Nato a Firenze il 3 maggio 1469 da Bernardo (1432-1500) e Bartolomea Nelli (1441-1496), nel 1476 iniziò lo studio del latino e negli anni immediatamente successivi anche di grammatica e aritmetica. Grazie alla nutrita biblioteca del padre, il quale era interessato alle letture umaniste, legge classici romani quali: la I Deca di Tito Livio e quelle di Flavio Biondo, opere di Cicerone, Macrobio, Prisciano e Marco Giuniano Giustino. Adulto, maneggerà anche Lucrezio e la Historia persecutionis vandalicae di Vittore Uticense. Non conobbe invece il greco antico, ma poté leggere le traduzioni latine di alcuni degli storici più importanti, soprattutto Tucidide, Polibio e Plutarco, da cui trasse importantissimi spunti per la sua riflessione sulla Storia. Due sono le fasi che scandiscono la vita di Niccolò Machiavelli: nella prima parte della sua esistenza egli è impegnato soprattutto negli affari pubblici, principalmente come Segretario della Repubblica fiorentina dal 1498 al 1512; nella successiva nella scrittura di testi di portata teorica e speculativa. La seconda fase si apre appunto a partire dal 1512 ed è segnata dal forzato allontanamento di Machiavelli dalla politica attiva.
Machiavelli fu un grande teorico della politica, secondo lui essa è il campo nel quale l’uomo può mostrare nel modo più evidente la propria capacità di iniziativa, il proprio ardimento, la capacità di costruire il proprio destino secondo il classico modello dell’homo faber fortunae suae(uomo artefice del proprio destino). Nel suo pensiero si risolve il conflitto fra regole morali e ragion di Stato che impone talvolta di sacrificare i propri princìpi in nome del superiore interesse di un popolo. La politica deve essere autonoma da teologia e morale e non ammette ideali, è un gioco di forze finalizzate al bene della collettività e dello stato. Da questa concezione, molto presente nella più celebre tra le opere di Machiavelli, “Il Principe“, deriva il significato dell’espressione “machiavellico“, con cui si indica spesso un atteggiamento cinico, spregiudicato e disinvolto nell’uso del potere. Nel Principe, scritto da Machiavelli nel 1513, egli espone le caratteristiche dei principati e dei metodi per conquistarli e mantenerli.
Altra celebre opera del Machiavelli sono i “Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio“, una serie di riflessioni e appunti che vorrebbero costituire i fondamenti di una moderna teoria politica basata sugli insegnamenti della storia della Roma antica. Dalla storia infatti Machiavelli riteneva si potesse apprendere molto. La sua concezione della storia è ciclica, per lui “Tutti li tempi tornano, li uomini sono sempre li medesimi”. La storia fornisce così i dati oggettivi su cui basarsi, i modelli da imitare, ma indica anche le strade da non ripercorrere. Tuttavia pur essendo ciclica, la concezione della storia di Machiavelli non è deterministica, a causa dell’importanza che egli attribuisce alla virtù, ovvero alla capacità dell’uomo di dominare il corso degli eventi utilizzando opportunamente le esperienze degli errori compiuti nel passato, nonché servendosi di tutti i mezzi e di tutte le occasioni per la più alta finalità dello stato, facendo anche violenza, se necessario, alla legge morale.
Immagine d’apertura: Machiavelli (particolare) ritratto postumo da Santi di Tito
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