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TELESCOPE | racconti da lontano #163

EDITORIALE

A Deer Isle, un’isola sulla costa del Maine, di fronte all’Oceano Atlantico, c’è la Haystack Mountain School of Craft, una scuola fondata nel 1950 da un gruppo di artisti e artigiani. Il campus con i 34 edifici che lo compongono è stato progettato dall’architetto Edward Larrabee Barnes su Stinson’s Neck, un promontorio che si estende a Sud-Est dell’isola, e tutti gli edifici sono stati disegnati per adattarsi all’ambiente offrendo una vista sul paesaggio di bosco e mare circostante. Un luogo silenzioso, isolato, dove i suoni della natura sembrano più forti che altrove e che, ogni estate, offre rifugio a creativi da tutto il mondo che vogliano trascorrere lì del tempo in residenza, studiando, partecipando a laboratori di grafica, lavorazione del metallo, l’argilla, vetro e legno, per concentrarsi sulle proprie ricerche e fare una pausa dalla vita di tutti i giorni.

Non è un posto per eremiti, perché ogni giorno si mangia tutti insieme e se si vuole si possono condividere le proprie attività, è un luogo isolato che non isola, come ama ripetere il direttore, e il suo valore sta soprattutto nel profondo legame che si crea tra le persone che lo vivono, lo staff tecnico e la comunità che lo sostiene. Quando Haystack è stata fondata infatti, era un vero e proprio esperimento di educazione e comunità, una scuola che non rilasciava certificati o lauree, senza docenti o studenti a tempo pieno: e quel nucleo fondante, nonostante la scuola negli anni sia cresciuta oltre ogni immaginazione, è rimasto lo stesso. Ogni anno in primavera Haystack viene aperta e ristrutturata per accogliere in estate un nuovo gruppo di ospiti; poi, quando arriva l’autunno, chiude di nuovo e va in pausa, si riposa. È come se questo luogo avesse un ritmo personale, un ciclo vitale come tanti esseri viventi, qualcosa che la Natura insegna dalla notte dei tempi e che sarebbe giusto recuperare anche nella nostra vita.

In questa centosessantatreesima edizione di TELESCOPE, la nostra newsletter settimanale dedicata alle istituzioni e ai progetti culturali di cui siamo portavoce, tra i RACCONTI trovate un testo di Giuseppe Fantasia, giornalista de Il Foglio, L’Espresso, Marie Claire, Elle Decor, dedicato al Padiglione dell’Arabia Saudita alla 18. Mostra Internazionale di Architettura – La Biennale di Venezia; Irene Caravita, storica  dell’arte e contributor di Vogue.it, scrive della mostra di Gianni Colombo. A Space Odissey da GióMARCONI a Milano; e un estratto dal testo critico di Lorenzo Giusti, Direttore della GAMeC di Bergamo, sulla mostra Home di Vivian Suter.

Tra i VIDEO proponiamo un’introduzione di Giuseppe Penone alle opere presenti nei giardini di Galleria Borghese a Roma, parte della sua personale Gesti Universali; e una breve presentazione al suo lavoro di Leonardo Anker Vandal, artista protagonista della mostra In a Landscape di Cadogan Gallery a Milano.

Tra gli EXTRA segnaliamo la mostra The Mountain of Advanced Dreams, parte del progetto artistico della piattaforma Mali Weil, in corso al Museo della Montagna di Torino; Maria Lai. Il pane del cielo, mostra commissionata dal Comitato Nazionale per l’Ottavo Centenario della Prima Rappresentazione del Presepe Greccio 2023 per i Centenari Francescani a Palazzo Dosi Delfini a Rieti; e The Floating Realm, a cura di Satoshi Itasaka 板坂 諭, alla galleria IN’EI di Venezia.

In questo numero anche un BONUS TRACK dedicato alla nuova puntata di Radio GAMeC 30, che vede protagonista l’artista libanese Marwa Arsanios.

Buona lettura.

