processed 50

TELESCOPE | racconti da lontano #188

EDITORIALE

La spanna è un’unità di misura approssimativa dall’origine antica. È lo spazio tra la punta del pollice e del mignolo della mano aperta di una persona adulta e, essendo noi tutti diversi, è altamente variabile, ma diciamo che orientativamente corrisponde a 20 cm: una piccola distanza che può fare la differenza soprattutto se osservi qualcosa che sta in alto. Giovanni Anselmo (1934 – 2023) pensava che una spanna potesse fare la differenza nell’osservazione delle stelle, e che permettere a una persona di salire su una lastra di pietra alta 20 cm, non solo cambiasse la sua percezione delle cose, ma anche quella del suo corpo nello spazio. Dove le stelle si avvicinano di una spanna in più (2001-2017) composta da un numero variabile di blocchi di diorite disposti a terra in modo apparentemente casuale, con il suo titolo, a volte inciso a volte proiettato sui blocchi stessi, è un invito rivolto a tutti, a salire una spanna più in alto, per contemplare più da vicino l’infinita vastità dell’Universo di cui facciamo parte e di cui lui indagava le forze fisiche, dimostrando come l’Arte possa costruire un Altrove, un varco tra le infinite possibilità di mondi possibili.

Lo aveva capito già nel 1965 quando, salito sulla cima del vulcano Stromboli, fece un’esperienza rivelatoria immortalata nella fotografia La mia ombra verso l’infinito dalla cima dello Stromboli durante l’alba del 16 agosto 1965in cui provò la sensazione che la sua ombra, dissolta nell’aria fosse inclinata verso l’infinito. Un’esperienza che gli rivelò il nostro essere parte di un continuum che attraversa innumerevoli dimensioni, un’intuizione che consentì a ogni sua opera successiva di mettere in atto e rappresentare ciò che per definizione è lontano, incommensurabile, invisibile, incontenibile come la forza di gravità, il magnetismo terrestre, l’orizzonte, l’Universo.

Grazie Maestro per averci fatto salire una spanna più in alto.

In questa centottantottesima edizione di TELESCOPE, la nostra newsletter settimanale dedicata alle istituzioni e ai progetti culturali di cui siamo portavoce, tra i RACCONTI trovate un testo della giornalista e critica fotografica Francesca Orsi sulla mostra André Kertész. L’opera 1912-1982 da CAMERA Centro Italiano per la Fotografia di Torino; un testo del giornalista de La Stampa e The Good Life Guido Furbesco dedicato a Dreamless Night, la mostra di Ali Cherri alla GAMeC di Bergamo co-organizzata con la Fondazione In Between Art Film; e un estratto dal testo critico della curatrice Andreina Di Brino nel catalogo della mostra Pensiero video. Disegno e arti elettroniche in corso alla Fondazione Centro Studi sull’Arte Licia e Carlo Ludovico Ragghianti – ETS di Lucca.

Tra i VIDEO trovate un’intervista a Lorenzo Mattotti protagonista della mostra STORIE. RITMI. MOVIMENTI prodotta da Fondazione Brescia Musei e in corso al Museo di Santa Giulia di Brescia, e un video dedicato a Eve Arnold. L’Opera 1950 – 1980, retrospettiva in corso al Museo Civico San Domenico di Forlì.

Infine, nella sezione EXTRA segnaliamo OLTRE, uno degli eventi conclusivi di MELMA, progetto commissionato a Nico Vascellari da Museo Novecento di Firenze; le mostre Sul Guardare. Massimo Grimaldi e Perimetro Piacenza negli spazi di XNL Piacenza; e Che mito questo Natale! programma di visite guidate per famiglie di Galleria Borghese.

Buona lettura e buona fine d’anno!

Lo staff di Lara Facco P&C

#TeamLara

Vi ricordiamo che l’archivio di tutte le edizioni di TELESCOPE è disponibile su www.larafacco.com

TELESCOPE. Racconti da lontano

Ideato e diretto da Lara Facco

Editoriale e testi a cura di Annalisa Inzana

Ricerca ed editing Camilla Capponi, Alberto Fabbiano, Martina Fornasaro, Marianita Santarossa, Claudia Santrolli, Denise Solenghi, Alessandro Ulleri, Carlotta Verrone, con la collaborazione di Margherita Animelli, Maria Ester Candido, Michela Colombo, Nicolò Fiammetti, Andrea Gardenghi, Agata Miserere, Margherita Villani, Victoria Weston e Marta Zanichelli.

