Il 5 maggio 1945 le avanguardie della 3ª Armata americana liberano il campo di concentramento nazista di Mauthausen, il quale è così l’ultimo dei principali campi nazisti a essere liberato dagli alleati.
Mauthausen era un campo di concentramento nazista situato su una collina sopra la città di Mauthausen (circa 20 chilometri a est di Linz), in Austria. Era il campo principale di un gruppo includente quasi 100 ulteriori sottocampi dislocati in tutta l’Austria e nella Germania meridionale. I tre campi di concentramento di Gusen all’interno e intorno al villaggio di St Georgen / Gusen, a pochi chilometri da Mauthausen, detenevano una percentuale significativa di prigionieri all’interno del complesso del campo, a volte superando il numero di prigionieri nel campo principale di Mauthausen.
Il campo principale di Mauthausen operò dal tempo dell’Anschluss, quando l’Austria fu annessa alla Germania nazista l’8 agosto 1938, fino al 5 maggio 1945, alla fine della seconda guerra mondiale in Europa. A partire dal campo di Mauthausen, il numero di sottocampi si espanse nel tempo e nell’estate del 1940 Mauthausen e i suoi sottocampi erano diventati uno dei più grandi complessi di campi di lavoro nella parte dell’Europa controllata dai tedeschi.
Come in altri campi di concentramento nazisti, i reclusi a Mauthausen e nei suoi sottocampi furono costretti a lavorare come schiavi, in condizioni disumane che causarono innumerevoli morti. Mauthausen e i suoi sottocampi includevano cave, fabbriche di munizioni, miniere, fabbriche di armi e impianti che assemblavano aerei da combattimento. Nel gennaio 1945, i campi contenevano circa 85.000 detenuti. Il bilancio delle vittime rimane sconosciuto, sebbene la maggior parte delle fonti lo collochi tra 122.766 e 320.000 per l’intero complesso.
Il lager di Mauthausen, il sabato del 5 maggio 1945, fu raggiunto dalle avanguardie della 3ª Armata americana, che entrano dalla Porta mongola. Fu l’ultimo dei principali campi nazisti a essere liberato
La popolazione di Mauthausen era in stragrande maggioranza formata da ragazzi, moltissimi oramai ridotti in condizioni terminali. Le precarie condizioni fisiche dei sopravvissuti portarono a un’alta mortalità anche dopo la liberazione, a causa dello stato di denutrizione e debolezza estreme, non sempre affrontate con adeguate terapie e profilassi di riabilitazione fisica e alimentare dalle truppe alleate, impreparate a questa emergenza. Larghi squarci sono aperti sul reticolato di filo spinato ormai senza più corrente elettrica e i deportati escono, finalmente liberi, a cercare cibo, parenti o amici sopravvissuti nel vicino lager di Gusen. Si formano squadre di prigionieri armate a cercare le SS fuggitive.
Brutta sorte ebbero diverse guardie SS che, dopo essere fuggite, furono ricatturate dai prigionieri; riportate al lager, furono linciate dalla popolazione del campo. Pappalettera, testimone oculare, racconta che di alcuni di loro non rimase che una traccia fisionomica sul terreno. Furono riaccesi i forni crematori per rappresaglia a massacratori come “il Negro”, che uccideva i prigionieri fischiettando. Si dice che alcune guardie furono gettate vive nei forni.
Le truppe del generale Patton entrando a Mauthausen trovano cataste di morti, 16 000 deportati vivi, dei quali circa 3 000 muoiono di stenti subito dopo la liberazione; altre migliaia, invece, muoiono dopo alcuni mesi, nonostante le cure. Gli americani, oltre a prestare vettovagliamento e cure per gli ex prigionieri, incendiano il Revier, focolaio di epidemie, e usano il nuovo DDT per disinfettarli dai numerosi parassiti.
Il comandante del campo Ziereis muore a Gusen il 25 maggio 1945, in conseguenza delle ferite riportate durante la cattura, dagli alleati. Rilascerà una deposizione in cui tenta di scagionarsi dalle sue responsabilità dicendo di aver ubbidito a ordini superiori, incolpando Himmler, Kaltenbrunner, Heydrich, Polh, Glucks e altri graduati SS “… quelli di Berlino“, nonostante avesse organizzato metodi per i massacri e le uccisioni e spesso ironizzato sugli atti di crudeltà, come confermano i nomi dati ai sistemi di eliminazione. Il “Muro del pianto”, l’operazione Kugel Erlass (“decreto pallottola”), il “Muro dei paracadutisti“, il messaggio di “benvenuto” che personalmente dava ai nuovi arrivati indicando il camino del crematorio come unica uscita dal lager, la “raccolta dei lamponi” (vedi metodi di sterminio) furono alcune delle sue meschine invenzioni. Non fu mai rimosso dal suo incarico poiché apprezzato per i suoi “meriti speciali” da Himmler, che il 20 aprile 1944 lo promosse SS Standartenführer. Si arricchì con il bottino rubato ai prigionieri tanto da potersi permettere anche di comprare un piccolo aeroplano personale. Le sue ultime parole furono “Non sono un uomo malvagio!“.
Il suo corpo fu appeso dagli ex prigionieri sul filo spinato di una recinzione del campo di Gusen, «oramai priva di corrente elettrica». Dopo la liberazione alleata, il controllo del campo passò quasi subito dalle mani statunitensi a quelle sovietiche (l’Austria sarà infatti divisa in sfere d’influenza, analogamente alla Germania, fino al 1955) che ne fecero per un breve periodo anche una caserma prima di riconsegnarlo alle autorità austriache, il 20 giugno 1947, dietro la garanzia di farne un luogo di commemorazione. Dal 1949 il campo divenne quindi “Monumento pubblico di Mauthausen“, sorsero i primi monumenti commemorativi e fu reso accessibile al pubblico.
