Riccardo Cammelli, tra panni di rosso tinti /2

Tra i panni di rosso tinti, parole che sono parte del titolo del libro recentemente pubblicato da Attucci Editrice, scritto dallo storico Riccardo Cammelli, traccia i venti anni in cui Prato, attraverso il dibattito tra forze economiche, politiche e sociali, vive tutte le fasi dell’ascesa e del declino dell’Impero-Distretto: nei Settanta si assiste alla presa di coscienza della potenza economica (da cui le spinte autonomiste e il conflitto con Firenze) e allo sfoggio del “modello unico e inimitabile” che sbaraglia i competitor europei (da cui le accuse mondiali di dumping e concorrenza sleale). Luci e ombre di quei successi: infortuni, tumori, sfruttamento, costi sociali che dovrebbero controbilanciare la positività, ma che con il tempo passano in secondo piano rispetto ai vantaggi economici degli orari senza regola e del benessere raggiunto, un modello-sistema che viene prima criticato poi accettato dalla sinistra istituzionale.
Successivamente, per variabili endogene ed esogene, agli inizi degli anni Ottanta il settore tessile entra in crisi e così la città. Il settore internazionale della moda spiazza Prato, il jeans e il cotone prendono il posto del cappotto di lana: sempre meno tessile-lana-cardato, sempre di più pronto moda-abbigliamento-confezioni, funzionali alla commercializzazione dei grandi marchi e delle multinazionali: suona a morto per gli stanzoni sotto casa e le lavoranti a domicilio. Una crisi non congiunturale ma strutturale, dalla quale il distretto non si riprenderà più. Anzi, per dirla alla Braudel, è la fine di un ciclo millenario dedicato al tessile e alla lana. E quando la crisi giunge, i nodi vengono al pettine: la città scopre l’assenza di managerialità, l’impreparazione ai mutamenti, la crisi della classe dirigente, il crack della Cassa (non è collegato, ma si aggiunge al resto della crisi), l’invecchiamento della popolazione, i limiti della monocoltura tessile. La classe dirigente si chiude a riccio in posizione difensiva e si appella al “patto cittadino” tra le forze politiche ed economiche, si chiede di aprire una “vertenza Prato”: praticamente l’antesignano del “Prato non deve chiudere” di oggi. Dall’adrenalinica boria alla depressiva autocommiserazione. Finisce davvero una storia e ne inizia un’altra, in concomitanza con la fine del mondo diviso in due. Tra le pieghe della crisi si inseriscono le dinamiche migratorie mondiali, Cina compresa. Ma in Cina volevamo andarci noi, già dalla fine degli anni Settanta…..
Dunque una città che negli anni si guarda allo specchio e decide quale “vestito” mettersi: i PRG Marconi e Sozzi-Somigli, che impegnano gli attori cittadini per oltre 20 anni, sono impostati per adeguarsi ad una città dedita al lavoro e alla produzione. Sono i PRG della separazione del laboratorio dal dormitorio, laddove possibile: i Macrolotti vengono progettati per trasferire le fabbriche dal centro alla periferia, recuperando il centro storico. I PRG riflettono le aspirazioni della città, e i contrasti con Firenze su varie questioni: l’area Expo (il dibattito sulla ex Banci inizia negli anni Settanta), l’aeroporto (con S. Giorgio a Colonica come spettro che torna ciclicamente), l’inceneritore, l’Interporto, il degrado del centro storico. Ma la crisi degli anni Ottanta offusca l’immagine della città, e quando il PRG sembra attuarsi, è ormai troppo tardi. (La domanda è implicita, ma non contenuta nel libro: a che serviranno i Macrolotti, il depuratore e l’Interporto per una città non più tessile?).
Infine i protagonisti della politica. La DC, che si contraddistingue come partito di opposizione in linea con la sua forza numerica e con la “Battaglia di Toscana” lanciata dal dirigente regionale Ivo Butini. Una DC, quella dei Settanta-Ottanta, a conduzione doroteo-andreottiana, con Silvano Bambagioni come baricentro interno e personaggio-chiave per la lettura del distretto: presidente della Cassa, direttore della CAP, preposto della Misericordia, co-fondatore della CISL. Il PSI, in cui avviene il cambio generazionale negli anni Settanta, con l’arrivo di Alberto Magnolfi, Paolo Benelli, Giampiero Nigro, Marco Mazzoni, al posto del “vecchio leone” Carlo Montaini. In continuità con la vecchia linea c’è l’atteggiamento critico verso l’alleato maggioritario PCI (si veda tutta la vicenda del periodo di Roberto Giovannini sindaco); in discontinuità una generazione che si forma culturalmente a fronte dei “fatti di Ungheria” e Cecoslovacchia, fortemente critica, se non totalmente avversa, al comunismo. Il risultato è un tira e molla in giunta e in maggioranza che si concretizza nella definizione di “collaborazione nella competizione”. Il PCI è il primo partito del distretto, con Giorgio Vestri figura simbolica di spessore. Assieme a Lohengrin Landini sono i due sindaci dello sviluppo e dei trionfi del comprensorio tessile, con l’idea tutta comunista dell’ente locale che dirige lo sviluppo e lo programma nel tempo. Ma agli inizi degli Ottanta il fuoco cova sotto la cenere: l’insoddisfazione della base per i rapporti Craxi-Berlinguer e per i rapporti PSI-PCI locali, a cui si aggiunge la spinta della FGCI per il rinnovamento del gruppo dirigente, sono un mix nocivo per la vecchia guardia. Al famoso Congresso di Coiano del 1983 le nuove leve pongono le basi per giungere in pochi anni alla successione alla poltrona di sindaco e di segretario del partito, oltre al cambio di gruppo dirigente che governerà la città nei successivi 30 anni.
È curioso. Quel ciclo, ultimo, inizia con Marco Romagnoli responsabile economico della Federazione, e finisce con Marco Romagnoli sindaco.

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