenne Filippo Tommaso Marinetti che invitò gli intervenuti a contrastare il Partito socialista che accusò di sferrare un assalto alla Nazione (era il periodo del biennio rosso) sfruttando “la necessità di maggior giustizia sociale” delle folle operaie. Seguì un breve intervento di Mario Carli che portò l’adesione di alcuni Fasci futuristi come quello di Roma, Firenze, Perugia e Taranto. Le linee guida di Mussolini, messe ai voti, furono approvate all’unanimità dall’assemblea.
L’assemblea fu sospesa per riprendere i lavori nel pomeriggio. Celso Morisi presentò un ordine del giorno, approvato per acclamazione, a favore degli operai della Dalmine e di Pavia che pur essendo entrati in sciopero e avendo occupato le fabbriche avevano continuato ugualmente a lavorare. Seguirono poi gli interventi di Malusardi e di Giovanni Capodivacca che richiese di “dare un contenuto esatto all’azione fascista” e in particolare di “fare propri i problemi urgenti dell’assistenza ai danneggiati della guerra“. L’intervento di Capodivacca provocò ulteriori precisazioni di Mussolini che prese nuovamente la parola gettando le basi del Corporativismo e anticipando la costituzione della Camera dei Fasci e delle Corporazioni.
“L’attuale rappresentanza politica non ci può bastare; vogliamo una Rappresentanza diretta dei singoli interessi, perché io come cittadino, posso votare secondo le mie idee, come professionista devo poter votare secondo le mie caratteristiche professionali. Si potrebbe dire contro questo programma che si ritorna alle corporazioni, non importa. Si tratta di costituire dei Consigli di categoria che integrino la rappresentanza sinceramente politica.” (Dal discorso del 23 marzo 1919)
Intervennero numerosi altri convenuti tra cui Luigi Razza e Giovanni Marinelli. Michele Bianchi fece l’unico intervento in parte critico della giornata sottolineando che “Tutto ciò che la società attuale contiene di ostacoli per il mantenimento sociale sarà da eliminarsi. Perfettamente d’accordo. Soltanto che, prima ancora dell’eliminazione, dovremo creare l’organismo, il sistema, l’ingranaggio da mettere al posto di quello di cui intendiamo disfarci“
Fin dai propositi dichiarati da Mussolini si vede l’obiettivo di creare la “terza via” fra i due opposti poli al di sopra delle divergenti opinioni dei partiti, e sviluppandosi nell’ambito delle teorie moderniste sull’Uomo nuovo: “Noi ci permettiamo di essere aristocratici e democratici, conservatori e progressisti, reazionari e rivoluzionari, legalisti e illegalisti, a seconda delle circostanze di tempo, di luogo e di ambiente“
Il Manifesto dei Fasci italiani di combattimento, alla cui stesura aveva collaborato attivamente Alceste De Ambris, fu ufficialmente pubblicato su Il Popolo d’Italia il 6 giugno 1919. Nel manifesto vengono avanzate numerose proposte di riforma politica e sociale, rappresentando nelle intenzioni la terza via tra i due opposti poli di destra e sinistra. Solo parte di queste vennero realizzate durante il periodo del regime fascista (1922–1943). Pur riprese successivamente durante la Repubblica Sociale Italiana come la socializzazione delle imprese e dei mezzi di produzione, rimasero sostanzialmente inapplicate a causa degli eventi bellici.
Alle elezioni politiche del maggio 1921 esponenti fascisti si candidarono nelle liste dei Blocchi Nazionali eleggendo 35 deputati, tra cui lo stesso Mussolini, mentre due furono eletti in liste dei Fasci italiani di combattimento. Al terzo congresso di Roma nel novembre 1921 fu deciso lo scioglimento del movimento che contava già 312 000 iscritti e fu creato il Partito Nazionale Fascista. La denominazione rimase tuttavia ad indicare le strutture territoriali locali del nuovo partito, tra cui la Federazione dei Fasci di Combattimento a livello provinciale.
Immagine d’apertura: camicie nere fasciste durante la Marcia su Roma, il 27 ottobre 1922, tre anni dopo la nascita dei Fasci di combattimento
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