Il 16 maggio 1945, in occasione del rimpatrio del primo contingente di deportati, quello sovietico, si tenne sul piazzale dell’appello una grande manifestazione antinazista, al termine della quale fu approvato il testo di questo appello, noto come il “Giuramento di Mauthausen“
«Si aprono le porte di uno dei campi peggiori e più insanguinati: quello di Mauthausen. Stiamo per ritornare nei nostri paesi liberati dal fascismo, sparsi in tutte le direzioni. I detenuti liberi, ancora ieri minacciati di morte dalle mani dei boia della bestia nazista, ringraziano dal più profondo del loro cuore per l’avvenuta liberazione le vittoriose nazioni alleate, e salutano tutti i popoli con il grido della libertà riconquistata. La pluriennale permanenza nel campo ha rafforzato in noi la consapevolezza del valore della fratellanza tra i popoli.
Fedeli a questi ideali giuriamo di continuare a combattere, solidali e uniti, contro l’imperialismo e contro l’istigazione tra i popoli. Così come con gli sforzi comuni di tutti i popoli il mondo ha saputo liberarsi dalla minaccia della prepotenza hitleriana, dobbiamo considerare la libertà conseguita con la lotta come un bene comune di tutti i popoli. La pace e la libertà sono garanti della felicità dei popoli, e la ricostruzione del mondo su nuove basi di giustizia sociale e nazionale è la sola via per la collaborazione pacifica tra stati e popoli. Dopo aver conseguito l’agognata nostra libertà e dopo che i nostri paesi sono riusciti a liberarsi con la lotta, vogliamo:
conservare nella nostra memoria la solidarietà internazionale del campo e trarne i dovuti insegnamenti;
percorrere una strada comune: quella della libertà indispensabile di tutti i popoli, del rispetto reciproco, della collaborazione nella grande opera di costruzione di un mondo nuovo, libero, giusto per tutti;
ricorderemo sempre quanti cruenti sacrifici la conquista di questo nuovo mondo è costata a tutte le nazioni.
Nel ricordo del sangue versato da tutti i popoli, nel ricordo dei milioni di fratelli assassinati dal nazifascismo, giuriamo di non abbandonare mai questa strada. Vogliamo erigere il più bel monumento che si possa dedicare ai soldati caduti per la libertà sulle basi sicure della comunità internazionale: il mondo degli uomini liberi!
Ci rivolgiamo al mondo intero, gridando: aiutateci in questa opera!
Evviva la solidarietà internazionale!
Evviva la libertà!»
Mauthausen fu uno dei primi imponenti complessi di campi di concentramento nella Germania nazista e l’ultimo ad essere liberato dagli alleati. I due campi più grandi, Mauthausen e Gusen I, erano classificati come campi di concentramento di “Grado III” (Stufe III), il che significava che dovevano essere i campi più duri per gli “incorreggibili nemici politici del Reich“. Mauthausen non ha mai perso questa classificazione di Stufe III. Negli ambienti dell’Ufficio di sicurezza principale del Reich (Reichssicherheitshauptamt; RSHA) era indicato con il soprannome di Knochenmühle – il macina ossa (letteralmente mulino per ossa).
A differenza di molti altri campi di concentramento, che erano destinati a tutte le categorie di prigionieri, Mauthausen fu utilizzato principalmente per lo sterminio, attraverso il lavoro, dell’intellighenzia – persone istruite e membri delle classi sociali superiori nei paesi soggiogati dal regime nazista durante la seconda guerra mondiale. Il campo principale di Mauthausen è ora un museo.
Immagine d’apertura: il 5 maggio 1945 i carri dell’11ª Divisione corazzata USA entrano nel campo di concentramento di Mauthausen dalla “Porta mongola”.
Bibliografia e fonti varie
- Stanisław Dobosiewicz (2000). Mauthausen–Gusen; w obronie życia i ludzkiej godności [Mauthausen–Gusen; in defence of life and human dignity]. Warsaw: Bellona. pp. 191–202. ISBN83-11-09048-3.
- Günter Bischof; Anton Pelinka (1996). Austrian Historical Memory and National Identity. Transaction Publishers. pp. 185–190. ISBN 1-56000-902-0.
- Haunschmied, Mills, Witzany-Durda (2008), pp. 172–175.
- Geoffrey R. Walden (2 July 2000). “Gusen Concentration Camp / Project B-8 “Bergkristall” Tunnel System”. The Third Reich in Ruins.
- Hermann Langbein, Per la storia dei campi di concentramento nazionalsocialisti (PDF), Provincia di Torino
- Vincenzo Pappalettera, Tu passerai per il camino: vita e morte a Mauthausen, prefazione di Piero Caleffi, Milano, Mursia, 1965, pp. 256.
- Il Memoriale Archiviato il 31 gennaio 2011 in Internet Archive., Mauthausen memorial
- Il “Giuramento di Mauthausen”, su deportati.it.
- Stanisław Dobosiewicz (1977). Mauthausen/Gusen; obóz zagłady [Mauthausen/Gusen; the Camp of Doom]. Warsaw: Ministry of National Defence Press. p. 449. ISBN 83-11-06368-0.
- David Wingeate Pike (2000). Spaniards in the Holocaust: Mauthausen, Horror on the Danube. London: Routledge. p. 480. ISBN 0-415-22780-1.
- Władysław Gębik (1972). Z diabłami na ty [Calling the Devils by their Names]. Gdańsk: Wydawnictwo Morskie. p. 332.