Lo staff di Lara Facco P&C

#TeamLara

Vi ricordiamo che l’archivio di tutte le edizioni di TELESCOPE è disponibile su www.larafacco.com

TELESCOPE. Racconti da lontano

Ideato e diretto da Lara Facco

Editoriale e testi a cura di Annalisa Inzana

Ricerca ed editing Camilla Capponi, Alberto Fabbiano, Martina Fornasaro, Marianita Santarossa, Claudia Santrolli, Denise Solenghi, Alessandro Ulleri, Carlotta Verrone, con la collaborazione di Margherita Animelli, Nicolò Fiammetti, Andrea Gardenghi, Anna Pascale, Silvia Pastoricchio, Margherita Villani e Marta Zanichelli

domenica 2 luglio 2023


RACCONTI

Una eredità culturale da esplorare, di Giuseppe Fantasia

La terra lavorata, mostrata, trasformata, in parte solo evocata, sempre e comunque di colore rosso come l’Arabia Saudita e il mare che la bagna, un protagonista che dà e che toglie, che riceve e che offre, in più ambiti e a persone diverse. Unite grazie all’intelletto e alla creatività umana, la terra e l’acqua sono capaci di formare meraviglie; le ritroverete in parte spostandovi a Venezia, alla 18° edizione della Biennale d’Architettura ben diretta da Leslie Lokko, The Laboratory of the Future.

Una volta lì, all’Arsenale, arrivando al Padiglione Nazionale dell’Arabia Saudita, scoprirete che è un vero e proprio omaggio al passato e alla tradizione, a un’eredità – si intitola IRTH إرث [eredità] – la mostra al suo interno, a cura delle sorelle Basma e Noura Bouzo e progettata dall’Architetto AlBara Saimaldahar, che pensa a un futuro in arrivo, ma non dimentica un passato che c’è, esiste e si fa sentire.

Dentro il Padiglione, il buio iniziale diventa subito luce, e a quella percezione sensoriale visiva se ne aggiunge un’altra olfattiva, in una grande aula vuota rettangolare intrisa di una fragranza creata appositamente per la mostra e quel luogo. È a base di lavanda, franchincenso e mirra, capaci di far risaltare note evocative della cultura araba nella sua dimensione più domestica. Il tempo e lo spazio convivono in questa mostra che esamina il rapporto simbiotico tra materiale e immateriale, creando un ambiente dove imponenti strutture di metallo a otto facce, rivestite con pannelli di legno all’interno e mattonelle tradizionali di ceramica stampate in 3D all’esterno, attireranno senza alcun dubbio la vostra attenzione.

Il tempo, si sa, è transitorio, mutevole e decisamente instabile, ed è proprio la sua instabilità che ricorda la sabbia del deserto di Rub’ al-Khali, definito dai più il “quarto vuoto”. All’eredità, in questo percorso in crescendo, che è una vera e propria esplorazione interattiva, si aggiungono la versatilità di elementi e manufatti e la nostalgia che gli stessi trasmettono, l’essenza intrinseca dell’artigianato saudita nei motivi tradizionali di Al-Balad, la città vecchia di Jeddah, trasformati in forme fluide. I materiali con cui sono realizzati – pronti a creare una linea di continuità in costante divenire – sono pieni di storie e di insegnamenti preziosi che costituiscono un’eredità dinamica di cui ognuno è destinatario. La bellezza di un oggetto sta anche nella possibilità di essere toccato e lì dentro l’unico presente materialmente è una colonna in argilla, una scultura illuminata da luci interne che proiettano motivi luminosi sul pavimento, sulle pareti e sul soffitto dell’intero Padiglione. Al termine della Biennale, verrà trasportata nel fondale del Mar Rosso, fungendo da pietra artificiale per stimolare la crescita di un ecosistema marino. Corsi e ricorsi storici, dunque, e la vita continua.

Crediti: IRTH إرث , National Pavilion of Saudi Arabia at the 18th International Architecture Exhibition – La Biennale di Venezia, 2023. @venicedocumentationproject Courtesy of Ministry of Culture


Opere e ambienti di Gianni Colombo. Da guardare, da ascoltare, da toccare, di Irene Caravita

