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Museo Novecento Firenze | Mapplethorpe – Von Gloeden, Beauty and Desire | dal 23 settembre 2023


Dal 23 settembre 2023 al 14 febbraio 2024
, il Museo Novecento rende omaggio a uno dei maggiori esponenti della fotografia del novecento, Robert Mapplethorpe (New York, 4 novembre 1946 – Boston, 9 marzo 1989), in un confronto inedito con gli scatti di Wilhelm von Gloeden e una selezione di fotografie dall’Archivio Alinari. Quarant’anni dopo la grande mostra del 1983 al Palazzo delle Cento Finestre, che fece conoscere proprio a Firenze l’opera di Mapplethorpe, tornano a farsi ammirare le immagini del celebre fotografo newyorkese con un progetto organizzato con la fondamentale collaborazione della Robert Mapplethorpe Foundation e della Fondazione Alinari per la Fotografia.


La mostra – a cura di Sergio Risaliti, direttore del Museo Novecento, assieme a Eva Francioli e Muriel Prandato – è la seconda grande mostra del museo dedicata alla fotografia, pratica che ha rivoluzionato la storia dell’arte a partire dall’Ottocento. Ospitata negli spazi espositivi al primo e al secondo piano del Museo Novecento, Beauty and Desire trae spunto da un nucleo consistente di opere che mette in luce l’intensa produzione artistica di Mapplethorpe, sottolineando il legame della sua ricerca con la classicità, nonché il suo approccio scultoreo al mezzo fotografico, reso evidente tanto nello studio del nudo maschile e femminile, quanto nella natura morta, equiparando i corpi agli oggetti secondo una visione e una sensibilità di scultore.

A partire da questo focus, il lavoro di Robert Mapplethorpe è messo a confronto con alcune fotografie risalenti alla fine dell’Ottocento e agli inizi del Novecento, provenienti dagli Archivi Alinari. Fra queste, assumono uno speciale rilievo alcune immagini del barone Wilhelm von Gloeden, tra i pionieri della staged photography e punto di riferimento per alcune fotografie di Mapplethorpe. Uno dei tratti distintivi delle atmosfere che animano le composizioni di von Gloeden è proprio il richiamo al passato, concepito quale inesauribile bacino di soggetti e suggestioni: un segno stilistico unico, che Io rende ancora oggi un’icona.

“Una mostra che riporta a Firenze la grande fotografia – ha detto la vicesindaca e assessora alla cultura Alessia Bettini – andando anche a mettere al centro l’enorme patrimonio artistico rappresentato dagli Archivi Alinari, in un confronto davvero unico tra l’opera di Robert Mapplethorpe e alcune fotografie di fine Ottocento e inizio Novecento in essi contenute. Uno degli eventi di Effetto Novecento che ci accompagneranno nella nuova stagione, all’insegna della grande cultura per tutti, con l’obiettivo da parte nostra di confermare e valorizzare sempre più Firenze come capitale del contemporaneo”.

“Gli archivi Alinari sono uno straordinario patrimonio culturale del passato, ma questa mostra chiarisce come quel passato abbia continuato a interagire con la contemporaneità – afferma Giorgio van Straten, presidente della Fondazione Alinari per la Fotografia. – Uno stimolo per noi oggi a costruire nuove occasioni di dialogo fra la fotografia storica e gli artisti del presente”.

“È con grande soddisfazione che inauguriamo Beauty and Desire, la straordinaria mostra incentrata sull’opera fotografica di Robert Mapplethorpe e del barone von Gloeden, a cui vanno ad aggiungersi foto storiche dell’archivio Alinari — afferma Sergio Risaliti, direttore del Museo Novecento. — Questo è un progetto che abbiamo voluto per celebrare i quarant’ anni dalla grande mostra realizzata a Firenze nel 1983, che fece conoscere la potenza e purezza degli scatti di Mapplethorpe a tutti i fiorentini e non solo. Beauty and Desire inoltre conferma la volontà del Museo Novecento di essere ponte tra la fotografia agli albori del Novecento e l’arte contemporanea, così come tra istituzioni fiorentine e internazionali come quella della Fondazione Alinari per la Fotografia e della Fondazione Mapplethorpe, che voglio ringraziare per il supporto e la collaborazione scientifica.

Con questo progetto i curatori si propongono di gettare nuova luce sulla complessa articolazione della ricerca di Mapplethorpe, a partire da un inedito accostamento con le fotografie di von Gloeden, un confronto evocativo e a tratti puntuale, che rivela il ricorrere di temi comuni: motivi che attraversano il tempo e giungono fino a noi, ponendosi come spunti di riflessione sull’attualità, soprattutto su come arte, morale, religiosità e spiritualità, cambino e si evolvano nella loro reciproca relazione”.

