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TELESCOPE | racconti da lontano #194

EDITORIALE

Vi basterà osservarle una sola volta per restare ipnotizzati dal loro incedere apparentemente incerto, dalle forme armoniose fatte di vele, lacci e centinaia di metri dello stesso tubo in pvc che, dal 1947, viene utilizzato per condurre i cavi elettrici nelle case olandesi.

Grandi insetti preistorici dalle architetture impossibili, che Leonardo da Vinci avrebbe adorato, traballanti personaggi dalla meccanica precaria che sembrano uscire da un film di Hayao Miyazaki, le Strandbeesten (animali da spiaggia) di Theo Jansen (Scheveningen, 1948) si muovono soltanto grazie alla forza del vento, dell’acqua, della pressione: nessun motore, solo ingegneria, invenzione meccanica e senso del fantastico. Jansen, che ha studiato fisica senza mai laurearsi, comincia a lavorare alle sue creature negli anni Novanta, quando realizza Animaris Vulgaris (1990), un “animale” con 28 zampe mosse da manovelle collegate a una colonna vertebrale rotante, che purtroppo non riuscì mai a reggersi in piedi a causa di articolazioni e connessioni troppo deboli per sostenere il corpo. Dopo di lui però ne sono venuti molti altri, che negli anni hanno delineato un vero e proprio processo evolutivo di una biologia inventata. Oggi, dopo tre decadi e il susseguirsi di famiglie di creature dai nomi evocativi, come i Calidum, i Cerebrum, gli Aspersorium, gli Aurum e i Bruchum, Jansen si dedica alla famiglia dei Volantum di cui fa parte anche Animaris Rex (2023) che la scorsa estate avreste potuto incontrare sulle piatte spiagge di Scheveningen (L’Aia), il loro habitat naturale. Quando gli viene chiesto se si senta un artista, un fisico o un ingegnere, Jansen risponde che quando lavora sulla spiaggia, tra vento, sabbia e pioggia, si sente come un eschimese indaffarato, e che le etichette sono una necessità sociale assolutamente irrilevante. Del resto secondo lui le sue opere si sono create da sole: “I tubi sembrano sempre avere un’idea diversa dalla mia, devo fare quello che vogliono loro. Non so mai dove sto andando, ma alla fine viene fuori che le idee dei tubi sono migliori delle mie”. Un bravo demiurgo, del resto, lascia libere le sue creature.

In questa centonovantquattresima edizione di TELESCOPE, la nostra newsletter settimanale dedicata alle istituzioni e ai progetti culturali di cui siamo portavoce, tra i RACCONTI trovate quello di Guido Furbesco, giornalista de La Stampa e The Good Life, dedicato alla mostra Split Face di Nathaniel Mary Quinn al Museo Novecento e al Museo Stefano Bardini di Firenze; un estratto dal testo di DeForrest Brown Jr. nell’antologia HOPE pubblicata in occasione dell’omonima mostra a Museion, e un estratto dal testo critico di Francesca Cappelletti, direttrice di Galleria Borghese, per la mostra Il tocco di Pigmalione. Rubens e la scultura a Roma.

Tra i VIDEO proponiamo una presentazione di Samuele Piazza, senior curator di OGR Torino, dell’opera Metronome di Sarah Sze, nell’ultimo giorno di apertura della mostra, e un racconto del backstage di Geometrie a mano mostra in corso da CIRCOLO a Milano.

Gli EXTRA comprendono infine le nuove mostre di CAMERA Centro italiano per la Fotografia di Torino, l’esposizione BARRICADES di Mario Trimarchi alla Galleria Antonia Jannone Disegni di Architettura, e la prima puntata della nuova stagione di The Square su Sky Arte.

Anche questa settimana l’edizione comprende un BONUS TRACK dedicato questa volta all’archivio di Festivaletteratura da cui vi offriamo la registrazione dell’incontro tra Carlo Lucarelli e il talento emergente del noir indiano Deepti Kapoor.

Buona domenica e buona lettura!

