Un viaggio affascinante nell’Europa bizzarra e zingaresca degli anni Trenta nelle oltre cento fotografie dell’artista, esposte a Venezia. A cura di Victoria Combalía, fino al 14 luglio, a Palazzo Fortuny.
“Non era bella in senso classico, ma era un tipo che non si dimenticava facilmente”. Lo scrisse James Lord, conquistato dalla grazia di Dora Maar, cittadina del mondo di origini franco-croate, fotografa sensibile di un’Europa che stava avviandosi sull’orlo della catastrofe. Una vita affascinante, quella di Henriette Theodora Marković (Parigi 1907-1997), che trascorse parte dell’infanzia in Argentina, a Buenos Aires, al seguito del padre architetto, dal 1915 al 1920. Un lungo soggiorno che contribuì a saldare in lei l’eleganza parigina, la severità mitteleuropea e la solarità zingaresca di una terra, l’Argentina appunto, ancora in fase di assetto istituzionale; un contatto ravvicinato con popoli e culture fra loro molto diversi, che istillò a Dora un profondo interesse per la multiforme fiesta della vita, che – in quegli anni Trenta nei quali dette il meglio di sé come artista -, ancora riservava un curioso mélange di quadretti ottocenteschi e una decisa impronta modernista. L’Avanguardia europea, che Dora conobbe nella sua Parigi, cercava del resto un punto d’incontro estetico e concettuale fra tradizione e modernità, rintracciabile, ad esempio, nell’arte tribale africana che Picasso assorbirà nel primo Cubismo. Anziché cercare un’analoga sintesi, Dora – che dal 1928 lavorava come fotografa di moda, dopo il diploma all’École de Photographie conseguito due anni prima -, s’inserì nel milieu della fotografia artistica, che in quegli anni conosceva un grande fermento creativo, grazie a figure quali Atget, Brassaï, Cartier-Bresson.
Eccola Dora Maar (questo il nome de plume da lei scelto), una Marlène sotto la pioggia, come ci appare nel ritratto realizzato da Man Ray: naso cesellato e sguardo pensoso, una bellezza mitteleuropea, come le sue origini croate dimostrano. Croata ma insieme cittadina del mondo, Dora viaggiatrice fra Europa e Sud America, spirito libero e attivista del gruppo rivoluzionario Masses con George Bataille, al quale fu legata fra il ’33 e il ’34.
La splendida cornice di Palazzo Fortuny ospita Dora Maar. Nonostante Picasso, raffinata mostra che presenta, suddivisa in sette sezioni – Ritratti dell’artista; Fotografie di strada; Il viaggio in Spagna; Lo sguardo surrealista; Gli amici; Moda, pubblicità, nudi; Picasso -, una produzione fotografica attenta alle frange marginali della società come mendicanti e vagabondi, alla vita quotidiana dei chiassosi mercatini, ai suoi aspetti più eccentrici, come il negozio di tatuaggi a Londra.
Un’atmosfera precaria, magica, cruda, tragica, che rivivrà diversi anni dopo nella pellicola di Fellini La strada, quella che Dora sceglie per le sue fotografie, scattate fra le bidonville della periferia, chiassosi mercatini e fiere, angoli eccentrici come un negozio di tatuaggi; luoghi circensi, ammantati di bizzarria. E quella stranezza che, con sguardo non scevro di affetto, Dora inseguiva nell’umanità, la cercò anche nella città, nelle sue atmosfere e architetture, stravolgendole con afflato surrealista.
Trovò terreno fertile per la sua ricerca nella Spagna repubblicana e zingaresca del 1933, a Barcellona, dove i mercati notturni e l’architettura modernista furono i suoi soggetti preferiti.
Esplorò anche il genere del nudo, ed è questa la sezione che meglio dialoga con l’allestimento di Palazzo Fortuny, in particolare con la serie delle Baigneuses, esposta a fianco dei nudi femminili di Mariano Fortuny.
Un lavoro fotografico, quello di Dora, che, idealmente, riecheggia la letteratura, e si situa a metà fra I canti di Maldoror (di Lautréamont precursore del Surrealismo) e Giorni tranquilli a Clichy, piccolo capolavoro sulle avventure europee della Lost Generation. E a leggere con attenzione il romanzo di Miller, ci s’imbatte in una figura femminile inquietante, tormentata, umiliata, che si dice amante di un pittore surrealista. Chissà che non fosse un velato riferimento a Dora, alla sua relazione con Picasso (che però non era surrealista), oppure una figura ispirata a lei e alla Loringhoven insieme, che, come amante di Man Ray, certo Dora dovette incontrare e conoscere. La Parigi degli anni Trenta visse una decadenza tutta particolare, fatta di angoli silenziosi e dimenticati, solitudini cenciose, incosciente spensieratezza.
Dora le racconta, senza però perdere di vista la vivace comunità intellettuale che si riuniva attorno all’Avanguardia. Ritrasse infatti Aube Breton, Georges Hugnet, Lise Deharme Paul Éluard, e la compagna Nusch. Osservando il suo ritratto, si comprende appieno il verso che il poeta le dedicò dopo la scomparsa “J’étais si prés de toi que j’ai froid prés les autres”. Dora coglie appieno l’enigmatica bellezza della Musa del poeta, ne immortala sulla pellicola la pensosa femminilità.
C’è empatia nelle sue fotografie, con gli ambienti e gli individui ritratti, quell’empatia che è tipica delle donne belle e fragili. Figura tormentata, Dora Maar – apparentabile a Marilyn Monroe, Zelda Fitzgerald, Elsa von Freytag-Loringhoven -, vissuta nello scomodo mito dell’amante vilipesa e abbandonata di Picasso (che come artista era un genio, come uomo un po’ meno), per il quale arriverà a soffrire di una sorta di Sindrome di Stoccolma. Iniziò quella burrascosa relazione nel ’36, in contemporanea con la guerra civile spagnola, e la subì fra alti e bassi fino al ’43. Subì il suo egocentrismo e le sue umiliazioni,
Come ben spiega il titolo della mostra, Dora riuscì ad essere una grande fotografa d’arte, nonostante questa difficile relazione, che la segnò profondamente a livello psicologico, riducendola alla completa solitudine per mezzo secolo, fino alla scomparsa nel 1997. Di quella tormentata stagione, oltre ai ritratti del compagno, Dora ha tramandate ai posteri le fasi di realizzazione di Guernica, opera campale dell’arte contemporanea europea e non solo.
Ultimi bagliori, prima di chiudersi in un silenzio appartato, con brevi apparizioni in società, a fianco degli amici artisti, e qualche mostra che la salverà dall’oblio.
Riscoprirla oggi, è un atto dovuto.
Ulteriori informazioni su orari e biglietti della mostra, al sito fortuny.visitmuve.it.
Niccolò Lucarelli