Ho visitato ormai diverse volte la mostra A space Odyssey di Gianni Colombo alla Fondazione Marconi di Milano. Di fretta o con lentezza, da sola o in compagnia. Una persona con la quale camminavo tra le sale mi ha detto: «Sai, è una mostra facile, a prima vista. Ti affascina subito, sei ipnotizzato. Poi leggi, pensi, riverifichi, e vai più a fondo». L’intelligenza migliore trova sempre il modo più efficace per esprimersi, e questo è il caso delle opere di Gianni Colombo. Incarnano infatti, con grande intelligenza, una serie di riflessioni e sensazioni che il loro autore ha concepito tra la fine degli anni Sessanta e il cuore dei Settanta. Noto quale protagonista dell’arte cinetica e programmata, dopo studi all’Accademia di Brera fonda il Gruppo T insieme a Gabriele De Vecchi, Davide Boriani e Giovanni Anceschi, ai quali si unisce presto Grazia Varisco. La T del nome scelto sta per tempo, e racconta l’urgenza di allora di realizzare opere d’arte visive, che si sviluppassero nella dimensione temporale. Per farlo, Colombo, come i suoi compagni di strada, si affaccia alla tecnologia senza paura, anzi, con la curiosità sperimentale della giovinezza. In un mondo che sempre di più si è modellato sul senso della vista, le opere di Giorgio Colombo sì ci ipnotizzano, tuttavia, aprono immediatamente un dialogo con tutti i nostri sensi: il nostro corpo, la nostra presenza, diventa indispensabile al loro esistere. Entriamo in rapporto con movimenti meccanici, circolari, perpetui e sempre uguali che attivano opere molto semplici, griglie di fili metallici o di mattoncini di polistirolo – che muovendosi scricchiola, stride, suona. Un lavoro come lo Spazio elastico (1971) mostra che alla griglia ortogonale ci sono molteplici alternative, almeno tante quante i punti che ogni segmento segna muovendosi. Guardandola a lungo si può avere l’impressione che le linee respirino, deformandosi in tutte le direzioni, forzando i limiti della propria dirittezza ma tornando sempre alla situazione di partenza. Davanti a Bariestesia (1975) si può rimanere inizialmente perplessi. Non c’è alcun raffinato gioco di luci o movimento, solo una scala, bruttina, con i gradini sgrammaticati – che in origine doveva emettere dei rumori bianchi. Puoi salire. E improvvisamente è chiaro, passo dopo passo, che non si tratta di un oggetto da guardare, ma che ogni cellula del nostro corpo deve vivere lo sbilanciamento dei gradini inclinati. Le linee delle opere geometriche di Gianni Colombo si inclinano: vanno verso qualcosa e qualcuno, non restano neutrali ma esprimono una preferenza, non rimangono ferme. Dalle geometrie degli spazi elastici o delle strutture pulsanti fino agli ambienti ricostruiti filologicamente per l’occasione della Topoestesia (1977) e dello Spazio Curvo (1992) inducono il visitatore a ripensare allo spazio e ai propri gesti al suo interno. Assemblando poche superfici semovibili, o inclinando i piani che siamo invitati a percorrere, i quali giocano con la nostra percezione ancora cinquant’anni dopo la loro progettazione, Gianni Colombo ci propone di mettere in discussione le coordinate ortogonali, la forza di gravità, la nostra posizione e direzione nel mondo, suggerendo, forse, che quella griglia non va bene sempre o per tutti.

Crediti: GIANNI COLOMBO A Space Odyssey Curated by Marco Scotini 12.05. –17.07.2023 Installation views Gió Marconi, Milan Photo: Fabio Mantegna


