Giovedì 12 gennaio alle ore 21.00 al Teatro Verdi un programma che inizia da Schubert e arriva a uno Schönberg agli albori della sua rivoluzione musicale. Repliche a Piombino (11) e Grosseto (14).
Torna a gennaio un amico di lunga data dell’ORT, il violoncellista Mario Brunello, impegnato in
ciò che più ama: dividersi tra il suo strumento e la guida dell’orchestra. Un musicista
affascinante dotato di una rara libertà espressiva, Brunello viene proiettato sulla scena
internazionale nel 1986, divenendo il primo e unico italiano a vincere il Concorso Čaikovskij di
Mosca con in spalla il prezioso violoncello “Maggini” dei primi del Seicento, appartenuto a
Franco Rossi, uno dei fondatori del leggendario Quartetto Italiano. Ha inciso 13 dischi e
pubblicato 3 libri, tra cui Silenzio (Il Mulino) che sintetizza la sua filosofia di vita.
Non ama le strade battute, si annoia a reiterare liturgie a cui il pubblico si è ormai assuefatto.
Perciò suona sulle Dolomiti, sulle Apuane o nel deserto che da qualche tempo accoppia con un
violoncello piccolo tanto usato in epoca barocca, ma poi non più. In una fabbrica dismessa
nella sua Castelfranco Veneto, ha creato un’officina artistica per sperimentare nuove forme di
spettacolo e di condivisione culturale. Ed è per questa sua curiosità insaziabile che lui, oltre a
far tanta musica da camera, a capeggiare orchestre, a occuparsi di direzioni artistiche, sconfina
in altri generi musicali e si trova a collaborare sul palcoscenico con Vinicio Capossela, Uri
Caine, Gianmaria Testa, con l’attore Marco Paolini, lo scrittore Alessandro Baricco, il
fisico Carlo Rovelli.
Con l’ORT, imbracciando il violoncello, propone l’Arpeggione di Schubert, sonata concepita in
origine per pianoforte e arpeggione, un singolare strumento a sei corde ideato nel 1823 dal
liutaio viennese Johann Georg Stauffer come via di mezzo tra viola da gamba, violoncello e
chitarra. La sonata schubertiana è eseguita nella riscrittura per violoncello e orchestra firmata
da un grande concertista del secolo scorso, il catalano Gaspar Cassadó, musicista assai
legato alla Toscana sia come docente all’Accademia Chigiana di Siena sia per la relazione che
intrattenne con la fiorentina Giulietta Gordigiani von Mendelssohn, cantante e pianista, con
cui visse nella villa di Striano, in Mugello, fino alla morte di lei, nel 1957.
Dopodiché Brunello dirige Notte trasfigurata di un Arnold Schönberg ancora tonale che
racconta, in note, di un uomo capace di perdonare l’amata incinta di un altro. Al futuro padre
dell’atonalità e della dodecafonia si debbono il senso lancinante di oppressione emotiva e le
melodie che si avvitano su loro stesse; nonché la fede assoluta nella dottrina del contrappunto,
capace di apportare ordine e verità.
Inutile dirlo, il pezzo non piacque alla commissione per un’eventuale esecuzione pubblica.
Venne subito rigettato, ufficialmente per la presenza di un accordo molto dissonante in
posizione vietata dalle regole della composizione. Così iniziava la rivoluzione musicale di
Schönberg conosciuta anche oltre oceano, tanto che il compositore fu contattato dal capo della
hollywoodiana Metro-Goldwyn-Mayer, il quale, dopo aver “sentito alla radio la musica deliziosa
che aveva scritto”, lo voleva per la colonna sonora di un film. La leggenda narra che Schönberg
abbia risposto: “Io non scrivo musica deliziosa”
Torna a gennaio un amico di lunga data dell’ORT, il violoncellista Mario Brunello, impegnato in
ciò che più ama: dividersi tra il suo strumento e la guida dell’orchestra. Un musicista
affascinante dotato di una rara libertà espressiva, Brunello viene proiettato sulla scena
internazionale nel 1986, divenendo il primo e unico italiano a vincere il Concorso Čaikovskij di
Mosca con in spalla il prezioso violoncello “Maggini” dei primi del Seicento, appartenuto a
Franco Rossi, uno dei fondatori del leggendario Quartetto Italiano. Ha inciso 13 dischi e
pubblicato 3 libri, tra cui Silenzio (Il Mulino) che sintetizza la sua filosofia di vita.
Non ama le strade battute, si annoia a reiterare liturgie a cui il pubblico si è ormai assuefatto.
Perciò suona sulle Dolomiti, sulle Apuane o nel deserto che da qualche tempo accoppia con un
violoncello piccolo tanto usato in epoca barocca, ma poi non più. In una fabbrica dismessa
nella sua Castelfranco Veneto, ha creato un’officina artistica per sperimentare nuove forme di
spettacolo e di condivisione culturale. Ed è per questa sua curiosità insaziabile che lui, oltre a
far tanta musica da camera, a capeggiare orchestre, a occuparsi di direzioni artistiche, sconfina
in altri generi musicali e si trova a collaborare sul palcoscenico con Vinicio Capossela, Uri
Caine, Gianmaria Testa, con l’attore Marco Paolini, lo scrittore Alessandro Baricco, il
fisico Carlo Rovelli.
Con l’ORT, imbracciando il violoncello, propone l’Arpeggione di Schubert, sonata concepita in
origine per pianoforte e arpeggione, un singolare strumento a sei corde ideato nel 1823 dal
liutaio viennese Johann Georg Stauffer come via di mezzo tra viola da gamba, violoncello e
chitarra. La sonata schubertiana è eseguita nella riscrittura per violoncello e orchestra firmata
da un grande concertista del secolo scorso, il catalano Gaspar Cassadó, musicista assai
legato alla Toscana sia come docente all’Accademia Chigiana di Siena sia per la relazione che
intrattenne con la fiorentina Giulietta Gordigiani von Mendelssohn, cantante e pianista, con
cui visse nella villa di Striano, in Mugello, fino alla morte di lei, nel 1957.
Dopodiché Brunello dirige Notte trasfigurata di un Arnold Schönberg ancora tonale che
racconta, in note, di un uomo capace di perdonare l’amata incinta di un altro. Al futuro padre
dell’atonalità e della dodecafonia si debbono il senso lancinante di oppressione emotiva e le
melodie che si avvitano su loro stesse; nonché la fede assoluta nella dottrina del contrappunto,
capace di apportare ordine e verità.
Inutile dirlo, il pezzo non piacque alla commissione per un’eventuale esecuzione pubblica.
Venne subito rigettato, ufficialmente per la presenza di un accordo molto dissonante in
posizione vietata dalle regole della composizione. Così iniziava la rivoluzione musicale di
Schönberg conosciuta anche oltre oceano, tanto che il compositore fu contattato dal capo della
hollywoodiana Metro-Goldwyn-Mayer, il quale, dopo aver “sentito alla radio la musica deliziosa
che aveva scritto”, lo voleva per la colonna sonora di un film. La leggenda narra che Schönberg
abbia risposto: “Io non scrivo musica deliziosa”