Nella grande sala d’aspetto di un ospedale romano, una giovane donna dagli occhi tristi, mi racconta di essere rimasta sola, abbandonata da quella persona da cui credeva di essere amata, e da cui si sarebbe aspettata che avrebbe rallentato la sua corsa affannosa per rivolgerle lo sguardo, tenderle la mano e invece, non solo, non è stata capace di trovare neppure una parola di conforto, si è prima persa dentro a silenzi assordanti e poi è fuggita via.
Ripenso a Stefania, in fila con me per un’ecografia, ha 48 anni, è un avvocato, ha il capo coperto da un foulard colorato, il volto nascosto dalla mascherina che la fa respirare con affanno, i suoi occhi scuri già mi parlano e mi mostrano tutta la tristezza del suo spirito guerriero ferito, non è stata ancora operata e sta già facendo la chemio per ridurre il suo tumore. Mi racconta del suo compagno scappato quasi subito. Non ha retto poverino e per questo l’ha lasciata sola con un bimbo di 6 anni , che quando la vede triste e dolorante, dopo la terapia, corre sul letto per abbracciarla e la invita a sorridere toccandole le labbra e spingendone i bordi verso l’alto, con i suoi due piccoli indici.
Beatrice Coia
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