Quando l’auto dell’agenzia immobiliare fu uscita in retromarcia dal vialetto, Marco e Alessia si trovarono soli. Avevano salutato l’agente che aveva venduto loro la casa tenendosi la mano, come farebbero due gemelli con la mamma il primo giorno di scuola. Si sentivano fuori posto, umidicci e infreddoliti, ma non potevano cambiare la loro condizione, e nessuno dei due aveva voglia di ammetterlo. Li avrebbe solo fatti sentire più scorati. Fu Alessia a parlare per prima.
«Entriamo? Sta venendo buio.»
Marco si riscosse, come destandosi da un sogno.
«È meglio. Sai che non so se hanno allacciato il gas?»
«C’è la stufa a legna.»
Lui fece una risata nervosa.
«Non ho mai acceso un fuoco in vita mia, amore.»
«Neanche io, ma se ce la facevano i cavernicoli…»
Si voltarono, scrutando la loro nuova abitazione. Nella fredda giornata novembrina il sole calava presto, e a quell’ora del pomeriggio il cielo era scuro come il loro umore, ma la casa lunga e grigia risaltava anche troppo bene. Era a due piani, ma molto bassa. Sulle montagne, negli anni in cui era stata costruita, non badavano certo alla forma, e i soffitti te li trovavi attaccati alla testa. Il pianterreno era inutilizzabile, la zona abitabile era quella del piano rialzato. Vi si accedeva da una scala di sassi invasa da verdi pampini di edera, con una ringhiera arrugginita e un balconcino traballante, che sembrava poter cedere da un momento all’altro. Le imposte verdi, scolorite dal tempo e dalle intemperie, mostravano il biancore sporco del legno. Un paio di comignoli storti e anneriti dal fumo sporgevano come denti marcescenti dal tetto spiovente, fatto di irregolari lastre di pietra. Vaste chiazze di muschio prosperavano tra gli interstizi. Tutt’intorno, a esclusione del cortile dov’era parcheggiata la loro utilitaria, alberi su alberi. Dava l’idea di un posto abbandonato, e fino a poco prima lo era. Adesso non più.
Massimiliano Albicini
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