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TELESCOPE | racconti da lontano #148


EDITORIALE

“Se questa è l’unica volta nella mia vita che lo faccio, allora farò in modo che ne valga la pena – dice Logan LaneMa spero davvero che non finisca.” Che cosa, questa adolescente che vive a New York, non vuole che finisca? La sua rinuncia allo smartphone, iniziata a 14 anni durante la pandemia, dando origine al Luddite Club (Il Club dei Luddisti) un gruppo di circa 30 ragazzi, che ogni domenica si incontrano a Prospect Park a Brooklyn e leggono, disegnano, chiacchierano, guardandosi in faccia.

Il nome del club, inventato dalla mamma di Logan, fa riferimento al luddismo, movimento che rifiuta qualsiasi forma di tecnologia e che prende il nome da Ned Ludd, operaio inglese che nel 1799 distrusse un telaio per protestare contro l’uso delle macchine nell’industria. Ma Logan e i suoi amici non sono contro la tecnologia in assoluto – come potrebbero in un mondo come il nostro? – fanno invece un discorso di salute mentale. In una società che nel corso della pandemia, e purtroppo anche in seguito, ha visto raddoppiare fino a una media di circa otto ore al giorno il tempo online trascorso dagli adolescenti, e di conseguenza ha visto crescere in loro i sintomi di stress, ansia da prestazione e ansia da confronto sociale, forse questo piccolo gruppo di autoliberazione dai social media va visto come una forma di evoluzione, soprattutto se pensiamo che viene da chi non ha mai vissuto in un mondo senza social. Come dice Vee, una delle ragazze che fanno parte del club: “Pubblichi qualcosa sui social media, non ricevi abbastanza like, non ti fa sentire bene. Questo non dovrebbe accadere a nessuno. Essere in questo club mi ricorda che viviamo tutti su una roccia galleggiante e che tutto andrà bene.” Speriamo.

In questa centoquarantottesima edizione di TELESCOPE, la nostra newsletter settimanale dedicata ai progetti e alle istituzioni culturali di cui siamo portavoce, tra i RACCONTI trovate la giornalista Elisabetta Muritti, contributor di Elle e Harper’s Bazaar Italia, con un testo dedicato al fotografo Guy Bourdin in mostra negli spazi di Armani Silos a Milano; un racconto della mostra Sortilegio di Alex Cecchetti da FOROF a Roma di Silvia D’Ippolito, Art and Lifestyle Specialist; un estratto del testo critico del curatore Pietro Gaglianò per la mostra dell’artista cinese Gao Bo, OFFERTA Venezia-Himalaya, alla galleria IN’EI di Venezia.

La sezione dedicata ai VIDEO comprende un’intervista all’artista Elisa Giardina Papa, autrice di un intervento sulla facciata della GAMeC di Bergamo in occasione della mostra Salto nel Vuoto; e un video dedicato alla performance Estratti da “20 danzatori per il XX secolo e ancora di più” di Boris Charmatz [terrain] al Museo delle Civiltà di Roma.

Tra gli EXTRA trovate l’esposizione L’imperatore e il duca. Carlo V a Mantova di prossima apertura alla Fondazione Palazzo Te; la open call per la sezione Architettura e Design della 63° edizione del Premio Termoli, da poco lanciata dal MACTE Museo d’Arte Contemporanea di Termoli; e LINEE DI ENERGIA. Oltre la fotografia. L’immagine fotografica tra produzione, creazione e conservazione, la call for abstract aperta dal Centro Conservazione e Restauro “La Venaria Reale”.

Buona lettura!

Lo staff di Lara Facco P&C

#TeamLara

Vi ricordiamo che l’archivio di tutte le edizioni di TELESCOPE è disponibile su www.larafacco.com

TELESCOPE. Racconti da lontano

Ideato e diretto da Lara Facco

Editoriale e testi a cura di Annalisa Inzana

Ricerca ed editing Camilla Capponi, Alberto Fabbiano, Martina Fornasaro, Marianita Santarossa, Claudia Santrolli, Denise Solenghi, Carlotta Verrone, con la collaborazione di Margherita Animelli, Nicolò Fiammetti, Andrea Gardenghi, Anna Pascale, Silvia Pastoricchio, Alessandro Ulleri, Margherita Villani e Marta Zanichelli.