Vivian Suter. Where Is It Home?, di Lorenzo Giusti*

Come la maggior parte di noi, ho scoperto il lavoro di Vivian Suter molto tardi. La prima volta che ne ho sentito parlare è stato tramite Adam Szymczyk, nell’estate del 2015, quando venne a Nuoro per visitare la retrospettiva di Maria Lai in preparazione di documenta 14, dove sarebbero stati presentati i lavori di entrambe le artiste. La vicenda di questa pittrice che, dopo avere girato il mondo in lungo e in largo, si era fermata in Guatemala, dove viveva da più di trent’anni ai margini della foresta pluviale, sulle rive un grande lago circondato da imponenti vulcani, si impresse subito nella mia mente. Sono sempre stato attratto da certi racconti. Storie di persone che hanno trovato pace lontano dai centri urbani, che si sono sottratte alle necessità imposte dalla società organizzata, che hanno rifiutato la prospettiva di una carriera fatta di tappe obbligate. Scrittori che hanno costruito la propria casa nel bosco. Artisti che hanno trovato la propria dimensione creativa a contatto con la natura. E mille volte ho immaginato un futuro simile per me. Cercare un punto nel mondo, un po’ isolato, dove concentrare tutte le mie energie, fisiche e mentali. Dove misurare il tempo. Dove sentire la Terra. Decisi che, prima o poi, sarei andato a scoprire questo punto che Vivian Suter aveva trovato. Questo suo “centro di gravità”. Panajachel è un villaggio affascinante situato sulla sponda Nord­est del lago Atitlán. Abitato da una comunità ancora oggi quasi interamente indigena, negli anni è diventato il principale punto di approdo per gli esploratori del lago e per gli escursionisti delle vette vulcaniche. Non si può non rimanere incantati da questo contesto ambientale unico, in cui la natura si manifesta in tutta la sua grandiosa potenza, in tutta la sua forza trasformatrice. I mille colori del cielo, le correnti che increspano le acque, il fitto verde della foresta, le vette mozzate dei vulcani, i continui terremoti… La Terra al massimo della sua espressione creativa. Vivian Suter vive in questo angolo del mondo ormai da quarant’anni. Non molto tempo dopo il suo arrivo, nel 1983, ha acquistato una vecchia piantagione di caffè, non lontana dal centro del paese, e vi ha costruito la propria abitazione. L’ha chiamata Finca Panchito, in onore di suo figlio Frank. L’abitazione, lo studio e la foresta che li circonda sono un tutt’uno. Un unico sistema integrato di piante, persone, animali e relazioni. Interno ed esterno si innestano l’uno nell’altro, senza soluzione di continuità. Vengono in mente le parole di Thoreau: “A che serve possedere una casa se non hai un pianeta dignitoso dove metterla?”.

*estratto dal testo nel catalogo della mostra Vivian Suter. Home in corso alla GAMeC di Bergamo fino al 24 settembre 2023.

Crediti: Vivian Suter. Home. Vedute dell’installazione – GAMeC Bergamo, 2023. Foto: Lorenzo Palmieri. Courtesy GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo


VIDEO

Sculture umane e vegetali

In questo video l’artista Giuseppe Penone ci parla delle opere esposte nei giardini della Galleria Borghese, nell’ambito della mostra Gesti Universali ancora ospitata negli spazi del museo fino al 9 luglio. Penone ci racconta alcune opere esposte in esterno come Gesti Vegetali, sculture in cui l’opera dell’uomo si fonde con quella della Natura, e le piante crescono in simbiosi con le sculture in bronzo; di Propagazione di uno sguardo che associa la visione degli occhi alla ricerca di luce di un albero che vive in funzione di essa, fino a quelle monumentali esposte nel Giardino della Meridiana.

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Crediti immagine: Giuseppe Penone. Gesti universali, Installation view, Gesti vegetali, Giardino dell’Uccelliera, Galleria Borghese, Roma – ph. S. Pellion © Galleria Borghese


Dentro il paesaggio

Pur essendo un pittore astratto, con la mostra In a Landscape l’artista Leonardo Anker Vandal dal 5 luglio porta negli spazi di Cadogan Gallery a Milano circa 20 nuove opere in bilico tra astrazione e paesaggio, ispirate alle composizioni dei pittori cinesi della Dinastia Song (XII secolo). In questo breve video l’artista racconta il suo metodo di lavoro e il ruolo centrale del caso nella composizione delle sue opere, in cui ritroviamo anche tutte le influenze a lui familiari: dalla poesia di Keats, alla musica malinconica dei Lieder di Mahler, all’idea dell’artista come viandante o viaggiatore.

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Crediti immagine: Leonardo Anker Vandal. Courtesy: Cadogan Gallery


EXTRA

Per una nuova diplomazia interspecie

The Mountain of Advanced Dreams è la mostra a cura di Andrea Lerda, in corso al Museo della Montagna di Torino, fino al 17 settembre, parte del progetto artistico della piattaforma Mali Weil, vincitore della X Edizione di Italian Council. The Mountain of Advanced Dreams approfondisce il concetto di diplomazie interspecie, ossia la possibilità di immaginare interazioni diverse tra esseri viventi. Una ricerca che parte dalla relazione tra esseri umani e lupi, al centro dell’immaginario politico e narrativo dell’Occidente. Approfondendo temi filosofici, legali, biologici e narrativi, gli artisti hanno creato una nuova cosmologia basata sui concetti di forestazione, diplomazia, reciprocità e co-evoluzione. Ma il progetto non si risolve nello spazio museale con l’esposizione delle opere Rituals (video a due canali), Divina et Devorator (arazzo) e la serie Imago ma, con una modalità tipica di Mali Weil, ha dato origine anche alla Scuola di Diplomazie Interspecie e Studi Licantropici, con l’obiettivo di formare future generazioni di diplomatici e di diplomatici, di cui Centrale Fies ha ospitato l’inaugurazione a dicembre 2022.