Lo staff di Lara Facco P&C

#TeamLara

Vi ricordiamo che l’archivio di tutte le edizioni di TELESCOPE è disponibile su www.larafacco.com

TELESCOPE. Racconti da lontano

Ideato e diretto da Lara Facco

Editoriale e testi a cura di Annalisa Inzana

Ricerca ed editing Camilla Capponi, Alberto Fabbiano, Martina Fornasaro, Andrea Gardenghi, Marianita Santarossa, Claudia Santrolli, Denise Solenghi, Alessandro Ulleri, Margherita Villani, Marta Zanichelli, con la collaborazione di Margherita Animelli, Michela Colombo, Nicolò Fiammetti, Clara Fornaciari, Agata Miserere.

domenica 11 febbraio 2024

RACCONTI

Un figlio dei tempi libero e critico, di Guido Fubesco

Sì, la biografia non spiega tutto, ma in genere ci dice molto, e quindi anche nel caso di Nathaniel Mary Quinn è utile partire da qui, da quanto gli è capitato di vivere, non fosse altro che per comprendere il perché di quel nome. Quinn nasce nel 1977 in un quartiere complicato di South Side Chicago, che già di suo è l’area più difficile della metropoli del Michigan; però può contare su una madre che lo segue e incoraggia, infondendogli la forza che gli permetterà di vincere – a 15 anni – una preziosa borsa di studio; solo che, subito dopo, la mamma muore, e nello sconvolgimento che ne segue il padre e i fratelli lo abbandonano dall’oggi al domani, senza lasciare traccia; ma lui non demorde, e nella più totale solitudine familiare termina gli studi, laureandosi con successo, diventando in seguito professore, artista e autore di questi strani ritratti esposti fino all’11 marzo a Firenze, in una mostra intitolata Split Face, nella duplice sede del Museo Stefano Bardini e del Museo Novecento.

Nel mentre di questo percorso di affermazione personale, Nathaniel decide di farsi chiamare Mary, aggiungendo al proprio nome di battesimo quello della madre, a testimonianza imperitura del suo amore e del suo sacrificio. Strani ritratti, si diceva, perché Nathaniel Mary Quinn fa solo quelli, presentandoci volti che sembrano venire fuori dalle spire di un caterpillar: tumefatti, grotteschi, irriconoscibili. Nathaniel Mary (un “cubista espressionista”, dice di sé) è uno che ne sa, e nelle sue opere si avverte quella brezza dal sapore di avanguardia che soffia su Picasso e Francis Bacon, per dire; ma è anche – ovviamente – figlio dei suoi tempi, e per di più “figlio” libero e critico; e così, alle fonti nobili e storicizzate, ecco affiancarsi, nei suoi lavori, un altro tipo di influenze, che l’artista attinge da quel deposito visivo – alimentato dai più svariati mass media – che connota il nostro immaginario contemporaneo. In sintesi: universo biografico e memoria collettiva. Bene: come si traduce tutto questo su tela? In maniera ineccepibile, in Drawing in the Present Tense (Thames & Hudson 2023) Claire Gilman e Roger Malbert riassumono la questione così: «I portraits di Quinn scaturiscono da una visione, da un ricordo distinto di qualcuno che lui conosce o che ha visto da qualche parte. Compone i suoi lavori utilizzando frammenti fotografici, dividendo l’immagine in sezioni per lavorare su ciascuna di esse a turno mentre maschera le altre con la carta. Dunque, procede in modo che il risultato finale non emerga fino alla fine, in una variante personale della tecnica dei cadavre exquis. Non sono veri collage; il tutto è disegnato o dipinto a guazzo, con bastoncini a olio, carboncini e pastelli. L’inquietudine che trasmettono è emanazione dell’alto grado di empatia di cui l’artista è capace e della comprensione psicologica dei soggetti raffigurati, senza tralasciare una giusta dose di umorismo».

Allestita con questo peculiare “taglia e cuci”, la commedia umana di Quinn è una teoria di elephant men (ricordate il film di David Lynch?) che sfidano l’ordine, il formalismo, i canoni dominanti. E che – a guardarli bene – non sono poi tanto diversi da noi.

