EDITORIALE “Quattro pecore, sette ceste d’orzo, un’anfora di vino, tre brocche di olio, una cesta di frutta“… secondo la più diffusa storia della scrittura, sono queste le prime parole scritte dall’uomo. Intorno al 3500 a.C. i sacerdoti sumeri registravano, con caratteri cuneiformi su tavolette d’argilla, gli oboli dei fedeli al tempio, come gli scribi registravano atti di proprietà, liste di beni, libri mastri: insomma la scrittura deve la sua origine alla contabilità, a quei burocrati e amministratori che la usavano come strumento di controllo, e dunque di dominio, che documentava lo sfruttamento dei sudditi in una società rigidamente gerarchica. Inquietante. Ma in fondo, se ci pensiamo, anche altre grandi civiltà alfabetizzate, come gli Egizi o i Maya, facevano lo stesso, come se ci fosse un legame inevitabile tra scrittura e Stato, registrazione e gerarchia, civiltà e schiavitù.Tre tavolette d’argilla del Museo Nazionale di Storia della Transilvania, però, ci raccontano una storia diversa che potrebbe rivoluzionare non solo la storia della scrittura ma anche questa idea di legame necessario tra scrittura e potere. Le tavolette d’argilla di Târtâria, scoperte in Transilvania nel 1961, e datate al 5.300 a.C. circa, sono incise con circa 20 segni che potrebbero costituire la prima testimonianza di scrittura dell’umanità. A questa ricerca si dedica da quarant’anni il linguista tedesco Harald Haarmann, che ritiene che i caratteri Vinča siano la testimonianza della prima grande civiltà del mondo: l’Europa Antica. I ritrovamenti archeologici ci raccontano che ebbe origine nel 6000 a.C., si diffuse tra Balcani, Romania e Ucraina: una società dai tratti quasi utopici, con grandi città ma senza centri di potere, che non ha vissuto conflitti, con divinità femminili e parità tra i sessi, composta da agricoltori provenienti dall’Africa. A prescindere dal fatto che la sua scrittura composta da circa 700 grafemi possa considerarsi tale, non essendo ancora stata decifrata, questo antico popolo e i suoi reperti ci dimostrano soprattutto che una grande civiltà può sorgere ed esistere anche senza gerarchie, oppressione e violenza. An – archos, senza capi. Qualcosa che va molto al di là di chi ha inventato per primo la scrittura. L’Europa del futuro dovrebbe essere più Antica. In questa centosettantunesima edizione di TELESCOPE, la nostra newsletter settimanale dedicata alle istituzioni e ai progetti culturali di cui siamo portavoce, tra i RACCONTI trovate un estratto dall’intervista a Shimabuku dell’artista sudcoreana Haegue Yang, pubblicata nel booklet della mostra Shimabuku. Me, We in corso al Museion di Bolzano; parte del testo critico dei curatori Andrea Viliani ed Eva Brioschi per la mostra David Lamelas. I Have To Think About It, in corso alla Fondazione Antonio Dalle Nogare di Bolzano; infine, un estratto dal testo nel catalogo della mostra Shaun the Sheep&Friends. The Art of Aardman Exhibition – in corso al PAFF! International Museum of Comic Art di Pordenone – a firma di Peter Lord cofondatore degli Aardman Studios.Tra i VIDEO trovate un piccolo backstage della mostra di Davide Rivalta. Sogni di Gloria, organizzata da Fondazione Brescia Musei nei giardini del Castello di Brescia, e un video dall’archivio della Fondazione Arnaldo Pomodoro dedicato alla tecnica dell’osso di seppia applicata alla scultura, invenzione di Arnaldo Pomodoro.Tra gli EXTRA segnaliamo il progetto performativo Deserters (Disertori) di Chiara Bersani, vincitore dell’undicesima edizione di Italian Council, la cui partitura e installazione ambientale entreranno nella collezione della GAMeC di Bergamo; ONIRICA 2023, la prossima mostra alla Fondazione Alberto Peruzzo di Padova; e la mostra collettiva FUTURES 2023: nuove narrative, da CAMERA a Torino. Buona lettura!Lo staff di Lara Facco P&C#TeamLara Vi ricordiamo che l’archivio di tutte le edizioni di TELESCOPE è disponibile su www.larafacco.com