EDITORIALE
Nell’ultimo libro di Naomi Alderman, Il Futuro, una delle protagoniste, la creator Lai Zhen, considerata la massima esperta mondiale in tecnologie della sopravvivenza, viene salvata dalla sicaria di una setta religiosa che vuole ucciderla da AUGR, un algoritmo altamente flessibile che monitora gli eventi in corso, un software di previsione e protezione con il compito di “farla restare viva”, che le parla direttamente negli auricolari dandole istruzioni su come neutralizzare l’inseguitrice e trovare l’uscita più vicina. Anche se probabilmente ha ragione il filosofo Byung-Chul Han quando afferma che l’Intelligenza Artificiale, per la sua mancanza di pathos, è soltanto in grado di calcolare, fare correlazioni e riconoscere schemi, non di pensare, perché il pensiero è totalmente analogico e nasce dalla pelle d’oca, da uno stato affettivo di commozione per il mondo… tuttavia la sua applicazione come salvavita risulta abbastanza convincente.
La cosa davvero interessante è, in realtà, che il futuro distopico descritto da un romanzo in molte cose somigli già al presente che stiamo vivendo: nel prossimo modello di smartphone di Samsung Galaxy, l’AI sarà integrata al dispositivo consentendo, per esempio, la traduzione delle chiamate in tempo reale. Uno strumento decisamente utile, ma pur sempre solo uno strumento, con cui si può lavorare e sperimentare, cui si può delegare la parte computazionale di una ricerca, ma che difficilmente avrà mai la pelle d’oca. Del resto, come diceva lo scrittore e critico letterario Giorgio Manganelli “la letteratura è bastarda“, capace di caricarsi di senso e simboli che poi trasgredisce, è imprevedibile perché crea mondi che non esistono ancora, è pura complicazione, e dunque farà solo finta di cedere all’Intelligenza Artificiale.
In questa centonovantunesima edizione di TELESCOPE, la nostra newsletter settimanale dedicata alle istituzioni e ai progetti culturali di cui siamo portavoce, tra i RACCONTI ospitiamo tre testi realizzati da Carlo Giulio Piromallo Terenzi, Caterina Giuditta Pavese Tosi e Clemente Giorgio Poia Tersigni, tre identità inventate perché chiamarlo solo ChatGPT ci sembrava un po’ freddo. Lo abbiamo messo alla prova chiedendogli di realizzare tre contributi dedicati a Museo delle Opacità, il nuovo capitolo dedicato al riallestimento in corso delle collezioni e delle narrazioni museali del Museo delle Civiltà di Roma, Il tocco di Pigmalione. Rubens e la scultura a Roma, esposizione in corso alla Galleria Borghese, e infine Metronome, la personale di Sarah Sze negli spazi delle OGR Torino.
Tra i VIDEO trovate una suggestione dedicata alla mostra HOPE in corso da Museion a Bolzano, e un contributo di Andrea Viliani dedicato alla mostra I Have To Think About It. Part II di David Lamelas che ha curato alla Fondazione Antonio Dalle Nogare di Bolzano.
Tra gli EXTRA vi segnaliamo il secondo Episodio del programma legato alla mostra di Augustas Serapinas Baltic Adventure da FOROF a Roma, la collettiva Geometrie a Mano da Circolo a Milano, e la conferenza stampa della edizione 2024 di miart – fiera internazionale d’arte moderna e contemporanea.
Buona domenica e buona lettura!