domenica 19 marzo 2023


RACCONTI

Un surrealista hitchcockiano, di Elisabetta Muritti

Lei, provocante, capelli fulvi e pallore preraffaellita, lo aveva abbandonato quando aveva un anno, nel 1929. E lui, il piccolo parigino Guy Louis Banarès, era stato poi adottato da Maurice Désiré Bourdin. Con la sua mamma biologica gli era rimasto un solo tipo di contatto: stava ore e ore chiuso a chiave nella cabina telefonica nel retro del ristorante del patrigno, a sentire la sua voce nella cornetta. Sì, lo sappiamo che non è altro che una scappatoia critica grossolana, lo spionaggio dell’opera di un grande talento dal buco della serratura della sua vita privata. Eppure, quando si ha a che fare con Guy Bourdin, scomparso nel 1991, sommo fotografo di moda e non solo, a cui Giorgio Armani dedica Storyteller, mostra di 100 opere personalmente selezionate (Armani/Silos fino al 31 agosto), la pratica discutibile è inevitabile. Ce lo dice l’evento stesso, in concomitanza con il settantesimo anniversario della prima personale di Bourdin, che era una mostra di pittura. Già, perché lo storyteller che oggi piace ad Armani, pur avendo tutte le caratteristiche per non essergli mai piaciuto e per continuare a non piacergli affatto, da grande avrebbe voluto fare l’artista surrealista. Ne aveva tutte le caratteristiche, a cominciare dal sovversivo erotismo, che lo faceva fratello di Balthus, Buñuel e Dalí, contraddetto da una raffinatezza assassina che invece lo apparentava a Hitchcock. Del resto, il secondo padre putativo che un Bourdin semi adolescente adorò fino alla molestia fu Man Ray.

Ed è così che è diventato fotografo invece che pittore, disprezzandosi e disprezzando la fama che gli dava una creatività prestata ai periodici femminili patinati: si sentiva un mercenario del lusso e del consumismo alto di gamma, per quanto professionale e ineccepibile potesse essere un genio prezzolato. Lui, coccolato dalle onnipotenti Edmonde Charles-Roux e Francine Crescent, una dopo l’altra caporedattrici di Vogue Paris, lui, sovvenzionato da Charles Jourdan, creatore di calzature al limite del feticismo, lui, che avrebbe avuto tutte le caratteristiche per farsi seppellire per sempre dal MeToo e dall’attivismo contemporaneo, e che invece oggi è citato dai colleghi Marc Piggott e Nick Knight (che gli è grato per avergli dato l’eccitazione giusta per sopravvivere alle geremiadi del grunge), ecco, lui, ha avuto una fine misera, in linea con il quadro astrale della nascita e i capricci della maturità. Dopo aver rifiutato il Gran Prix National de la Photographie, dopo aver seppellito con certezza/sospetto di suicidio una moglie e due amanti (a cui imponeva l’isolamento), dopo aver fatto piangere modelle che voleva ricoprire integralmente di colla e perle nere, dopo aver distrutto i nervi di stylist e assistenti perché gli era venuto in mente di correggere il colore del mare, ha visto a fine anni Ottanta offuscarsi la sua stella: ormai indebitato, si è denudato davanti agli ufficiali delle imposte, a cui ha appena dato dei nazisti, ed è uscito (malvolentieri) di prigione solo perché la redazione di Vogue Paris ha organizzato una colletta per pagargli la cauzione. Un cancro ha fatto il resto, tra solitudine e rancore.

Voleva essere un artista surrealista e lo fu magistralmente: con la sua vita e i brutti sogni che ha regalato a un sistema moda & pubblicità che era già moribondo e non lo sapeva ancora. E che lo ha idolatrato senza capirlo. Intanto là fuori c’erano gli anni Settanta che scivolavano negli Ottanta: lui caracollava a dorso di cammello dal suo studio, tutto nero e senza telefono, alla redazione di Vogue, prendeva sonniferi per allungarsi i sogni, e progettava un ciclo fotografico alla morgue, in modo da documentare la decomposizione del corpo. Quel corpo di donna, spesso pallido e con i capelli rossi, che lo ha incoronato tra i precursori del soft porno…

Crediti: Vogue Paris, May 1970 ∏ 2023, The Guy Bourdin Estate / Invite for MAF!A AD Agency, 1972 ∏ 2023, The Guy Bourdin Estate / Charles Jourdan, 1972 ∏ 2023, The Guy Bourdin Estate