Crediti: Nathaniel Mary Queen. Split face, 2023. Installation view Museo Stefano Bardini, Firenze. Courtesy l’artista, Gagosian e Museo Novecento.

Rubens a Roma. Una mostra oltre il paragone, di Francesca Cappelletti*

Il 9 maggio del 1600 Peter Paul Rubens lascia Anversa e si incammina verso Sud, prendendo la via dell’Italia. Entrato al servizio di Vincenzo Gonzaga, da Mantova visita Roma e Genova, toccando molte altre città nel suo percorso e spingendosi anche alla corte spagnola nel 1603. Tornerà in patria nel 1608, dopo aver lasciato segni straordinari della sua presenza nella storia del ritratto a Genova, nella nuova interpretazione della scultura antica a Roma e dopo aver riletto con una libertà inventiva senza precedenti la pittura del Cinquecento.

In Italia ottenne commissioni per importanti opere religiose non solo da parte dei Gonzaga, ma di alcuni ordini religiosi in grande espansione in quel momento: i Gesuiti a Genova e gli Oratoriani a Fermo e a Roma. Un altro dei suoi incarichi pubblici, le Storie di Sant’Elena nella basilica romana di Santa Croce in Gerusalemme, non è più in loco, ma alla Chiesa Nuova di Roma si può ancora osservare l’insieme della decorazione per l’altare. A questa Rubens attese dal 1606 al 1608, con cambi di iconografia, di materiali e una impegnativa presentazione di disegni, bozzetti, versioni e l’affermazione di un’idea geniale per coprire l’immagine antica e venerata della Madonna con il Bambino, sovrapponendovi una copia molto libera dell’oggetto di culto, da lui eseguita riportando in scala monumentale e in luogo sacro l’uso di proteggere con un ‘coperchio’ dipinto i quadri nelle collezioni. Se l’iniziale progetto prevedeva un’unica pala d’altare, la successiva articolazione in più elementi fa sì che lo spettatore si senta circondato dalle opere e che possa ammirare l’immagine sacra prima celata dal suo ‘doppio’ e poi rivelata, grazie a una serie di dispositivi che potrebbero essere definiti ‘barocchi’.

Si tende a pensare che, fra i suoi maestri, sia stato Otto van Veen, pittore umanista, a suscitare il desiderio di recarsi in Italia, ‘per vedere e per imparare’ come si faceva già da tutto il Cinquecento. Solo un decennio prima del suo arrivo si era svolto il soggiorno di Hendrick Goltzius, l’artista che, nel disegno, aveva in maniera sistematica studiato le più importanti statue antiche la cui iconografia si era già diffusa nel Nord. In realtà, un altro dei maestri di Rubens, Tobias Verhaecht, era stato a Roma, aveva frequentato la bottega di Paul Bril e aveva disegnato ruderi antichi immersi nel paesaggio. La Roma descritta nelle sue statue canoniche e la Roma tipica dei fiamminghi specialisti dei generi si incontrano e si frantumano nell’esperienza di Rubens: la città diventa un orizzonte nuovo e ampio, che dal punto di vista umano e artistico cambia la vita del pittore nei suoi vent’anni, in una ricerca incessante di modelli da studiare e ‘alterare’.

*estratto dal testo nel catalogo della mostra Il tocco di Pigmalione. Rubens e la scultura a Roma a cura di Francesca Cappelletti e Lucia Simionato in corso alla Galleria Borghese di Roma fino al 18 febbraio 2024. La mostra è la seconda tappa di RUBENS! La nascita di una pittura europea, un grande progetto realizzato in collaborazione con Fondazione Palazzo Te e Palazzo Ducale di Mantova.