TELESCOPE. Racconti da lontanoIdeato e diretto da Lara FaccoEditoriale e testi a cura di Annalisa InzanaRicerca ed editing Camilla Capponi, Alberto Fabbiano, Martina Fornasaro, Marianita Santarossa, Claudia Santrolli, Denise Solenghi, Alessandro Ulleri, Carlotta Verrone, con la collaborazione di Margherita Animelli, Nicolò Fiammetti, Andrea Gardenghi, Margherita Villani, Victoria Weston e Marta Zanichelli domenica 27 agosto 2023RACCONTI Me, We – Una canzone d’amore. Shimabuku in conversazione con Haegue Yang HY: Ma ora vorrei tornare a te, parliamo della tua antologica, Shimabuku. Me, We. Il titolo per me è già relazionale. C’è un soggetto, “me” e poi una comunità più grande, “we”.S: A dir la verità la frase Me,We è di Muhammad Ali, il famoso pugile americano che di certo conosci. Lo invitarono ad Harvard per una cerimonia di laurea, era già malato e non parlava molto bene. Alcuni studenti e studentesse gli chiesero di dire qualcosa e a lui uscirono di bocca le semplici sillabe “Me, We”. Nient’altro. La frase è considerata la poesia più breve del mondo. Secondo me, Me, We significa che il mio lavoro inizia da cose, azioni e reazioni mie personali, ma poi diventa pubblico, nostro, di tutti e tutte. Se prendiamo una canzone d’amore, è ancora più chiaro. Una canzone d’amore è privata, ma poi diventa di tutte e tutti. Mi sembra che anche la mia arte sia un po’ così. Anzi, penso che lo sia sempre. Forse questo descrive bene il mio modo di fare arte.HY: Che cosa puoi dirmi della struttura della mostra? È disposta su due piani: uno contiene diverse opere dei primi periodi, l’altro è più generoso.S: Un piano è una sorta di retrospettiva, ma senza una progressione cronologica lineare. Il piano di sopra presenta alcune opere nuove relative a Bolzano, con il suo passato che mescola la storia italiana e quella di Austria e Germania.HY: Parliamo un po’ della sezione retrospettiva. Tra le opere in mostra, quali sono quelle dei tuoi esordi?S: Le mie origini artistiche, tra il 1990 e il 1991, furono una reazione alla linearità della storia dell’arte europea e allo strapotere dell’Arte Povera e del Minimalismo. Decisi di aggiungere percorsi alternativi, informali. Quindi, nel 1991, da studente senza un soldo in tasca, ho cominciato a lavorare su Viaggio per l’Europa con un sopracciglio rasato, senza sapere se fosse un’opera d’arte o no. In ogni modo, feci amicizia con molte persone che mi chiedevano: “Perché hai un sopracciglio solo?” e poi mi invitavano a cena. La mia vita cominciò a cambiare per il fatto di avere un solo sopracciglio. L’arte dovrebbe avere la forza di cambiare la vita. Ho cominciato a considerare Viaggio per l’Europa con un sopracciglio rasato la mia prima opera d’arte.HY: C’era anche molta performance, giusto?S: Sì, e anche il tema del viaggio. Ho attraversato undici Paesi europei con il mio unico sopracciglio. Quando l’altro ricrebbe, l’opera si concluse.* estratto dall’intervista pubblicata nel booklet della mostra Shimabuku. Me, We in corso al Museion di Bolzano fino al 3 settembre 2023 Crediti: Shimabuku. Me, We, installation view, Museion 2023. © Luca Guadagnini. Un’introduzione (possibile) a una mostra fatta quasi di nulla, di Andrea Viliani con Eva Brioschi* I Have to Think About It è la prima mostra retrospettiva in un’istituzione italiana dell’artista argentino David Lamelas, autore di una delle più affascinanti ricerche artistiche di matrice concettuale emerse alla fine degli anni Sessanta. Nella pratica di Lamelas si articolano installazione, scultura, disegno, fotografia, film, video, opere sonore, performative e testuali che raccontano i contesti e le condizioni che definiscono le nostre percezioni e cognizioni. Un’arte fatta, spesso, quasi di nulla. La mostra si sviluppa spazialmente su tutti i piani della Fondazione, sconfinando all’esterno e nelle sale che accolgono la collezione, in cui l’artista intrattiene un dialogo con le opere di