Sortilegio di Alex Cecchetti. Il rito, la natura, lo spazio, di Silvia D’Ippolito

Varcata la soglia di FOROF diventiamo protagonisti di una serie di comportamenti costituiti da azioni, parole e gesti dotati di un valore simbolico. Dalla disposizione delle opere alla richiesta di attiva partecipazione, la mostra Sortilegio è un rito di ricongiungimento all’origine della vita. Siamo chiamati a leggere i Vasi rivoluzionari, ceramiche dalla cui superficie emergono poesie in rilievo. Lo sguardo si perde nelle Stoffe botaniche, risultati di una collaborazione con piante impresse attraverso una tintura naturale. Ascoltiamo e suoniamo i richiami degli uccelli che compongono le Songs of solitude, reinterpretazioni grafiche dei movimenti delle nuvole. L’olfatto viene guidato dai tappeti di lavanda, luppolo e ibisco e da Essence, una grande scultura che emana il profumo dei legni intarsiati: cedro, cirmolo e cipresso. Il rito a cui prendiamo parte è un incantesimo d’amore. Amare come essere una cosa sola. Noi siamo Natura. Si prosegue attraversando delle quinte teatrali di piante e felci per scendere al piano ipogeo in una dimensione marina e onirica. Un passaggio dalla luce al buio. Qui veniamo accolti dal grembo materno delle Meduse, amache in cotone e sete realizzate con ecoprint e tintura naturale illuminate da neon. In queste creature marine ritroviamo la posizione fetale e in ognuna di esse possiamo ricongiungerci a un elemento specifico. Ogni amaca è legata, attraverso la scelta simbolica di una pianta, a un tema: la fortuna, il sogno, l’acqua e la terra. Una volta affrontata la rinascita all’interno della natura stessa, il sortilegio si conclude con il confronto con lo spazio e il tempo. In FOROF passato e presente sono in stretto dialogo: infatti, ospita interventi site specific di arte contemporanea negli spazi dello storico Palazzo Roccagiovine. Inoltre, proprio negli ambienti ipogei conserva i marmi colorati che erano parte della pavimentazione e i resti dell’abside orientale della Basilica Ulpia. Qui si svolge l’ultimo passaggio del rito: sedere su Onda, la scultura-altalena realizzata in rovere con dettagli in ceramica smaltata che riecheggiano forme marine. Il rito legato alla natura si conclude simulando il movimento delle onde sull’altalena, circondati dalle proiezioni di grandi video girati nel corso di immersioni nei diversi oceani del mondo. Allo stesso tempo si concretizza anche il concetto di spazio e della missione di FOROF e della sua fondatrice Giovanna Caruso Fendi: combinare archeologia e arte contemporanea fluttuando dall’una all’altra in un dialogo continuo e virtuoso. Si conclude così un’esperienza spirituale unica che ci consente di cogliere le radici della nostra spiritualità; di comprendere il cambiamento, le trasformazioni a fondamento della nostra essenza, insieme natura ed esperienza vissuta. E in questa dimensione primordiale la nostra identità collettiva acquista la consapevolezza di essere Natura e Storia.

Crediti: Alex Cecchetti. Sortilegio, 16 novembre 2022 – 15 aprile 2023 Installation views at FOROF ph. Monkeys Video Lab


Il centro delle cose, di Pietro Gaglianò*

Contro il Leviatano. Il Leviatano è la forma che Thomas Hobbes conferisce allo Stato politico, interpretato come potere indivisibile esercitato sui sudditi (che tuttavia in questa relazione sono liberi e hanno volontariamente rinunciato ai propri diritti naturali per sottomettersi, convenientemente, terribilmente, a un patto di sopravvivenza) [1]. Il Leviatano è una creatura tale che, stando alla descrizione del mostro biblico al quale il filosofo britannico si è ispirato, “al solo vederlo si resta abbattuti” e il cui “cuore è duro come pietra, duro come la macina inferiore” [2]. In questo contratto si produce il potere che, inevitabilmente, si manifesta come uno squilibrio di forza e di capacità, con conseguenti dinamiche di soggezione e oppressione; questo è il potere, anche quando non sembra risiedere in qualcosa di riconoscibile o localizzabile in modo oggettivo, anche quando va analizzato come una relazione che corre tra gli individui, “come qualcosa che circola” [3].

