Secondo uno studio italo-finlandese curato da ricercatori del Cnr e del Finnish Museum of Natural History, l’interesse mediatico verso il tema della conservazione della natura spinge, in molti casi, a utilizzare il termine in maniera inappropriata. L
I risultati di uno studio pubblicato su Current Biology da parte del Gruppo di Lavoro sulla Biodiversità del Consiglio nazionale delle ricerche in collaborazione con il Laboratory for Integrative Biodiversity Research del Finnish Museum of Natural History confermano come la parola “biodiversità” sia spesso usata in maniera inappropriata, tanto a livello generalista quanto nel mondo della ricerca scientifica.
Il termine – traduzione dall’inglese biodiversity, a sua volta abbreviazione di biological diversity, coniato alla fine degli anni ’80 dall’entomologo americano Edward O. Wilson per indicare la grande ricchezza e varietà di vita sulla Terra, intesa come l’insieme di piante, animali e microrganismi che costituiscono gli ecosistemi- è oggi entrato a far parte del linguaggio comune, soprattutto per descrivere la crisi di biodiversità che si registra a livello globale. La parola è, inoltre, entrata nella legislazione dell’Unione Europea, e inserita nell’articolo 9 della Costituzione italiana.
“Proprio per il grande interesse mediatico che riveste il tema della conservazione e gestione della natura, il termine “biodiversità” rischia di venire abusato”, afferma Stefano Mammola, ricercatore dell’Istituto di ricerca sulle acque del Consiglio nazionale delle ricerche di Verbania (Cnr-Irsa) e membro del Gruppo di Lavoro Biodiversità del Dipartimento scienze del sistema terra e tecnologie per l’ambiente dell’Ente (Cnr-Dsstta). “Ad esempio, la nostra analisi mostra che circa un quinto degli articoli scientifici che usano la parola “biodiversità” nel titolo non la misurano in alcun modo, mentre i restanti articoli – che invece calcolano sul campo la diversità biologica – in media considerano solo una porzione piccolissima della biodiversità esistente nella zona, circa il 3%, con pochi articoli maggiormente comprensivi, che arrivano a contemplare il 40% dell’insieme delle forme viventi di una data regione”.
L’articolo mostra anche, in dettaglio, le marcate differenze che si registrano tra gruppi di organismi: i vertebrati, ad esempio, vengono studiati molto di più di altri organismi; ulteriori differenze si registrano anche tra aree geografiche (percentuali minori in Africa e Sudamerica), tipo di habitat (minore in habitat terrestri rispetto a habitat acquatici), e tipo di analisi (sorprendentemente, minore biodiversità quando si usano i big data).
“Questa tendenza può rivelarsi rischiosa in quanto non restituisce la complessità del concetto di “biodiversità” e dei servizi ecosistemici da cui dipendiamo”, aggiunge Diego Fontaneto (Cnr-Irsa). “E’ importante, invece, stabilire una linea comune per porre in essere azioni di salvaguardia di questo patrimonio: il Cnr è impegnato in questa direzione sia con il Gruppo di Lavoro “Biodiversità” sia con altre importanti iniziative, come il National Biodiversity Future Center istituito recentemente grazie a fondi del Pnrr. L’obiettivo è quello di valorizzare la biodiversità e renderla un elemento centrale su cui fondare lo sviluppo sostenibile”.
La scheda
Chi: Gruppo di Lavoro “Biodiversità” del Dipartimento Scienze del sistema Terra e tecnologie per l’ambiente (Cnr-Dsstta) del Consiglio nazionale delle ricerche (https://dta.cnr.it/biodiversity/); Laboratory for Integrative Biodiversity Research del Finnish Museum of Natural History (https://biodiversityresearch.org/)