Lo staff di Lara Facco P&C
#TeamLara
Vi ricordiamo che l’archivio di tutte le edizioni di TELESCOPE è disponibile su www.larafacco.com
TELESCOPE. Racconti da lontano
Ideato e diretto da Lara Facco
Editoriale e testi a cura di Annalisa Inzana
Ricerca ed editing Camilla Capponi, Alberto Fabbiano, Martina Fornasaro, Andrea Gardenghi, Marianita Santarossa, Claudia Santrolli, Denise Solenghi, Alessandro Ulleri, Margherita Villani, Marta Zanichelli, con la collaborazione di Margherita Animelli, Maria Ester Candido, Michela Colombo, Nicolò Fiammetti, Agata Miserere.
domenica 21 gennaio 2024
RACCONTI
Oltre l’opacità: un dialogo tra passato e presente nel cuore del Museo delle Civiltà di Caterina Giuditta Pavese Tosi
La scorsa estate il Museo delle Civiltà ha presentato sotto il titolo suggestivo di Museo delle Opacità, l’ambizioso progetto di riallestimento delle collezioni e delle narrazioni museali in corso. Questo capitolo narrativo prende forma attorno a un nucleo prezioso di opere e documenti, originariamente custodite nell’ex Museo Coloniale di Roma, integrate nel 2017 nelle ricche collezioni del Museo delle Civiltà. L’attuale fase di riorganizzazione, che coinvolge non solo queste testimonianze del passato ma anche opere contemporanee, custodisce in questo titolo un doppio significato profondo: da un lato fa riferimento al velo opaco di amnesia che avvolge l’epoca coloniale della storia nazionale italiana, oscurandone gli eventi, le cifre e i protagonisti, dall’altro l’opacità si fonda sulla visione del poeta e saggista Édouard Glissant, figura fondamentale nel pensiero post e decoloniale. Glissant, che nel 1959 partecipò al secondo Congresso Mondiale degli Scrittori e Artisti Neri a Roma, teorizzò l’opacità come il diritto di ogni individuo di resistere alla sottomissione della propria identità a criteri di “accettazione” o “comprensione”. Un principio che sottolinea l’importanza della “condivisione” come scelta volontaria, generata dal proprio sé interiore, di assumere e condividere la propria identità. Il Museo delle Civiltà ha abbracciato quest’idea di condivisione coinvolgendo molteplici attori e avviando un processo di ricerca plurale e partecipato: ricercatori, artisti, curatori, cittadini, gruppi collettivi e comunità locali e internazionali. Insieme, stanno riflettendo su come reinterpretare e riallestire una selezione di opere e documenti dell’ex Museo Coloniale – 12.000 oggetti circa, inizialmente musealizzati per sostenere le narrazioni della politica – che costituiscono una testimonianza tangibile della storia coloniale italiana in Africa (1882-1960).
Il Museo delle Opacità prende forma nel dialogo tra le opere del passato e quelle contemporanee, le fotografie degli allestimenti storici diventano “testimonianza antropologica” consentendo di rivelare i rapporti intricati tra oggetti e i dispositivi espositivi che ne hanno guidato l’interpretazione, ma questo dialogo va oltre il mero atto di rievocare il passato. Le opere contemporanee stimolano nuove modalità di documentazione, ricerca e condivisione, aprendo la strada a una rinegoziazione delle storie raccontate.
L’obiettivo è dare voce a soggettività che in passato furono escluse dalla narrazione museale o ridotte a altro. In questo modo, l’opacità diventa un criterio non solo per riscrivere la storia dell’ex Museo Coloniale, ma anche per generare nuove narrazioni che possano contribuire a creare spazi di condivisione e dialogo. Un’evoluzione che supera la prospettiva del museo tradizionale per abbracciare l’idea di piattaforme in continua evoluzione, spazi di compartecipazione, incontro e confronto proiettati verso il futuro.
Crediti: Museo delle Opacità Installation view at Museo delle Civiltà di Roma Foto © Giorgio Benni
Rubens a Roma: il tocco di Pigmalione nell’Arte Barocca, di Clemente Giorgio Poia Tersigni
Nel contesto unico della Galleria Borghese, la mostra Il tocco di Pigmalione. Rubens e la scultura a Roma, a cura di Francesca Cappelletti e Lucia Simonato, compone il secondo capitolo del maestoso progetto RUBENS! La nascita di una pittura europea, realizzato in collaborazione con la Fondazione Palazzo Te e Palazzo Ducale di Mantova, che esplora con saggezza i legami tra la cultura italiana e l’Europa attraverso gli occhi dell’illustre maestro barocco, Peter Paul Rubens.