Crediti: Il Tocco di Pigmalione. Rubens e la scultura a Roma. Installation view Galleria Borghese. Ph A. Novelli © Galleria Borghese

SPERANZA ARTIFICIALE, di DeForrest Brown Jr. *

Come si manifesta la speranza quando Il Futuro è cancellato?” Questo è stato lo spunto condiviso da Bart van de Heide, direttore del Museion di Bolzano, quando era alla ricerca di una nuova metodologia per il museo; si chiedeva se le sue pareti e la collezione di manufatti potessero, prese nell’insieme, offrire una nuova prospettiva del futuro. Nel 1919, mentre erano ormai al tramonto i miti-rituali afroindigeni del “Jes Grew” [1] e della ghost dance [2], l’Alto Adige visse un mutamento dei confini nazionali, mentre l’ascesa del regime fascista spianava la strada all’industrializzazione e all’italianizzazione di Bolzano. Proprio come a Detroit, dove ebbe origine la techno, a Bolzano l’economia crebbe esponenzialmente con la combinazione di capitale e industria. La città forniva alluminio di prima qualità e fu sede di un campo di concentramento nazista fino alla fine della Seconda guerra mondiale, per poi sprofondare in un brusco declino tra il 1970 e il 1990. Mentre la crisi economica globale del 2007 demolì quasi totalmente Detroit e la sua industria automobilistica, Bolzano scelse di guardare avanti con il progetto NOI (Nature of Innovation) Techpark, un incubatore per il libero scambio di invenzioni e idee. Nel 2008 Manifesta, la biennale europea itinerante di arte contemporanea nata nel 1994, scelse come sede Bolzano con l’obiettivo di esplorare “l’archeologia industriale” della città e il rapporto delle sue infrastrutture con il sistema ferroviario del Brennero che collega il Sud e il Nord dell’Europa. È in questo clima di innovazione nel mezzo di una crisi globale che è sorto il nuovo Museion, un’istituzione votata al cambiamento consapevole nella comunità. Con il progetto TECHNO HUMANITIES, Museion mira a scoprire nuovi modi per attivare i suoi spazi trasformandoli in laboratorio di cambiamento.

Il lockdown e le difficoltà economiche dovute alla pandemia da covid-19 nel 2020 hanno costretto una città come Bolzano a rileggere la propria posizione sulla scena globale scoprendosi relitto di un’antica epoca eurocentrica, ma anche del collasso postmoderno dell’umanità nel suo complesso. Come è possibile ripensare l’innovazione per il bene di ogni essere umano e per la Terra stessa in Occidente, dopo più di cinquecento anni di dominazione del mondo e di colonialismo?

Kingdom of the Ill, il secondo capitolo del ciclo TECHNO HUMANITIES, si ispira al libro di Susan Sontag Malattia come metafora (1978, ed. it. 1979) ed esplora l’indebolimento della salute dell’umanità in un’epoca di malattie di massa. La terza tappa di TECHNO HUMANITIES, HOPE, cerca soluzioni dove non ne esistono.

[1] In Mumbo Jumbo (1972), romanzo di Ishmael Reed, “‘un’epidemia’ chiamata Jes Grew si è diffusa da New Orleans e costringe metà del paese a ballare freneticamente, impazzita per il jazz, e ad apprezzare come non mai la cultura afroamericana […] Alcuni ordini religiosi, tra cui i Cavalieri Templari e il tecnologico Ordine di Wallflower (a cui si imputano, nel romanzo, la grande depressione e l’invasione statunitense di Haiti), cercano di distruggere un testo dell’Antico Egitto di cui il Jes Grew vuole impossessarsi. Ma in realtà il Jes Grew è un’antiepidemia, è lo spirito stesso dell’innovazione e della libertà di espressione: ‘Jazz. Blues. La roba nuova … Il tuo stile’. Reed prese un frammento della prefazione al Book of American Negro Poetry, scritta da James Weldon Johnson nel 1922, in cui si legge: ‘I primi brani ragtime, come Topsy, jes’ grew [i.e. just grew, spuntavano e basta]’ e trasformò la battuta in un’espediente letterario efficace per portare alla luce i pregiudizi della gente”. Jonathan Mc Aloon, Mumbo Jumbo: A Dazzling Classic Finally Gets the Recognition it Deserves, in The Guardian, 1o agosto 2017, https://www.theguardian.com/books/booksblog/2017/aug/01/mumbo-jumbo-a-penguin-classic-2017-ishmael-reed.

