È uscito lo scorso novembre un romanzo scritto da Manuele Marigolli, ex segretario generale del maggior sindacato cittadino, attualmente presidente del Caf della Cgil regionale. Il libro è intitolato “Fra l’Arno e la strada”, è pubblicato nella collana “La Toscana racconta” delle Edizioni Polistampa di Firenze. L’autore è all’esordio in veste di narratore.
Si tratta di un racconto in gran parte autobiografico; l’autore immagina di essere un anziano e malato professionista di Prato, con alle spalle un grande impegno politico nel Pci e nella sinistra e con alcune grandi passioni: l’amore per la famiglia, la caccia alla beccaccia e la Fiorentina, che decide di porre fine alla propria vita. Per farlo si reca sulle montagne dell’Appennino, dove ha avuto la propria iniziazione alla caccia, accompagnato dal cane di una giovane amica: in tal modo inizia un viaggio all’indietro, fatto di flash back che raccontano gli episodi chiave della storia della famiglia dell’autore e suoi personali.
La trama del libro si srotola intrecciando i racconti dei familiari con le esperienze personali: la guerra, il fascismo, l’occupazione tedesca, il nonno materno morto in un campo di prigionia e le sofferenze di chi resta; l’iniziazione politica, il nonno paterno comunista e in lutto per la morte di Togliatti nell’agosto del 1964, la nonna paterna controcorrente e femminista ante litteram; la pesca nel fiume, il lavoro dei renaioli, le risse e l’amicizia, l’amore. Fattore discriminante della storia come elemento che determina la fine dell’innocenza e l’inizio della maturità è la piena dell’Arno del novembre 1966, quella che sarà chiamata “l’alluvione di Firenze”.
Attraverso la rievocazione di tutti questi episodi, il protagonista, che ha un nome significativo: Libero, cerca senza dirlo le ragioni, se ancora ne esistono, per evitare di compiere il gesto estremo già deciso, ma certe decisioni non sono mai definitive. Se le troverà o meno non è compito nostro svelare, tocca al lettore accertarlo leggendo il libro fino alla fine.
Spiccano nella narrazione alcune figure femminili, le nonne, la mamma, la moglie, la giovane amica-scienziata che affida il cane a Libero, la figlia: tutte descritte a tinte forti, tutte ben delineate nella personalità, nel portamento, nel carattere. In fondo questo è un libro di forti personalità, di gente che non la beve, che si spende fino in fondo, che non si sgomenta e pensa di affidare alla propria forza di volontà la risoluzione dei problemi: la nonna che salva un figlio che sta affogando in Arno, il babbo che invita a prendere gli attrezzi e a spalare la mota, senza perdersi in piagnistei sulla tragedia appena vissuta.
Anche Libero è chiamato a decidere, ora che, per parafrasare Woody Allen, Marx è morto (è finito l’ideale comunista), la caccia è morta (i medici glie l’hanno vietata) e anche la Fiorentina non si sente tanto bene… E’ un racconto che si muove tra il neorealismo (c’è anche una citazione di “Riso Amaro” di De Santis) e la modernità dei satellitari, dei treni pneumatici e del gioco virtuale, in una ricerca della parola che sa trasformare la cronaca in epopea, secondo la migliore tradizione della letteratura popolare. Non mancano tuttavia citazioni dotte, come la montaliana “cellula di miele”. È un libro che merita di essere letto e amato.
Giuseppe Gregori