Le oltre 50 opere, provenienti da rinomati musei mondiali, tra cui Louvre, Met, e Prado, sono distribuite in 8 sezioni che si immergono nella complessa produzione artistica di Rubens. Il tocco di Pigmalione si propone di evidenziare l’eccezionale contributo di Rubens al Barocco, ridefinendo concetti quali l’antico, la natura e l’imitazione. L’esposizione offre uno sguardo penetrante sulla novità travolgente del suo stile e sulla rivoluzionaria interpretazione dei modelli, aprendo le porte a un nuovo universo visivo.
Francesca Cappelletti, Direttrice della Galleria Borghese, sottolinea il ruolo centrale di Roma come città cosmopolita nei primi del Seicento, che influenza Rubens e alimenta la sua ispirazione all’antico. La mostra, con maestria, va oltre la semplice esposizione delle opere italiane influenzate da Rubens, esplorando anche la sua abilità nel reinterpretare il Rinascimento e confrontarsi con i contemporanei.
Rubens, collocandosi tra i massimi conoscitori delle antichità romane, rivolge la sua attenzione all’eredità della République de Lettres. La sua abilità nel vivificare le opere attraverso il disegno si manifesta in un processo di animazione dell’antico, anticipando il fervore barocco. Il disegno esemplare dello Spinario, reinterpretato da diverse prospettive, sembra quasi provenire da un modello vivente piuttosto che da una scultura, evidenziando la maestria di Rubens nel dare vita all’antico.
La mostra Il tocco di Pigmalione getta una luce intensa sulla complessa intersezione tra Rubens e il vibrante panorama artistico romano degli anni Venti del Seicento, influenzando pittori e scultori come Van Dyck, Georg Petel, Duquesnoy e Sandrart. In particolare, la sfida tra pittura e scultura trova in Rubens un formidabile avversario per artisti come Bernini, mentre l’animazione dell’antico anticipa le strategie visive del barocco.
Lucia Simonato, curatrice della mostra con la Cappelletti, delinea il contesto in cui le opere giovanili di Bernini si intrecciano con il naturalismo rubensiano. Attraverso una rapida circolazione di stampe, tratte dalle prove grafiche di Rubens, si sviluppa un dialogo accelerato negli anni Trenta del Seicento, culminando in progetti editoriali come la Galleria Giustiniana. Qui, le statue antiche prendono vita, evidenziando un effetto già definito “Pigmalione” dalla critica dell’epoca.
Crediti: Il Tocco di Pigmalione. Rubens e la scultura a Roma. Installation view Galleria Borghese. Ph A. Novelli © Galleria Borghese
Caleidoscopio Temporale: METRONOME di Sarah Sze alle OGR Torino, di Carlo Giulio Piromallo Terenzi
Tra le imponenti architetture di OGR Torino, l’arte di Sarah Sze danza nel tempo, incarnandosi nell’esplosione visiva di METRONOME a cura di Samuele Piazza, grazie alla quale il Binario 1 diventa palcoscenico di un affascinante dialogo tra passato e presente. Quest’opera, esposta fino all’11 febbraio 2024, si presenta come un’ode all’era contemporanea, un’esplosione di immagini che risuonano come un metronomo, scandendo il nostro tempo. L’opera, esposta pe la pima volta nella stazione londinese di Peckham Rye, ha trovato nelle OGR un palcoscenico ideale, un ponte tra l’architettura industriale dell’Ottocento e l’innovazione tecnologica del XXI secolo, spazio che si fonde con l’installazione, creando un continuum temporale. Il cuore pulsante di Metronome è infatti la sua riflessione sul tempo: Sze, ispirata dalle teorie di Carlo Rovelli ne L’ordine del tempo, esplora il concetto non come entità lineare ma come esperienza mutevole e imprevedibile.