L’unica possibilità da opporre a questa asimmetria, senza cadere nell’inganno di un contropotere (che è, semplicemente, un altro potere) è la forza dell’arte. La forza dell’arte intesa come scardinamento del canone, come interruzione dei discorsi egemonici, emancipazione dalla necessità e dalla funzione. Questa forza, evocando il pensiero situazionista, possiamo immaginarla in una successione di “momenti costruiti come situazioni che potrebbero essere considerati come i momenti di rottura, di accelerazione, le rivoluzioni nella vita quotidiana individuale” [4]. Una forza che precipita nel rapporto tra l’artista e l’opera, nella vita che scaturisce dall’incontro tra l’opera e l’osservatore.

La ricerca di Gao Bo mappa una serie di queste deflagrazioni, dove la forza del possibile emerge tra le pieghe dell’universo sensibile. Nel suo accostare materiali e linguaggi, nel suo attraversare i sistemi politici, le radici culturali, la grammatica del corpo e quella dell’immagine, Gao Bo compie una serie di violazioni dei codici e mette in discussione le narrazioni del potere. Ma ogni volta questo accade nello spazio di un’eccezione: quello dell’arte che, come si vedrà oltre, implica il sacro e l’intangibile e che grazie a questa dimensione può manifestarsi indifferente alle regole imposte.

*estratto dal testo critico che accompagna la mostra GAO BO高波 OFFERTA Venezia-Himalaya alla Galleria IN’EI di Venezia fino al 24 aprile 2023

[1] Thomas Hobbes, Leviathan, 1651 [ed. cons. Id., Leviatano, La Nuova Italia, Firenze, 1976].

[2] Giobbe, 41: 1, 16.

[3] Secondo Michel Foucault non è possibile circoscrivere il potere come “un fenomeno di dominazione massiccio di un individuo sugli altri, di un gruppo sugli altri” ma è piuttosto una funzione delle relazioni: “il potere transita attraverso gli individui, non si applica agli individui”; Michel Foucault, Corso del 14 gennaio 1976, in Il faut défendre la société, EHESS, Parigi 1997 [tr. it. Id., Bisogna difendere la società, Milano, Feltrinelli, 1998, pp. 32 e ss.].

[4] Théorie des moments et construction des situations, in “Internationale situationniste”, no. 4, giugno 1960, p.11.

Crediti: Installation View, GAO BO | OFFERTA Venezia-Himalaya_Ph Francesco Niccolai_Courtesy Galleria IN’EI


VIDEO

Cancellare per raccontare

In questo video l’artista Elisa Giardina Papa presenta le opere della serie Brush Stroke, installate sulla facciata della GAMeC di Bergamo in occasione della mostra Salto nel vuoto. Arte al di là della materia, terzo e ultimo capitolo del progetto espositivo dedicato all’indagine sulla materia nell’arte del XX e del XXI secolo. Le tre sculture piane riproducono la texture a scacchiera bianca e grigia utilizzata nei software di editing delle immagini per indicare l’effetto “trasparenza”, che convenzionalmente equivale al vuoto, all’assenza di immagine. Il lavoro dell’artista stimola una riflessione su quanto questi strumenti abbiano cambiato la nostra cultura visiva e la nostra percezione, esattamente come fece la prospettiva nel Rinascimento. “Cancellando” parte della facciata del museo, Brush Stroke mette in discussione la nostra capacità di distinguere i diversi piani della realtà attivando, al contempo, una nuova narrazione.

GUARDA

Crediti immagine: Salto nel vuoto. Arte al di là della materia. Veduta dell’installazione – GAMeC, Bergamo, 2022. Foto: Antonio Maniscalco. Courtesy GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo

Crediti video: Squareworld


Un museo nel corpo

Dopo aver attraversato le sale di più di 15 musei e istituzioni culturali internazionali dal MoMA di New York alla Tate di Londra, dal Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía di Madrid al MACBA di Barcellona, il 14 dicembre 2022, Estratti da “20 danzatori per il XX secolo e ancora di più” del danzatore, coreografo, e ideatore di progetti sperimentali Boris Charmatz [terrain], è stato ospitato nella Sala d’Onore del Palazzo delle Arti e Tradizioni Popolari, parte del Museo delle Civiltà di Roma. In questa performance, di cui vi offriamo un breve racconto video, cinque danzatrici e danzatori – Boglárka Börcsök, Julie Anne Stanzak, Néstor García Díaz, Fabrice Mazliah, Benjamin Pech – reinterpretano, appropriandosene e spiegandoli, alcuni assoli celebri, acclamati o dimenticati di artiste e artisti moderni o post-moderni, dal Novecento ai giorni nostri. Ogni danzatore così rappresenta il proprio museo: il corpo diventa lo spazio eletto per un museo della danza.