La mostra trae spunto da un nucleo di circa cinquanta fotografie selezionate tra le centinaia dell’intensa produzione artistica di Mapplethorpe suddivise per sezioni tematiche, grazie alle quali è possibile focalizzare l’attenzione sul rapporto tra Mapplethorpe e l’antico, la sua passione per i maestri che lo hanno preceduto come von Gloeden e i fratelli Alinari, la stretta comprensione se non affinità con Michelangelo Buonarroti, al quale Mapplethorpe si ispirò e con cui si relaziona anche grazie alle fotografie scultoree realizzate dagli Alinari, cogliendo il senso estetico delle pose atletiche, e in particolare della compressione di masse muscolari trattenute e pronte a esplodere con grande energia.

Il progetto si propone quale ulteriore contributo alla conoscenza del grande fotografo statunitense nel nostro territorio, a cui in passato sono state dedicate, tra le altre, una mostra a cura di Germano Celant al Centro Pecci di Prato (1993) e un’esposizione a cura di Franca Falletti e Jonathan K. Nelson alla Galleria dell’Accademia (2009): mostra, quest’ultima, che già metteva in luce l’innegabile relazione tra Mapplethorpe e Michelangelo.

L’interesse per l’antico e la passione per i fotografi che Io hanno preceduto sono una costante nell’opera di Robert Mapplethorpe che fu un appassionato e curioso collezionista di fotografie. Va aggiunto che Mapplethorpe compie agli inizi degli anni Ottanta un celebre viaggio in Italia, durante il quale ha la possibilità di confrontarsi direttamente con il paesaggio di Napoli e la potenza disarmante delle rovine che annullano agli occhi del fotografo la distanza tra il presente e il passato, in una prospettiva che è già di fatto post-moderna. Fu qui a Napoli che Mapplethopre venne probabilmente a conoscere per la prima volta le fotografie di von Gloeden, grazie soprattutto a Lucio Amelio, il celebre gallerista, legato a Andy Warhol e Joseph Beuys, che del fotografo tedesco era un apprezzato conoscitore e collezionista, e al quale dedicò fra il 1977 e il 1978 una mostra e due pubblicazioni, con prefazioni di Marina Miraglia e Roland Barthes. Fu nella stessa galleria di Lucio Amelio che Mapplethorpe espose nel 1984, proponendo un approccio autonomo alla fotografia, e un intenso connubio di elementi formali e contenuti soggettivi trasversali e liberi da ogni conformismo, in cui ad affiorare erano le continue metamorfosi tra spirito apollineo e sensualità dionisiaca, tra gli archetipi figurativi del mondo classico e l’iconografia del mondo cattolico.

I soggetti, le pose, le atmosfere sospese delle composizioni, così studiate e ponderate nella messa in scena in studio, ci guidano alla scoperta di un’idea non convenzionale di bellezza e di eros, di quella che potremmo definire una sessualità spiritualizzata al limite dell’arte per l’arte. Le opere in mostra, pur traendo ispirazione dai canoni della classicità, sembrano infatti condurci lungo traiettorie estetiche non scontate e a tratti perturbanti, sollevando e risolvendo interrogativi sul tema del corpo e della sessualità la cui eco risuona, a tratti immutata, nella cultura visiva contemporanea, dove la censura e il giudizio morale sono sempre pronti a mettere sotto accusa la bellezza e il desiderio. Ma la grandezza artistica di Robert Mapplethorpe sta proprio in questa capacità di sopprimere ogni falso moralismo, costringendoci a una osservazione frontale, iconica, dei corpi e dei sessi esibiti come oggetti, e al tempo stesso trasfigurando questi ‘oggetti’ in forme pure, con un gioco di contrasti pittorici e plastici, di posture e inquadrature, che suggeriscono immediatamente una matrice precedente, un modello dell’antichità greca e romana, del passato rinascimentale, un’opera caravaggesca o un prototipo neo-classico. Guardare le sue foto è dunque vivere non tanto l’esperienza del voyeur ma quella del contemplatore, riconoscere una doppia vita all’immagine fotografica: quella di essere comunque specchio del reale – da cui dipende la sua potenza prevaricatrice e perturbante – e quella di essere una forma archetipica che ritorna dal passato, un ritornante, da cui dipende la sua risonanza, la sua umbratile metafisica irradiazione. Trasformando ogni suo soggetto (un corpo, un volto, un fiore) in una forma purissima di arte da cui è stato esautorato ogni possibile giudizio morale, Mapplethorpe è così riuscito a restituire aura alla fotografia, in modo anche da conquistare per essa lo statuto di opera e il riconoscimento pieno della sua pratica fotografica come arte assoluta.

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