domenica 31 dicembre 2023

RACCONTI

MAESTRO KERTÉSZ, di Francesca Orsi

Guardare le immagini di André Kertész significa scoprire il mondo, scoprirne la poesia e l’identità più profonda. D’altronde da un autore che, già con una fama alle spalle e un linguaggio fotografico ben definito, si definiva un “dilettante”, sperando di continuare a esserlo fino alla fine della sua vita, come potrebbe essere il contrario? Quando Kertész parlava di se stesso come di un amateur, in ambito fotografico, non era ovviamente riferito alla sua esperienza, ma al suo approccio. Un approccio che dalle sue prime fotografie di strada in Ungheria fino ai suoi ultimi progetti, compreso From my window (1981) che lo vedeva malato e recluso in casa è sempre stato quello di colui che vede le cose per la prima volta, mai scevro della possibilità di farsi sorprendere, mai troppo “arrivato” per porre un limite al suo pensiero.

A Camera – Centro Italiano per la Fotografia a Torino, fino al 4 febbraio, la grande mostra retrospettiva André Kertész. L’opera 1912-1982 che omaggia la grandezza e la longevità della visione del fotografo ungherese, a cura di Matthieu Rivallin e Walter Guadagnini. Realizzata in collaborazione con la Médiathèque du patrimoine et de la photographie di Parigi, che conserva gli oltre centomila negativi e tutti gli archivi donati dal fotografo allo Stato francese nel 1984, l’esposizione è una carrellata temporale sulla produzione di chi è stato maestro dei più grandi, da Brassaï a Henri Cartier Bresson.

Arrivando a Parigi nel suo massimo splendore culturale degli anni Venti, André Kertész ne assorbì ogni insegnamento, riversando nel suo pensiero fotografico in via di formazione ogni influenza proveniente dalle sue amicizie parigine, da Man Ray a Berenice Abbott. È manifesto il suo interesse per le avanguardie storiche, la sua vicinanza a quel pensiero che distorceva la realtà, che la decomponeva per poi riassemblarla in forma diversa. Anche quando, poi, si trasferì a New York, mai perse quel suo sguardo teso alle forme, alla composizione surrealista, seppure non fu facile adeguarsi allo stile americano. Ma la Grande Mela lo stimolò anche nella composizione estetica, con il suo skyline e le sue mastodontiche architetture industriali, dando nuovi impulsi a chi si definirà per sempre un “eterno dilettante”. Henri Cartier-Bresson diceva di lui “Tutto quello che abbiamo fatto, o che abbiamo intenzione di fare, Kertész lo ha fatto prima”. La sensibilità di sguardo, ma anche umana, di André Kertész hanno fatto scuola e hanno nutrito gli immaginari visivi di città come Parigi, che senza le sue immagini, e senza le immagini di fotografi che da lui hanno attinto, forse non sarebbe più nemmeno lei.

Crediti: André Kertész, Danzatrice satirica, Parigi, 1926 © Donation André Kertész, Ministère de la Culture (France), Médiathèque du patrimoine et de la photographie, diffusion RMN-GP; André Kertész, Studio con una forchetta, Parigi, 1928 © Donation André Kertész, Ministère de la Culture (France), Médiathèque du patrimoine et de la photographie, diffusion RMN-GP; Installation views della mostra “ANDRÉ KERTÉSZ. L’opera, 1912-1982 ” a CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia. Fotografie di Rachele Nani