[2] “In Nevada, un migliaio di indiani Shoshoni ballarono per una notte intera e, quando a oriente il cielo cominciò a schiarire, si sentì gridare che gli spiriti dei defunti sarebbero apparsi a chi aveva fede. Migliaia di voci si alzarono all’unisono: ‘Cristo è tra noi!’ e caddero a terra, o forse in ginocchio, gemendo e cantando, sfiniti dalla stanchezza. Anche se molti avevano dichiarato infondate le voci di primavera che parlavano di un messia apparso in mezzo alle montagne del Montana occidentale, con il tempo quelle voci parve-ro consolidarsi. Dal Southwest alle Wind River Mountain del Wyoming e oltre, fino alle pianure del South Dakota, gli indiani dicevano che c’era un redentore al Nord.” Louis S. Warren, The Lakota Ghost Dance and the Massacre at Wounded Knee, in American Experience, PBS, 16 aprile 2021, https://www.pbs.org/wgbh/americanexperience/features/american-oz-lakota-ghost-dance-massacre-wounded-knee

*estratto dal testo nell’antologia di testi critici su speranza e futuri in tempi post-pandemici HOPE pubblicata in occasione della mostra omonima a cura di Bart van der Heide e Leonie Radine con la collaborazione di DeForrest Brown, Jr in corso a Museion a Bolzano fino al 25 febbraio.

Crediti: AbuQadim Haqq, exhibition view HOPE. Museion 2023. Photo: Luca Guadagnini.

VIDEO

Chiude oggi

Oggi, domenica 11 febbraio, è l’ultimo giorno per visitare la mostra Metronome di Sarah Sze alle OGR Torino. In questo video il curatore della mostra Samuele Piazza, senior curator delle OGR Torino, ci racconta l’opera descrivendola come scultura ma anche come montaggio filmico in diretta, svelando la sfida dell’allestimento. Metronome è un fragile cosmo, un’intricata griglia metallica che sospende in aria fogli di carta dove scorrono immagini proiettate. Una scultura dà origine alle immagini come le immagini danno forma alla scultura, in un continuum in cui l’opera è contemporaneamente anche dispositivo. In occasione dell’ultima giornata di apertura, oggi alle 18.00 le OGR Torino propongono al pubblico una visita guidata gratuita a cura di Arteco. Prenota la tua visita!

GUARDA

Crediti immagine: METRONOME. Sarah Sze. Installation view at OGR Torino, 2023. Ph. Andrea Rossetti for OGR Torino. Courtesy OGR Torino Crediti video: METRONOME. Sarah Sze. Produzione e courtesy OGR Torino

Geometrie a mano

In via della Spiga 48 a Milano, fino al 22 marzo gli spazi di CIRCOLO ospitano Geometrie a mano, una mostra collettiva presentata da Cornelia Grassi e Tommaso Corvi-Mora, che propone una selezione di opere degli anni Novanta e Duemila di Joanne Greenbaum, Richard Hawkins, Jim Isermann e Pae White.

CIRCOLO è uno spazio che vuole farsi portavoce della contemporaneità, dei suoi attori e dei suoi messaggi, e questa mostra fa parte di una programmazione di respiro internazionale fondata sulla collaborazione, che ha l’obiettivo di creare occasioni di scambio e riflessione. In questo video il racconto del backstage della mostra offre una panoramica non solo sullo spazio ma anche sulla varietà delle ricerche esposte.

GUARDA

Crediti immagine: Geometrie a mano, CIRCOLO in collaborazione con greengrassi e Corvi-Mora, Londra. Installation view, Milano, 2024, ph.Andrea Rossetti.

Crediti video: CIRCOLO, Milano.

EXTRA

Tre mostre per San Valentino

Dal 14 febbraio 2024, CAMERA Centro italiano per la Fotografia di Torino, apre la stagione 2024 con tre esposizioni dedicate a grandi Maestri della fotografia internazionale: Robert Capa e Gerda Taro: la fotografia, l’amore, la guerra, Ugo Mulas / I graffiti di Saul Steinberg a Milano, e Michele Pellegrino. Fotografie 1967-2023. Dalla tragica guerra civile spagnola scenario del rapporto professionale e sentimentale fra Robert Capa e Gerda Taro, al racconto fotografico della Milano del boom economico nelle creazioni del grande illustratore e disegnatore Saul Steinberg ritratte da Ugo Mulas, fino al Piemonte rurale raccontato dalle immagini di Michele Pellegrino, queste mostre offrono al pubblico dei classici assoluti della storia della fotografia italiana e internazionale. Da non perdere!