L’opera è un’immersione in un universo visivo complesso, dove centinaia di elementi sospesi riportano a una fantasmagoria di immagini in movimento; la griglia metallica che li contiene diventa una sorta di partitura visiva che ha il suono del metronomo come guida. Il visitatore è coinvolto in una narrazione filmica “esplosa”, in cui le proiezioni si estendono, abbracciano muri e trasformando lo spazio in una grande opera ambientale.
METRONOME invoca la riflessione sulla coesistenza di ritmi e cicli di vita differenti, e iI metronomo, con il suo ticchettio costante, crea un’armonia dove passato e presente convergono. Sze sfida la staticità della scultura, offrendo una visione che si distacca dalle tradizionali categorizzazioni dei media e, attraverso il titolo, ci offre una chiave di lettura, un richiamo alla percezione mutevole e soggettiva del tempo.
In questo contesto di accelerazione tecnologica, l’artista plasma il flusso incessante di dati della vita contemporanea e, in un’era di smartphone e metaversi, attraverso una profusione di immagini e oggetti, rielabora le narrazioni visive quotidiane, sfidando il nostro modo di percepire il tempo e lo spazio.
Le OGR Torino diventano così il palcoscenico di un’opera che va oltre le convenzioni temporali, esplorando un vissuto personale e un’esperienza spazio-temporale influenzati dalla fisica quantistica. METRONOME si presenta come un viaggio sensoriale, una sinfonia visiva che invita a riflettere sulla fugacità del tempo e sulla sua natura imprevedibile, con il metronomo a scandire il ritmo incessante della vita moderna.
Crediti: METRONOME. Sarah Sze. Installation view at OGR Torino, 2023. Ph. Andrea Rossetti for OGR Torino. Courtesy OGR Torino
VIDEO
Un ufo è atterrato a Bolzano
Quindici anni fa, quando venne inaugurata la sua nuova sede museale a Bolzano, Museion fu descritto come un’architettura extraterrestre, una sorta di UFO atterrato al centro della città e affacciato sul fiume. Fino al 25 febbraio la mostra HOPE, a cura di Bart van der Heide e Leonie Radine, e con la co-curatela di DeForrest Brown, Jr., sottolinea ulteriormente l’immagine simbolica del museo come astronave, capsula del tempo, portale verso un’altra dimensione. Con questo progetto espositivo, terzo capitolo di TECHNO HUMANITIES, Museion si trasforma in produttore di meraviglia, dove scienza e finzione si fondono per raccontare la speranza come pratica critica attiva. In questo video un piccolo assaggio della mostra che comprende, tra le altre, opere di Trisha Baga, Neïl Beloufa, Irene Fenara, Petrit Halilaj, Beatrice Marchi e opere dalla Collezione Museion di Allora & Calzadilla, Tacita Dean, Riccardo Previdi e molti altri.
Crediti immagine: Ilaria Vinci, A Great Cosmic Joke with no Punchline (Museion), 2023, exhibition view HOPE. Photo: Luca Guadagnini
Un invito a pensarci su
In questo video Andrea Viliani, curatore insieme a Eva Brioschi della mostra I Have To Think About It di David Lamelas in corso fino al 24 febbraio alla Fondazione Antonio Dalle Nogare di Bolzano, ci dà alcune indicazioni relative al lavoro dell’artista, rappresentante straordinario di quella che dagli anni Settanta viene definita internazionalmente come arte concettuale. Per Lamelas, come racconta Viliani, “ciò che è concettuale è sempre molto reale”, perché quasi tutta la sua arte si gioca sul confine tra lo spazio e il tempo della sua ricerca, e quelli reali della vita che tutti noi abitiamo. Questa soglia è la materia da cui nascono quasi tutte le opere esposte, che rifiutano lo spazio tradizionale e circoscritto della cornice, e invadono quello occupato anche dagli spettatori, portandoli a interrogarsi su cosa sia l’opera e chi sia davvero l’artista: è Lamelas? Siamo noi? Il titolo della mostra è proprio un invito a farci delle domande sulla nostra esperienza del mondo, del tempo e dello spazio.