SCRUTARE L’ORIZZONTE, di Guido Furbesco

Il primo pensiero è questo: il protagonista di The Watchman è come Giovanni Drogo del Deserto dei Tartari. Come il sottotenente descritto da Dino Buzzati nel suo romanzo, il soldato che vediamo nel film di Ali Cherri si consuma scrutando l’orizzonte nell’attesa di un nemico che sembra sempre sul punto di arrivare ma poi non arriva mai. Ogni giorno la stessa storia, la stessa routine di guardia lungo quel dannato confine, in un’atmosfera di immobilità sempre più allucinata dove non si sa più che cosa sia realtà e che cosa illusione, sogno, miraggio… Eppure – attenzione – qualcosa poi succede: qualcosa che qui non sveliamo, per non fare torto a chi ancora volesse scoprire l’opera dell’artista e regista libanese; diciamo solo che succede, e il finale inatteso rimane “aperto”, liberamente interpretabile. Cherri (Beirut, 1976) è il tipo di artista che dice e non dice, che evita – meno male – i toni delle prese di posizione esplicite e dei proclami. La sua riflessione sul potere, sui conflitti e sui traumi della Storia (che non passano, ripercuotendosi sui destini individuali e collettivi e marchiando in modo indelebile persino il paesaggio) ci pare rimanere su un piano più intellettuale che politico. Più che dichiarare, Cherri sembra suggerire, condividendo le sue visioni sia attraverso il film sia per mezzo delle installazioni, dei disegni e delle sculture che, nelle sale successive, ne riprendono temi e ispirazioni, dando vita a quella che potremmo definire «un’opera d’arte totale», ci spiega Alessandro Rabottini, che assieme a Leonardo Bigazzi ha curato l’esposizione (Dreamless Night, alla GAMeC di Bergamo fino al 14 gennaio). Visitandola, si ha l’impressione di attraversare gli ambienti di un museo etnografico perché Cherri presenta i suoi lavori come se facessero parte di una mostra all’interno della sua stessa mostra: «Le sculture sono sovradimensionate perché il linguaggio monumentale è il veicolo d’espressione delle ideologie. Realizzate con sabbia ed elementi naturali, hanno l’aspetto di ritrovamenti archeologici, fragili, sul punto di sgretolarsi. Allestendole in questo modo, Cherri aggiunge al suo progetto un ulteriore livello di lettura: ragiona sul “display” museale, che non è mai stato strumento neutrale ma ha sempre rappresentato l’espressione di un sistema dominante». A colpirci sono i due soldati maestosamente scolpiti nel fango e ritratti in una posizione ambigua: sono stati colpiti? Stanno crollando su loro stessi? Dormono? A noi hanno ricordato gli “Eroi” dipinti da Georg Baselitz, simboli fragili, figure sconfitte dall’incedere violento degli eventi. Alla fine, ci tocca vivere un destino più grande di noi: «Un ruolo che gli eventi ci assegnano, qualcosa che non abbiamo scelto», conclude Rabottini.

Crediti: Ali Cherri – Dreamless Night. Veduta dell’installazione – GAMeC, Bergamo, 2023. Ph. Lorenzo Palmieri. Courtesy GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo e Fondazione In Between Art Film

Una premessa. In un disegno, il preludio inimmaginabile di un futuro ancora in evoluzione, di Andreina Di Brino*

Andando a ritroso: 1915-1913, Pietroburgo. «Mi sono trasfigurato nello zero delle forme e sono andato al di là dello 0-1».(1) Sintesi della prima formulazione teorica del Suprematismo, ovvero della supremazia dell’arte astratta sugli aspetti figurativi tradizionali, l’affermazione di Malevič compare nel gennaio del 1916 nella terza edizione del testo Dal cubismo e dal futurismo al suprematismo. Il nuovo realismo pittorico. La pubblicazione avviene a circa un mese di distanza dalla conclusione della mostra Ultima esposizione futurista. 0,10 (dicembre 1915), dove, nell’allora Pietroburgo, oggi San Pietroburgo, l’artista ucraino inaugura proprio la stagione del movimento russo esponendo quella che ne è diventata l’icona: Quadrato nero su fondo bianco.(2) La ricerca artistica è in un momento tra i più fibrillanti e contraddittori dell’intero Novecento: mentre con i primi lungometraggi narrativi e le prime strutture stabili che ne consentono la visione (3) si afferma un fronte dai tratti rassicuranti, che incontra il piacere del pubblico, in controtendenza, l’intero contesto delle arti visive (4) è costellato da esigenze antiestetizzanti, decise a contrastare e ad affrancarsi da ogni costrutto riconoscibile. Sopprimendo ogni forma di figurativismo e ogni convenzione rappresentativa, costituita soltanto da un quadrato nero su fondo bianco – che lo contiene ed è anch’esso quadrangolare – Quadrato nero su fondo bianco va in questa direzione; e benché riguardi, nello specifico, il piano pittorico, rompendo le regole e le convenzioni culturali dell’epoca, oltre a siglare un possibile inizio di quel processo di rimozione e astrazione che di lì a poco acquisirà maggiore definizione, fino a confluire, nella seconda metà del Novecento, in tutti quei filoni artistici enucleati intorno al concetto di dematerializzazione, la portata iconoclasta dell’opera indica una nuova prospettiva sia sul piano delle immagini fisse che in movimento.

Il motivo per cui la si prende qui in considerazione – e solo qui, nel catalogo, perché l’attuale guerra in corso tra Russia e Ucraina non ha consentito neanche lontanamente l’ipotesi del prestito – riguarda però il fatto che nel delineare il panorama innovativo che darà i suoi frutti nell’arco di pochissimi anni, Quadrato nero su fondo bianco dà anche conto di una espressività e di un immaginario pregressi di rilievo non secondario. L’opera del 1915 ha infatti un precedente specifico in un disegno del 1913, dove oltre a essere conservata la testimonianza del primo orientamento del percorso che sta per schiudersi, emerge quello che sarà, già proprio per Malevič, un fermo rifiuto alla limitatezza fenomenologica.

