Avevo pensato all’Islanda come a una terra fatata, abitata da orchi e folletti e non sapevo ancora perché. Leggevo storie di ogni genere su quel paese in cima alla cartina geografica che contava, in un territorio estesissimo, solo trecentomila abitanti; leggevo un Itinerario immaginario delle strade e delle leggende d’Islanda di un tale anonimo tedesco, Il paese dei Troll di un impronunciabile norvegese. Faceva un caldo soffocante nella mia città, e tutte queste storie un po’ horror lovecraftiane, un po’ da rizzare i peli e far venire la pelle d’oca perché ambientate sempre in mezzo a ghiacciai o paesaggi innevati mi rinfrescavano la mente e l’immaginazione. Mentre mia moglie mi ancorava ai doveri quotidiani che in effetti per me risultavano molto comodi, per esempio quando mi diceva “Non toccare queste storie”, riferendosi con la sua praticità ai miei libri. Mi voleva proteggere? Ancora non sapevo cosa mi spingesse verso quella terra.
Gabriele Brusacà
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