altri artisti. Oltre allo spazio, anche la durata nel tempo si riarticola e si espande: generalmente limitata ad alcuni mesi, la mostra copre invece un arco temporale molto più ampio durante il quale, assumendo configurazioni diverse, sono presentate alcune tra le più importanti opere storiche dell’artista insieme a nuove produzioni e a un programma inedito di eventi dal vivo. Fin dal titolo – consapevolmente autoironico, quanto autoriflessivo («devo pensarci su») – Lamelas mette in forse il formato stesso di mostra, e in particolar modo di quella retrospettiva, per proporne un’interpretazione personale nella quale il contesto espositivo, così come quello dell’istituzione, rappresentano elementi di un discorso in divenire, in cui provocare e accogliere anche aspetti di provvisorietà e la possibilità di diversi punti di vista – quello dell’artista ma anche quello del visitatore– che rispondano al contesto in cui è situata l’esperienza espositiva. In questa revisione e rarefazione del formato retrospettivo, Lamelas predispone la mostra come un ulteriore approfondimento dei concetti di spazio e di tempo che hanno caratterizzato tutta la sua ricerca. Predisponendo un allestimento non confinato a uno spazio definito, e ritmando il tempo della mostra su quello più lungo e mobile della visione, dell’ascolto e del pensiero, Lamelas ci invita a considerare le dimensioni dello spazio e del tempo come qualcosa di interpretabile, e quindi variabile: più che concetti, infatti, per Lamelas spazio e tempo sono accadimenti contestuali e relativi – e per questo esperibili e narrabili in molteplici variazioni – alla cui interpretazione l’autore compartecipa con altri soggetti, a partire dal pubblico – spesso formato da altri artisti o dai partecipanti alle sue mostre o alle sue opere – chiamato da Lamelas a essere, come in alcuni film e serie fotografiche in mostra, co-autore dell’opera nel momento stesso della sua realizzazione.* estratto dal testo introduttivo alla mostra David Lamelas. I Have to Think About It in corso alla Fondazione Antonio Dalle Nogare di Bolzano fino al 24 febbraio 2024 Crediti: David Lamelas. I Have to Think About It. Installation view of the exhibition at Fondazione Antonio Dalle Nogare, 2023. Ph. Hannes Ochsenreiter. Courtesy Fondazione Antonio Dalle Nogare Shaun the Sheep & Friends. The Art of Aardman Exhibition. Introduzione, di Peter Lord* Certo, noi di Aardman siamo cineasti. Ogni nuova produzione è una specie di viaggio. Inizia da un’idea che nasce nella testa di qualcuno e che giungerà a completamento quando il film sarà proiettato su uno schermo. Ma un viaggio non significa solo raggiungere una destinazione… E nella realizzazione di un film, l’esplorazione e l’avventura possono essere appassionanti quanto la stessa conclusione del viaggio. In questa mostra vorremmo farvi soffermare lungo il percorso e condividere con voi alcune delle nostre esperienze, e farvi incontrare le persone la cui creatività ha reso quest’avventura possibile. Perché i bozzetti, i pupazzi e le scenografie che vedrete qui sono di per sé oggetti molto belli. Realizziamo i nostri film in tanti modi diversi, con tecniche diverse, ma hanno tutti un tratto comune: dal primo momento della creazione all’effetto sonoro finale, sono frutto della combinazione dei talenti diversi di una formidabile squadra di artisti e artigiani. Alcuni lavorano con una matita, altri con la plastilina; alcuni con la luce, altri con il movimento. Lavorano con il legno, il lattice, la vernice e i pixel, e provengono da ogni settore possibile delle arti plastiche, anche da discipline del tutto diverse. Hanno talento, immaginazione e sono spinti da una ricerca incessante dell’eccellenza. La mostra Shaun the Sheep & Friends, The Art of Aardman Exhibition vuole celebrare tutte queste persone e il loro lavoro. Come ogni avventura creativa, Aardman è partita in piccolo. David Sproxton e io ci siamo conosciuti