Il fatto che di Quadrato nero su fondo bianco esista una traccia grafica, di per sé non ha, almeno all’apparenza, niente di straordinario. In fin dei conti il disegno, con schizzi e bozzetti, anticipa da secoli pitture, sculture e architetture, tanto che, senza addentrarsi in approfondimenti e studi di settore, Giorgio Vasari, per fare un nome su tutti, lo considera non a caso il «padre delle tre arti nostre, architettura, scultura e pittura». (5)

1. J. Nigro Covre, Malevič, Giunti, Firenze 2004, p. 23, numero monografico allegato ad «Art e dossier», 200, 2004.

2. «L’opera occupa un posto d’onore, disposto com’è in alto, obliquamente, all’angolo con il soffitto, richiamando la posizione dell’icona nelle case russe e confermandosi così, nel suo angolo “sacro”, in tutto il suo valore emblematico», in Nigro Covre, Malevič cit., p. 24.

3. E questo accade nel primo ventennio del Novecento, a ridosso dello scoppio della Prima guerra mondiale.

4. Poiché la frase esordisce con il mettere in luce quanto sta accadendo nell’area cinematografica, si fa notare che, nell’ambito del Futurismo, il movimento che insieme al Cubismo spalanca le porte alle elaborazioni antiestetizzanti, il Manifesto della cinematografia futurista è del 1916.

5. G. Vasari, Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti, ed. integrale, Newton Compton Editori, Roma 2012 (Grandi Tascabili Economici), p. 73.

*estratto dal testo nel catalogo della mostra Pensiero Video. Disegno e Arti Elettroniche a cura di Andreina Di Brino in corso fino al 7 gennaio 2024 alla Fondazione Centro Studi sull’Arte Licia e Carlo Ludovico Ragghianti di Lucca.

Crediti: installation view della mostra Pensiero video. Disegno e arti elettroniche, Fondazione Ragghianti, 2023. Ph. Foto Alcide

VIDEO

Aprirsi a nuove possibilità

In questa intervista Lorenzo Mattotti, protagonista della mostra STORIE. RITMI. MOVIMENTI a cura di Melania Gazzotti, racconta di come l’idea del Trittico esposto in questa occasione sia nata insieme al progetto espositivo prodotto da Fondazione Brescia Musei e ospitato fino al 28 gennaio nel Museo di Santa Giulia di Brescia. L’opera, realizzata per la mostra, è stata per l’artista una occasione per approfondire il tema della danza, centrale nella sua produzione e, nonostante lo stesso artista dichiari che sia una delle opere più difficili a cui abbia mai lavorato, è stata una porta a nuove possibilità, un’occasione di cui ringrazia il museo. La mostra che, dagli esordi underground alle illustrazioni per i grandi giornali, racconta il lavoro di Mattotti dai primi comics ai film d’animazione, attraverso circa 250 lavori – quadri, schizzi preparatori, appunti, manifesti, animazioni cinematografiche – approfondisce il suo lavoro, noto in tutto il mondo, profondamente influenzato da musica, cinema e danza.

GUARDA

Crediti immagine: ph. Alberto Mancini

Lontana dagli stereotipi

C’è ancora tempo fino al 7 gennaio per visitare Eve Arnold. L’Opera 1950 – 1980, splendida retrospettiva dedicata alla fotografa statunitense dal Museo Civico San Domenico di Forlì. L’esposizione a cura di Monica Poggi e realizzata da CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia di Torino, in collaborazione con Magnum Photos, racconta tutta la determinazione, la curiosità e la volontà di fuggire gli stereotipi che hanno permesso alla Arnold di produrre un corpus davvero eclettico di opere: dai ritratti delle grandi star del cinema come Marlene Dietrich, Joan Crawford, Orson Welles e, soprattutto, Marilyn Monroe, ai reportage d’inchiesta dedicati al razzismo negli Stati Uniti, all’emancipazione femminile, all’interazione tra diverse culture del mondo. Composta da circa 170 immagini, di cui molte mai esposte, l’esposizione presenta l’opera completa della fotografa dai primi scatti in bianco e nero della New York degli anni Cinquanta fino agli ultimi lavori a colori, realizzati all’età di 85 anni, alla fine del secolo.