GUARDA

Crediti immagine: Museo delle Civiltà, Estratti da “20 danzatori per il XX secolo e ancora di più“, 14 dicembre 2022. Courtesy Museo delle Civiltà. Foto © Beatrice Vincenti Crediti video: Museo delle Civiltà, Estratti da “20 danzatori per il XX secolo e ancora di più“, 14 dicembre 2022.


EXTRA

L’imperatore e il duca

Signor marchese, veramente anchora non sono stato in città niuna in Italia, la quale sino a qui mi sia piaciuta più di questa vostra, et in loco niuno non sono entrato più alegramente né più honoratamente ricevuto, come sono stato qui; di la qual cosa mi pare essere a casa mia”. Così dichiara l’imperatore Carlo V all’indomani della prima visita a Mantova nel 1530, accolto da Federico Gonzaga con una splendida festa a Palazzo Te di cui fu unico regista Giulio Romano, incaricato di ideare la scenografia dell’evento. Il sovrano compirà un secondo viaggio in Italia tra il 1532 e il 1533 e in quell’occasione Tiziano esegue un Ritratto di Carlo V con il cane (Museo Nacional del Prado), a partire da un modello che Jakob Seisenegger, pittore di corte del fratello dell’imperatore, Ferdinando I d’Asburgo, aveva realizzato poco prima, e oggi conservato nel Kunsthistorisches Museum di Vienna. Si tratta dello stesso dipinto concesso per la mostra L’imperatore e il duca. Carlo V a Mantova, a cura di Daniela Sogliani e Marsel Grosso, allestita nella Camera degli Imperatori di Palazzo Te, dal 24 marzo al 25 giugno 2023. Una mostra che vede il “ritorno” di Carlo V a palazzo, e un nuovo incontro con il suo ospite, perché in questa occasione verrà anche riprodotto da Factum Arte il celebre Ritratto di Federico Gonzaga di Tiziano oggi al Prado di Madrid.

Crediti: Palazzo Te, Loggia di Davide, Foto:Gianmaria Pontiroli © Fondazione Palazzo Te


Per architetti, designer e artisti

È online sul sito del MACTE Museo d’Arte Contemporanea di Termoli il bando per la selezione dei partecipanti alla sezione Architettura e Design del LXIII Premio Termoli, a cura di Cristiana Perrella, la cui mostra si terrà dal 27 maggio al 17 settembre 2023 presso il Museo. Entro il 31 marzo 2023, architetti, designer e artisti, anche in forma associata, di nazionalità italiana o straniera, sono chiamati a proporre un progetto per il layout e degli elementi di arredo della futura biblioteca a pubblica frequentazione del museo, che vuole diventare un centro di studio e ricerca per arte e architettura in Molise. Il progetto dovrà avere caratteristiche di innovazione nel design ed elevati livelli di funzionalità, ottimizzare gli spazi interni, disegnare scaffali libreria, tavoli da lettura, sedie, corpi illuminanti, rivestimenti, pareti attrezzate, con un budget di spesa di 80.000 euro. Tutte le informazioni qui.

Crediti: Nuova ala del MACTE © Gianluca Di Ioia


Oltre la fotografia

Con lo scopo di riunire riflessioni e testimonianze, che mettano al centro l’oggetto fotografico come mezzo di espressione artistica e di testimonianza storica, sociale e culturale, la Fondazione Centro Conservazione e Restauro “La Venaria Reale” nell’ambito del programma Linee di Energia, organizzato insieme a Intesa Sanpaolo e in collaborazione con IGIIC (Gruppo Italiano dell’International Institute for Conservation), ha lanciato Oltre la fotografia. L’immagine fotografica tra produzione, creazione e conservazione una call for abstract aperta ad artisti, storici e critici d’arte, curatori, conservatori e restauratori e tutti coloro che sono coinvolti nella comprensione, salvaguardia e trasmissione dell’opera fotografica e/o al riordino di archivi e/o collezioni fotografiche. La scadenza per l’invio dei materiali è il 31 marzo 2023.

Tutte le informazioni utili qui.

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