Crediti video: The curator Andrea Viliani talks about the exhibition David Lamelas. I Have to Think About It. Part II. Video: Armin Ferrari, Riff Video. Courtesy Fondazione Antonio Dalle Nogare
Crediti immagine: David Lamelas, I Have to Think About It – Part II. Installation view at Fondazione Antonio Dalle Nogare, 2023. Ph. Jürgen Eheim. Courtesy Fonazione Antonio Dalle Nogare
EXTRA
Un canto antico
Avete mai ascoltato i Sutartinė? Sono antichi canti tradizionali lituani che dal 2010 sono iscritti nella lista del patrimonio culturale immateriale dell’UNESCO. Giovedì 25 gennaio dalle 19.00 alle 21.00, lo spazio culturale romano FOROF ospiterà il Vilnius University Folk Ensemble “Ratilio”, che per la prima volta si esibisce a Roma in un concerto dedicato a queste affascinanti musiche tradizionali. L’evento, sostenuto dall’Ambasciata lituana e dall’Istituto di Cultura lituano a Roma, è il secondo Episodio del programma della Terza Stagione BALTIC ADVENTURE dell’artista lituano Augustas Serapinas a cura di Ilaria Gianni. La mostra offre un’acuta e poetica riflessione sugli effetti provocati dall’instabilità climatica. Con questo Episodio, Serapinas condivide un’altra testimonianza del patrimonio culturale baltico connessa alla storia raccontata dalle sue installazioni nell’area archeologica di FOROF. Un’occasione unica per conoscere la poesia e il fascino antico della cultura lituana! Acquista il tuo biglietto!
Geometrie a mano
Da lunedì 25 gennaio nelle stanze di Circolo – spazio milanese immaginato da Nicole Saikalis Bay e Matteo Bay che vuole farsi portavoce di attori e temi dell’espressione contemporanea – apre la mostra Geometrie a Mano che vede protagoniste le opere degli artisti statunitensi Joanne Greenbaum, Richard Hawkins, Jim Isermann e Pae White. La mostra, realizzata in collaborazione con le gallerie londinesi greengrassi e Corvi-Mora, offre una panoramica sulla pittura astratta contemporanea e sul lavoro di artisti che negli anni hanno sviluppato poetiche diverse comunque tese all’astrazione: se i dipinti di Greenbaum e Hawkins si concentrano su geometrie dipinte a mano, quelle di Jim Isermann utilizzano tecniche dell’artigianato tradizionale americano del tufting e quilting, mentre Pae White realizza opere con materiali di varia origine, come carta e filo da cucito.
Circolo, che è una delle espressioni della Saikalis Bay Foundation, con questo progetto conferma la sua mission di incubatore di scambio intellettuale, piattaforma per lo sviluppo di pensiero critico, vetrina per l’espressione artistica contemporanea.
Senza tempo e senza spazio
Dal 12 al 14 aprile a Milano torna miart – fiera internazionale d’arte moderna e contemporanea organizzata da Fiera Milano, e lo fa prendendo in prestito le parole di un celebre brano di Franco Battiato, maestro di febbrile immaginazione e curiosità infinita: no time no space sarà infatti il titolo della ventottesima edizione della fiera, a sottolineare l’intenzione di estendere i propri confini non solo a livello temporale ma anche geografico, aumentando le incursioni in città attraverso inedite collaborazioni con le principali istituzioni cittadine.
Martedì 23 gennaio alle 11.00 a Palazzo Marino l’Assessore alla Cultura del Comune di Milano Tommaso Sacchi, il Vicedirettore Generale di Fiera Milano Roberto Foresti e Nicola Ricciardi per il quarto anno Direttore Artistico di miart, presentano la fiera e tutte le sue novità. Partecipa alla conferenza.
Crediti immagine: miart 2024, no time no space. Direzione Creativa: @cabinet_milano | Fotografia: @charlieengman | Team Cabinet: Fabio Maragno, Nicola Narbone, Rossana Passalacqua, Benedetta Stefani, Francesco Valtolina | Musica: Luca Venturini @waltermagi