GUARDA

Crediti immagine: US actress Marilyn MONROE reading Ulysses by James Joyce, Long Island, New York, USA, 1955 © Eve Arnold/Magnum Photos

EXTRA

Oltre

Fino al 7 gennaio 2024, dalle 14.00 alle 19.00, la Sala d’Arme di Palazzo Vecchio a Firenze ospita Alessio, installazione video nata dalla performance realizzata da Nico Vascellari lo scorso ottobre nel Salone dei Cinquecento. Si tratta di OLTRE, uno degli eventi conclusivi di MELMA, grande progetto commissionato all’artista per la città di Firenze da Museo Novecento a cura di Sergio Risaliti. Alessio, opera nata dall’incontro di Vascellari con un giovane che abita a pochi passi dal suo studio, riflette sui codici della comunicazione non verbale e la capacità di riconoscere l’Altro e, come suggerisce l’artista, è una finestra spalancata su un oltre: se decidiamo di attraversarla potremo abbandonare gli stereotipi della quotidianità e acquisire nuovi strumenti di comunicazione e percezione. L’opera, presentata nell’ambito della manifestazione Green Line, nei prossimi mesi verrà portata al Haus der Kunst a Monaco e al MSU di Zagabria, ed entrerà a far parte delle collezioni civiche fiorentine grazie al sostegno della 12° edizione di Italian Council, progetto della Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura.

 

La città al centro

Domenica 7 gennaio alle ore 16.00 e alle ore 18.00 la Direttrice Arte Paola Nicolin e la Coordinatrice dei Progetti Arte Cinzia Cassinari di XNL Piacenza accompagneranno il pubblico in una visita guidata gratuita alla scoperta degli spazi del palazzo Ex-Enel e delle mostre in corso: quella di Massimo Grimaldi, parte del ciclo Sul Guardare dedicato alla valorizzazione delle collezioni dei musei piacentini attraverso interventi di artisti contemporanei, e Perimetro Piacenza, mostra fotografica che racconta di un lungo lavoro collettivo dedicato alla rappresentazione della città, svolto con le comunità artistiche locali. Due mostre che, con prospettive diverse, approfondiscono il tema della città e il suo patrimonio culturale, e che il museo ha deciso di prorogare fino al 28 gennaio 2024.

L’intreccio tra media, cronologie e temi è lo spunto da cui parte il primo appuntamento con Sul Guardare che coinvolge la collezione della Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi, e ha coinvolto Grimaldi ad aggiungere chiavi di lettura a opere storiche come Donna sudanese (1936) di Nardo Pajella e Ritratto di Emma Grammatica (1911) di Lino Selvatico, rivelandone significati e collegamenti inediti e sorprendenti. Perimetro Piacenza offre invece un ritratto della città realizzato in collaborazione con la rivista Perimetro, la partecipazione di Cesura e del suo co-fondatore Luca Santese, che con workshop e campagne fotografiche ha portato alla luce un paesaggio urbano fatto di volti e luoghi inediti.

Scopri le attività e prenota la tua visita scrivendo a info@xnlpiacenza.it

Crediti: Massimo Grimaldi. Imaginary Friends, 2023. Slideshow su iPad Pro Apple. Courtesy l’artista e ZERO…, Milano

Che mito questo Natale!!!

Tornano alla Galleria Borghese le visite laboratoriali all’insegna del Natale. Fino al 7 gennaio 2024 le famiglie insieme ai loro bambini potranno andare alla scoperta delle storie e dei miti raffigurati nei grandi gruppi statuari della collezione e sui soffitti della Galleria. I bambini verranno invitati a osservare i segreti tecnici delle sculture, e come gli artisti siano riusciti a superare i limiti naturali del marmo, stimolando il loro spirito di osservazione e la curiosità per miti, storie e leggende. La visita inizia e si conclude nel Salone d’ingresso dove i bambini potranno mimare la storia che li ha più colpiti in una sorta di tableaux vivant.

Prenotazione obbligatoria cliccando su ACQUISTA o chiamando il numero +39 06 32810 | Per bambini dai 5 agli 11 anni – durata: 80 minuti – ore 11.00 – Costo: 5 € per bambino e per adulto accompagnatore, oltre il costo del biglietto – fino ad esaurimento posti.

Crediti: © Galleria Borghese

Sei un giornalista, un critico, un curatore?

Vuoi contribuire con un tuo scritto a una delle prossime edizioni di TELESCOPE?

Scrivici su telescope@larafacco.com

Se vuoi ricevere TELESCOPE anche tu, scrivi a telescope@larafacco.com

L’archivio completo di TELESCOPE è disponibile sul sito www.larafacco.com

Please follow and like us: