Dal 10 aprile al 10 maggio 2023 Claudia De Luca è presente a Torino presso il Polo del’900 con la mostra “IL GIORNO DOPO LA RIVOLUZIONE” a cura di Elisabetta Mero. L’artista realizza nove gruppi di opere che si riferiscono, ognuno, ad un singolo atto rivoluzionario. Ogni gruppo di opere fa infatti riferimento ad una rivoluzione fallita, un momento della storia in cui tutto sarebbe stato possibile, ma che, “il giorno dopo”, si è spento in un magma indistinto e silenzioso. Le rivoluzioni fallite, però, nella loro caduta aprono comunque un orizzonte nuovo, perché è proprio dal fallimento che una diversa parola politica (e rivoluzionaria) può essere riscritta e praticata. La mostra, ospitata nella Sala Voltoni del Polo del’900, prende spunto dalla frase di F. Engels: “Coloro che si sono vantati di aver fatto una rivoluzione hanno sempre visto, il giorno dopo, che non sapevano quel che facevano, che la rivoluzione che avevano fatto non assomigliava per nulla a quella che avrebbero voluto fare“. Questa riflessione è il punto di partenza del progetto di Claudia De Luca che in qualità di artista e docente di storia e filosofia, riflette sulla condizione di salute della parola politica. Parola che misura molto spesso la sua capacità di esistenza nel fallimento del suo potere rivoluzionario. |
“Quante volte, nella storia (esattamente come nella vita) abbiamo pianificato una rivoluzione che, una volta portata a termine, ci ha restituito un’immagine impietosa della stessa? – afferma Claudia De Luca – Con IL GIORNO DOPO LA RIVOLUZIONE intendo proprio questo esito: il momento in cui dalla forza prorompente del possibile ci si schianta in una sbiadita realtà dove il manifesto del giorno prima è diventato un incomprensibile testo oscuro. Ci si gira indietro e non si riconosce più il punto da cui si è partiti”. Le opere in mostra, sono create come dei manifesti su cui la parola politica è rappresentata come un’improvvisa macchia di colore che emerge dal buio della storia. L’artista è stata supportata dall’Anonima impressori , studio grafico e stamperia artigianale di Bologna, per la realizzazione di didascalie/ manifesto che accompagnano le opere in mostra. Su ogni didascalia è infatti descritta una rivoluzione e i font scelti sono quelli che andavano in uso in quel periodo storico. L’artista ha lavorato sul concetto di “erosione” ed “esplosione” paragonando le rivoluzioni analizzate a delle valanghe che trascinano con sé (e provano a cancellare) tutte le vecchie strutture. Claudia De Luca utilizza i pigmenti per dare risalto all’eccezionalità dell’evento storico e l’uso abbondante del nero è lo sfondo da cui partono i tumulti e le insurrezioni improvvise. Il nero, è il contesto neutro, “il vecchio sistema” da rompere, ma soprattutto è il primo passo su cui l’artista irrompe e disegna una nuova narrazione politica, spesso estrema e radicale. Citando la curatrice Elisabetta Mero: “Le opere di Claudia De Luca riescono a comunicare queste onde di energia rivoluzionaria non controllata che emergono dal buio e che scuotono il precostituito per tornare al buio lasciando traccia di spiragli di luce. La gestione di questa energia sarebbe l’utopistica risposta al linguaggio della prevaricazione”. Attraverso una pratica pittorica che coniuga l’astrattismo del colore con il segno materico, l’artista realizza delle opere che fungono da tramite visivo per una comprensione dei processi rivoluzionari nel loro potenziale e nel loro fallimento. Il ricorso al tessuto (la tarlatana) evidenzia ancora di più l’esigenza di riscrivere, con linguaggi differenti una parola politica che oggi si presenta sempre più anestetizzata e flebile. La tarlantana, presente nei quadri esposti in mostra a Torino è un tessuto imprescindibile e ricorrente nelle opere di Claudia De Luca che lo utilizza come elemento di cura, intendendo con questo termine la delicatezza verso l’oggetto ma anche verso il soggetto che lo determina. Avvolgere il supporto con la tarlantana è un rituale che rende l’artista più sicura e soprattutto determina quella visione “scomposta” necessaria al suo lavoro. Le pieghe, i disallineamenti, gli elementi difformi che il tessuto crea sulla materia sono i punti infatti da cui parte. A concludere il percorso l’opera “Siparium” che rappresenta anche il sipario delle rivoluzioni fallite che si chiudono con una disfatta, ma presuppongono, sempre e comunque, una nuova apertura. Come sottolinea la curatrice Elisabetta Mero: “Le rivoluzioni fallite mostrano come energie desiderose di ribaltare il sistema del potere non sempre siano riuscite a ottenere i risultati che immaginavano. Tuttavia, seppur soffocate, queste forze si sono comunque innestate nei sistemi contribuendo a rinnovarli e a cambiarli in tempi diversi”. |
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