quando ancora andavamo a scuola. Abbiamo fatto i nostri primi esperimenti con l’animazione per puro divertimento, e il nostro pubblico era composto da genitori e parenti. Non potevamo immaginare che il nostro passatempo un giorno sarebbe diventato il nostro lavoro.Per nostra fortuna ci siamo trovati nel posto giusto al momento giusto per vendere il nostro primo cortometraggio a un presentatore televisivo. La star di quel film, senza titolo né crediti, era un supereroe senza alcun potere. L’abbiamo chiamato Aardman, un nome ispirato a quello di un animale che vive in Sudafrica, l’oritteropo del Capo (aardvark in inglese), perché la trovavamo una parola molto divertente. Abbiamo preso aard di aardvark e ci abbiamo aggiunto man di Superman, così è nato il nome della nostra impresa. Oggi, una quarantina di anni dopo, sono felice e orgoglioso di questa decisione così fortuita. Quando eravamo solo in due, agli inizi della nostra carriera, avevamo scelto un nome che ci faceva sorridere. Non potevamo immaginare che un giorno questo nome sarebbe stato inciso su una statuetta degli Oscar, conosciuto in tutto il mondo, o esposto lungo le rive della Senna, sulle pareti di Art Ludique-Le Musée e adesso a Pordenone al PAFF! International Museum of Comic Art. * estratto dal testo nel catalogo della mostra Shaun the Sheep&Friends. The Art of Aardman Exhibition in corso al PAFF! International Museum of Comic Art di Pordenone fino al 24 settembre. Crediti: Paff! International Museum of Comic Art, Pordenone. Installation view, Shaun the Sheep&Friends. The Art of Aardman Exhibition. Photo Gino NardoVIDEO Così lontani così vicini In questo video di backstage scopriamo in parte la tecnica scultorea di Davide Rivalta, protagonista fino al 7 gennaio 2024 della mostra Sogni di Gloria, in cui 14 statue colossali di primati sono allestite nei giardini del Castello di Brescia. La mostra, a cura di Davide Ferri e promossa da Comune di Brescia, Fondazione Brescia Musei e Alleanza Cultura, è stata realizzata in collaborazione con la XVII edizione di Meccaniche della Meraviglia – manifestazione bresciana che da quasi vent’anni porta mostre site-specific in luoghi solitamente chiusi al pubblico – e segna un’importante tappa nel percorso dell’artista bolognese. La scelta di questi particolari animali, gorilla che sfiorano i tre metri di altezza, gruppi di scimpanzé, babbuini e un orango, nasce anche da quelle caratteristiche specifiche che li rendono più vicini all’uomo, somiglianze non solo anatomiche, ma soprattutto nel tipo di intelligenza, nel modo di guardare, afferrare, utilizzare oggetti. Con i primati gli uomini condividono comportamenti e aspetti sociali, ma la loro presenza nel parco del castello ci dimostra quanto, pur essendo vicini al regno animale, la sua comprensione non potrà mai essere totale. GUARDA Crediti immagine: Davide Rivalta, Sogni di gloria, installation shot. Photo credit: Ela Bialkowska OKNO Studio.Ossi di Seppia “Questa cosa qua è stata una mia invenzione. Nel senso che mentre l’osso di seppia esiste nell’oreficeria da molti anni nessuno ha mai sfruttato questo magnifico materiale che è la struttura dell’osso di seppia (in scultura)”. Così racconta Arnaldo Pomodoro in questo video proveniente dall’Archivio online della Fondazione Arnaldo Pomodoro, estratto dal filmato dedicato alla realizzazione del Papiro di Darmstadt (1993). L’osso di seppia, facile da incidere e resistente alle alte temperature, è stato molto usato dal Maestro, che ne ampliò le possibilità di utilizzo rendendolo anche soggetto di alcune sue opere. GUARDA Crediti immagine: Arnaldo Pomodoro. Il Grande Teatro delle Civiltà. Installation view at Palazzo della Civiltà Italiana, Roma, 2023. Ph. Agostino Osio. Courtesy FENDI e Fondazione Arnaldo PomodoroEXTRA Disertori Virginia Woolf nel saggio On Being Ill (1926), scrive che con la malattia “smettiamo di essere soldati nell’esercito degli