invito pananti mostra sardelli

MOSTRA SARDELLI – PADRE e FIGLIO

Firenze, 3 – 24 marzo 2023 Galleria Pananti Casa d’Aste via Maggio 28
INAUGURAZIONE ore 18:00Con Marc Sardelli e Federico Maria Sardelli

S’inaugura a Firenze il 3 marzo la mostra “SARDELLI – PADRE e FIGLIO” , visibile fino al 24 marzo alla Galleria Pananti Casa d’Aste.
Oltre 50 opere tra olii, pastelli, disegni e acquarelli: dipinti napoleonici/storici, paesaggi, vedute di Livorno o dipinti di marina quelli esposti dal padre, Marc Sardelli “Pittore di Marina” insignito del titolo dalla Marina Militare Italiana; paesaggi, autoritratti, ritratti, rappresentazioni animalesche quelli proposti dal figlio Federico Maria Sardelli, pittore, incisore, nonché scrittore e Direttore d’Orchestra di fama internazionale.

Il racconto per immagini di come in alcuni fortunati casi i talenti e le passioni di un padre possano essere tramandate al figlio, che rimodellandole sullo stampo della proprio personalità, le fa sue trovando il suo stile e la sua cifra.

Marc Sardelli, Livorno 1930, fin da subito ha seguìto la sua vocazione artistica, superando brillantemente ogni ostacolo e ogni pregiudizio del suo tempo, per rispondere a quel richiamo dell’Arte al quale in molti rispondono senza neppur esser stati chiamati.
Ha viaggiato molto, scegliendo come mete le città d’arte in Italia e all’estero, nelle quali ha continuato la sua ricerca consolidando quel bagaglio di conoscenze senza il quale non avrebbe mai potuto realizzare le moltissime opere, ricche di particolari e di autentici contenuti storici, che rispettano le realtà del tempo.
Paesaggista e ritrattista, sin dagli anni ’50 ha all’attivo moltissime mostre personali in Italia e all’estero. Grande ammiratore di Napoleone Bonaparte e delle vicende storiche legate al condottiero, continua a dipingere soggetti legati agli eventi delle storiche campagne belliche che, a più riprese, vengono proposti all’attenzione del pubblico e della critica in occasione di eventi particolari. Molte delle sue opere importanti sono conservate in musei o fanno parte di collezioni private, in particolare presso la Casa Bianca di Washington, USA, Eisenhower Collection, dal 1956 sono esposti 6 suoi acquerelli.

Federico Maria Sardelli, Livorno 1963, è pittore, direttore d’orchestra, flautista virtuoso, musicologo, compositore, scrittore satirico, autore di saggi e romanzi.
Il 28 novembre 2009 la Regione Toscana gli ha conferito il suo massimo riconoscimento, il Gonfalone d’Argento, per il suo eccezionale eclettismo artistico e le sue conquiste culturali.
La sua produzione artistica in campo pittorico comprende olii, acquerelli, serigrafie, pastelli, matite. Allievo di suo padre Marc, ha tenuto la sua prima mostra personale all’età di 14 anni.

MARC PARLA DI FEDERICO
“Parlare di mio figlio Federico? Difficile esprimersi.
Arginando sentimenti di profondo affetto e stima per un figlio caratterialmente modesto, nel tentativo di rimanere imparziale al naturale istinto di padre nell’elogio dei risultati eccezionali conseguiti nella professione esercitata, valgono i fatti. Successi negli innumerevoli settori culturali come musica, primariamente, e poi pittura, letteratura e satira.
Un figlio particolare. Sin dall’infanzia, a 5-6 anni, lasciava i compagni di gioco in giardino per salire velocemente in casa allorché udiva musica di Beethoven che quotidianamente mettevo sul giradischi.E, con le gambe incrociate, seduto sul pavimento dello studio, ascoltava silenzioso. Cosa dovevo aspettarmi nel futuro da questo figlio?
Sovente compagno dei miei frequenti viaggi di lavoro in Germania, assiso presso di me, riempiva le carte di colore, sorprendendomi per il risultato e l’età che gli si competeva. E per la modestia che gli è rimasta addosso pur dopo i risultati ed i successi ottenuti nella sua molteplice attività culturale, da adulto. Un regalo.
Un grande regalo, unitamente al fratello minore Gerardo; e devo riconoscere che il merito va anche espresso doverosamente alla mamma che lo ha ‘disegnato’ e completato così nel suo carattere sin da bambino.”.