Crediti: The Mountain of Advanced Dreams Courtesy Mali Weil


Il pane del cielo

Si intitola così la mostra di Maria Lai (Ulassai 1919 – Cardedu 2013) ospitata nelle sale di Palazzo Dosi Delfini a Rieti fino al 15 ottobre 2023. La mostra, ideata da Sergio Risaliti, Direttore del Museo Novecento di Firenze, e da lui curata con Eva Francioli, è stata realizzata in collaborazione con l’Archivio Maria Lai, organizzata dall’Associazione Mus.e e commissionata dal Comitato Nazionale per l’Ottavo Centenario della Prima Rappresentazione del Presepe Greccio 2023, in occasione delle celebrazioni per i Centenari Francescani 1223 – 2023. Esposte circa quaranta opere ispirate al creato e all’amore per l’altro, motivi ancestrali che illuminano la vita del Poverello di Assisi, che trovano una sensibile interpretazione nel lavoro dell’artista sarda capace di attingere a riti arcaici della sua terra, a racconti e alla poesia dimessa del quotidiano per dare corpo a un immaginario fantastico.

Crediti: Maria Lai. Il pane del cielo. Installation view Palazzo Dosi Delfini, Rieti. Ph. Michele Alberto Sereni


The Floating Realm

Fino al 20 agosto 2023, gli spazi della galleria veneziana IN’EI ospitano The Floating Realm curata dall’architetto e artista Satoshi Itasaka 板坂 諭, seconda mostra realizzata in concomitanza alla 18° edizione della Biennale di Architettura. Dedicata al lavoro dell’artstudio h220430, l’esposizione invita a riconnettersi con il mondo dell’infanzia, quel regno della fantasia e del sogno che nel tempo svanisce lasciando il posto alle complicazioni della vita adulta. Satoshi Itasaka ha fondato art studio h220430 nel 2010 con l’obiettivo di sensibilizzare il pubblico sui problemi più urgenti della società contemporanea, dal degrado ambientale al crescente divario di ricchezza, offrendo soluzioni di design che considerino le difficoltà sociali. Itasaka ha l’ambizione che il suo messaggio venga compreso e ispiri le persone ad agire, e per fare questo fonda i suoi progetti sul dialogo con la società, sfidando senza timore i confini convenzionali, integrando arte, design e architettura.

Crediti: Galleria IN’EI. Installation view, The Floating Realm, h220430, Satoshi Itasaka. Foto ©gerdastudio


BONUS TRACK

RADIO GAMeC 30 #24

Nel 2010 la nuova decade del millennio si apre con una crisi finanziaria che colpisce duramente l’Europa. In Inghilterra David Cameron forma un governo di coalizione tra Conservatori e Liberali, il primo dalla Seconda Guerra Mondiale, e in Australia viene eletto per la prima volta un Primo Ministro donna. Negli Stati Uniti l’Affordable Care Act voluto dal governo Obama rivoluziona il settore dell’assistenza sanitaria, mentre il caso WikiLeaks e le rivelazioni di Julian Assange scuotono il mondo politico. Si verifica inoltre una serie di eventi ambientali catastrofici, come i terremoti ad Haiti e in Cile, e l’eruzione del vulcano islandese Eyjafjallajökull che genera una nube di polveri che rende impossibile il traffico aereo. Il 2010 è anche l’anno che vede la nascita di Instagram, e in cui risulta sempre più evidente il potere dei social media sulla società: ne è un esempio la rivoluzione tunisina, il cui innesco è il video di un giovane uomo che si dà fuoco davanti al palazzo del governo, esasperato dalle condizioni sempre più difficili di vita e di lavoro. Della Primavera Araba e di molto altro si parla in questa puntata con l’artista, filmmaker e ricercatrice libanese Marwa Arsanios, la cui pratica crossmediale riconsidera le politiche di metà Novecento da un punto di vista contemporaneo.

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