eretti; diventiamo disertori”. Da questo pensiero nasce il titolo della nuova opera di Chiara Bersani, Deserters (Disertori), una live installation composta da una performance interpretata da tre performer con disabilità motoria e un ambiente in cui i corpi si incontrano e agiscono. Domenica 3 settembre alle ore 21.00, negli spazi dell’Ex Oratorio di San Lupo a Bergamo, si terranno le prove generali aperte al pubblico della performance, in vista del debutto autunnale alla Kunsthaus Baselland di Muttenz/Basilea, che dal 27 ottobre ospiterà la prima mostra personale dell’artista in un’istituzione europea, a cura di Lorenzo Giusti e Ines Goldbach. A conclusione del progetto, la partitura della performance e l’installazione ambientale della mostra di Basilea entreranno a far parte delle collezioni della GAMeC. Deserters (Disertori) è il progetto vincitore dell’undicesima edizione di Italian Council, il programma di promozione internazionale dell’arte italiana della Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura, e parte del palinsesto di Bergamo Brescia Capitale Italiana della Cultura 2023. Informazioni sul sito gamec.it. Crediti immagine: Georgia GarofaloTradurre i sogni in immagini Dal 16 settembre la Fondazione Alberto Peruzzo riapre la sede espositiva appena restaurata dell’ex Chiesa di Sant’Agnese a Padova con ONIRICA 2023, una mostra dedicata al sogno e all’intelligenza artificiale. Fulcro del progetto realizzato da fuse*, studio artistico multidisciplinare che dedica la sua ricerca all’uso espressivo di tecnologie digitali per interpretare la complessità del presente, sarà l’installazione audiovisiva Onirica, 2023 che esplora la dimensione dei sogni grazie ad algoritmi di apprendimento automatico capaci di tradurre in immagini i racconti onirici provenienti dalle Banche dei Sogni delle Università di Bologna e della California – Santa Cruz. La macchina propone infinite possibili traduzioni dei racconti in immagini e voci, ma le scelte estetiche e lo sviluppo narrativo sono guidati dagli artisti, in una collaborazione che ricorda quella tra regista e assistenti in un set cinematografico. Nella navata della ex chiesa l’installazione, attraverso un sistema di proiezioni e audio diffusi, offrirà un’esperienza immersiva in cui le visioni notturne vengono presentate in un flusso continuo di immagini in movimento, mettendo in luce riflessioni inedite sul rapporto tra essere umano e macchina, tra strumento e creatore. Crediti: fuse*Futuri Accanto alla mostra dedicata a Dorothea Lange, nella Project Room di CAMERA fino all’8 ottobre trovate la collettiva FUTURES 2023: nuove narrative, a cura di Giangavino Pazzola: un percorso espositivo che raccoglie sei progetti di altrettanti artisti scelti per il programma europeo FUTURES Photography – dove CAMERA rappresenta l’Italia – che promuove e valorizza talenti emergenti. La mostra esplora il tema della rappresentazione visiva della contemporaneità in oltre 50 scatti, realizzati da Andrea Camiolo (Leonforte, 1998), Nicola Di Giorgio (Palermo, 1994), Zoe Natale Mannella (Londra, 1997), Eleonora Roaro (Varese, 1989), Sara Scanderebech (Nardò, 1985) e Alex Zoboli (Guastalla, 1990). I progetti indagano usi e costumi della società di oggi e le nuove tendenze che attraversano il panorama della fotografia contemporanea, interrogandosi su come si possa ancora raccontare e leggere il mondo attraverso la fotografia. Crediti: Installation views della mostra FUTURES 2023: Nuove narrative a CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia. Fotografie di Andrea GuermaniSei un giornalista, un critico, un curatore?Vuoi contribuire con un tuo scritto a una delle prossime edizioni di TELESCOPE?Scrivici su telescope@larafacco.com Se vuoi ricevere TELESCOPE anche tu, scrivi a telescope@larafacco.com L’archivio completo di TELESCOPE è disponibile sul sito www.larafacco.com |
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