FEDERICO PARLA DI MARC
“Sono un figlio fortunato. Le passioni che mi animano hanno trovato il modo di esser coltivate e trasformate da velleità in mestiere. La prima di queste, ad affacciarsi nella mia vita di bambino, è stata la pittura. E, con una simile passione addosso, è facile comprendere che ritrovarsi un padre pittore sia un caso ben fortunato. È sempre difficile e insidioso discutere di talento, natura, predisposizione, senza cadere nel determinismo di Democrito o nelle sciocchezze dell’idealismo romantico. Che possa esistere una disposizione genetica, un talento naturale o un’inclinazione congenita a far qualcosa, non voglio negarlo né sostenerlo, perché scivolerei nel regno dell’ indimostrabile; ciò che invece è perfettamente verificabile e comprovato è l’influsso dell’educazione e dell’ambiente in cui un bambino cresce e si forma. E io ho avuto la fortuna di poter crescere in mezzo al bello, guidato da un padre pittore verso quell’arte che precede ogni cimento pittorico: l’arte di saper osservare la realtà.
Mio padre è stato tutto il contrario di quei genitori che, scoprendo un’ ombra di talento nel figlio, fanno i salti mortali per metterla in luce. Diversamente dai babbi che si gonfiano come tacchini di fronte al proprio campioncino che tira i primi calci a un pallone o al novello mozartino che arriva stentatamente in fondo alla scala di Do maggiore, mio padre non mi ha mai lusingato, vellicato, esaltato; certo, mi ha esortato e incoraggiato, ma per la gran parte dei casi è stato asciutto o severo, mettendo in luce solo i difetti di ciò che facevo: «stai attento, non torna la prospettiva», «riguardalo», «troppo tonale», erano i suoi commenti quando gli portavo un disegno o un dipinto.
Ma il vivere vicino a lui, vederlo dipingere, vedere cosa giudicava buono o cattivo, è stata una scuola formidabile. Quel giorno che terminò un ritratto di mia madre – che io trovavo bellissimo – lui non era affatto contento. Gli girava intorno, correggeva qualcosa e poi sbuffava insoddisfatto, finché prese un lapis e con un gesto violento squarciò la tela dall’alto al basso lasciando me e la mamma ammutoliti. A quel tempo mi parve un gesto orribile e vandalico ma oggi lo capisco: in pittura non c’è miglior giudice di noi stessi ed è tanto meglio quando questo giudice è molto severo.
Oggi furoreggiano sul web i tutorial, video in cui qualsiasi incapace si prende il disturbo di dimostrarci come si fa a realizzare qualcosa. Anche nella mia fanciullezza esistevano i metodi, ma per quanto uno s’illuda, non esiste alcun tutorial né metodo capace di formare un artista. La vera formazione parte da quell’arte di vedere che ho citato prima: senza la capacità di osservare, scomporre, analizzare la realtà con gli occhi e la mente, non c’è pittura. E io ho avuto la fortuna di avere un babbo che non mi ha insegnato un metodo o una serie di operazioni meccaniche, ma mi ha aperto gli occhi all’osservazione. Capitava spesso che, tornando a casa dallo studio, entrasse nella mia stanza e mi raccontasse qualcosa che aveva visto o l’aveva colpito: il bellissimo tramonto alla curva dell’Accademia, uno scorcio architettonico interessante, un personaggio particolare visto
sull’autobus. Per descrivermi queste immagini prendeva carta e matita e tirava giù dei piccoli capolavori con un’esattezza e una capacità mnemonica formidabili. Era l’arte di osservare, analizzare e ritenere la realtà per poi ricrearla a piacimento. Da mio padre ho imparato che la mente e l’osservazione precedono sempre la mano. Il disegno o il dipinto si costruisce prima nella testa e poi si tira giù. Ma per imparare a vedere bisogna trascorrere giornate a catturare la realtà. Fra i miei più cari ricordi vi sono le giornate passate con mio padre a disegnare all’aperto, su un taccuino oppure con i colori, a Montenero come nella vecchia Venezia, a Este come a Norimberga. Catturare la luce, le proporzioni di un’architettura, i riflessi dell’acqua, valutare quale ombra sia più scura dell’ altra, individuare l’esatto punto di fuga di una prospettiva. Da grandicello, quattordicenne, ho avuto anche la disgrazia di avere mio padre come vero insegnante: fu quando divenne direttore dell’Accademia di belle arti Trossi-Uberti, nella bellissima villa ardenzina circondata dal parco. Lì mi iscrissi ai corsi accademici ma, lungi dall’ aver qualche vantaggio da quel legame familistico, ne ebbi solo grane: «Sardelli, vai al tuo posto!», «Sardelli tieni più appuntata quella matita!», «Sardelli non si parla quando si disegna!». Per non cadere nel favoritismo scivolava volentieri nella severità. Ma lo capivo, sarei stato in imbarazzo anch’io, a insegnare a un figlio in mezzo ai non figli.Poi venne finalmente la mia prima mostra personale, sempre quattordicenne, e l’indimenticabile serie delle mostre alla Rotonda, dove mi trovavo a esser pittore come gli altri e come il babbo. Ma la cosa più bella è che con questo babbo non c’è mai stato desiderio di emulazione né competizione: non dovevo cercare di superarlo perché lui mi lasciava aperta completamente la strada; fino a un certo momento l’ho imitato, perché era il mio modello, ma quando ho trovato altri modelli lui non ne è stato affatto geloso; potevo dirazzare sperimentando linguaggi diversi dal suo perché non mi ha mai imposto di parlare la sua lingua.
Per tutti gli anni a venire, il nostro confronto pittorico è stato dei più belli e amichevoli: ciascuno di noi chiede all’altro consigli e critiche su quel che ha fatto e ciascuno è orgoglioso dell’altro. Ecco perché, da pittore, non avrei potuto desiderare una mostra migliore di questa fatta insieme, io a 59 anni, lui a 93.
Sono un figlio fortunato.

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