Crediti immagine: Fred Stein, Gerda Taro and Robert Capa, Cafe de Dome, Paris 1936 © Estate Fred Stein; Courtesy International Center of Photography.

Barricate in galleria

Dal 14 febbraio la Galleria Antonia Jannone Disegni di Architettura ospita la mostra Barricades, in cui Mario Trimarchi, designer e architetto premio Compasso d’Oro, racconta la sua più recente ricerca estetica. Le Barricades sono miniature di architetture quasi invisibili, testimonianze di equilibri instabili, composizioni tridimensionali fatte di ottone, legni millenari, marmi pregiati, vetri leggerissimi in bilico. Piccole sculture, a metà tra la casualità degli assemblage e le certezze della scienza delle costruzioni, rappresentano avamposti onirici per ricordarci che gli oggetti che amiamo ci ancorano all’esistenza più di ogni altra cosa. Accanto a questi, una serie di disegni in bianco e nero estremamente raffinati ci ricordano che le cose esistono solo quando vengono disegnate con insistenza; per la prima volta i disegni sono presentati anche come stampe da indossare in esemplari unici di camicie oversize.

Crediti immagine: Mario Trimarchi Barricades. Per toccare le nuvole – ph Santi Caleca

The Square. All You Can Art

Giovedì 15 febbraio 2024 alle ore 20.40 su Sky Arte si apre la quarta stagione di The Square, la trasmissione realizzata da TIWI e condotta da Nicolas Ballario, nata per raccontare la cultura contemporanea in tutte le sue forme. Per questa nuova edizione lo show si trasforma in All You Can Art, magazine di approfondimento che, grazie alla collaborazione con il MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo, entra direttamente nelle vite e negli studi degli artisti contemporanei. Nella prima puntata saranno protagonisti la Collezione Peggy Guggenheim di Venezia con la mostra Marcel Duchamp. La seduzione della copia, il Mart di Rovereto con le esposizioni L’uomo senza qualità. Gian Enzo Sperone collezionista e Dürer. Mater et Melancholia e HOPE al Museion di Bolzano. Il primo artista ad aprire la porta del suo studio sarà invece Luigi Serafini. Tra gli appuntamenti dell’agenda finale ci sarà anche Because, il progetto di Maurizio Cattelan per Artefiera. The Square andrà in onda ogni due settimane su Sky Arte, on demand e in streaming su NOW.

Buona visione!

BONUS TRACK

Festivaletteratura

In attesa della ventottesima edizione del Festival letterario più longevo d’Italia, Festivaletteratura di Mantova offre al suo pubblico un ricchissimo archivio audio e video degli appuntamenti che hanno reso speciale l’edizione dello scorso settembre 2023. Un patrimonio inestimabile di voci, 221 registrazioni integrali degli incontri svolti tra i palazzi e le piazze di Mantova dedicati a passioni librarie, dialoghi sull’attualità, urgenti interrogativi e indimenticabili lezioni sui più disparati argomenti dello scibile umano. Dal toccante omaggio di Marcello Fois e Alessandro Giammei all’opera letteraria e civile di Michela Murgia (1972-2023) in seguito alla sua scomparsa, al premio Nobel per la letteratura Olga Tokarczuk in dialogo con Wlodek Goldkorn, dall’incontro del giallista Anthony Horowitz con Marco Malvaldi, a due maestri del reportage narrativo come Cynthia Rimsky e Witold Szabłowski intervistati da Christian Elia, moltissime sono le voci raccolte dal Festival. Questa volta vi segnaliamo I padrini di Delhi la registrazione dell’incontro tra Carlo Lucarelli e l’esordiente noirista indiana Deepti Kapoor.

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