Io lo so bene come ci si sente ad abbracciare il tutto.
Una notte di plenilunio, con le cicale intente a frinire, il signor Guidi e il signor Costa intenti a fumare, l’aria serena del vespro ancora calda dell’afa del giorno, raffreddata solo dalla stasi degli uomini che contemplano il mondo sul finir del lavoro; in quel dì di un’estate vicina all’autunno io mi trovavo assieme agli altri ad attendere che una ad una ogni spirale e voluta di fumo lasciasse per sempre la pipa.
Eravamo emozionati, si capisce, all’idea di venire al mondo per davvero: alle nostre spalle un lungo e umido canale oscuro che alcuni di noi chiamavano ‘abisso’ si attivava a impulsi regolari producendo un vento che ci risucchiava nel profondo del suo incavo.
Ma noi ci tenevamo forte e stretti l’un l’altro in attesa che ‘il grande sole’ si accendesse e quel fuoco che ci bruciava tutti s’infiammava in concomitanza con la grande tempesta alle nostre spalle, tanto che i più arguti di noi avevano messo in relazione i due fenomeni per affermare che non vi è fuoco senza aria.
Davide Madeddu
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