Il calcio è la cosa più importante delle cose meno importanti. Ieri sera, però, il Paese si è fermato lì, a Wembley, nel bellissimo stadio londinese divenuto teatro dell’emozione più bella a tinte azzurre da quindici anni a questa parte.
I Mondiali 2018 in Russia l’Italia non li ha giocati, non riuscì a qualificarsi: la fine di un percorso, per l’allenatore Ventura almeno. Roberto Mancini iniziò da lì, da quelle macerie che avevano depresso un intero popolo e che piano piano, con lavoro, scelte tecniche e tanta passione hanno portato la Nazionale ad entrare di diritto nella storia del calcio, ancora una volta.
Questo Europeo, secondo nella storia dell’Italia dopo quello vinto bene 53 anni fa, è stato la vittoria del gruppo, di una bella squadra di ragazzi, chi più chi meno, che non ha smesso di crederci un attimo, dall’autogol di Demiral contro la Turchia alla prima giornata, all’ultimo rigore parato da un superbo Gianluigi Donnarumma.
Tornano a casa vincitori, tutti, soprattutto due persone però: Roberto Mancini e Gianluca Vialli. Compagni di squadra nella Sampdoria, perdenti in una finale di Champions proprio a Wembley, vincitori di un Europeo da allenatore e capo delegazione della Nazionale italiana. Lacrime di gioia, nervosismo e tanto amore per uno sport che può regalare emozioni immense come cicatrici difficili da dimenticare. Un abbraccio che contiene tutto, la vita personale di ognuno e la vita professionale di entrambe, uomini che ci hanno creduto fin dall’inizio dicendo sempre «mancano sette partite».
La pandemia, i lockdown, le distanze dalle persone care, le immagini strazianti dagli ospedali, le sirene delle ambulanze che ci hanno accompagnato troppo spesso in questo ultimo anno e mezzo: un Paese intero ieri sera si è abbracciato. Per il calcio, sì.
Se dopo l’incubo, ancora purtroppo non terminato, di una pandemia abbiamo realizzato questo sogno, allora per favore, non svegliateci.
Andrea Repek