Illustrato nella commissione presieduta da Marco Niccolai (Pd) dal direttore Nicola Sciclone e da Sabrina Iommi. Le significative diversità tra le aree del Nord, più prossime alle zone maggiormente urbanizzate, quelle del Sud della Toscana, scarsamente popolate, e le cosiddette aree intermedie. Il dibattito in commissione
Firenze – ‘Le aree interne in Toscana: caratteristiche attuali e opportunità di sviluppo’: la commissione istituzionale per il sostegno, la valorizzazione e la promozione delle Aree interne della Toscana, presieduta da Marco Niccolai (Pd), ha tenuto nei giorni scorsi l’audizione del direttore di Irpet, Nicola Sciclone, per l’illustrazione del rapporto commissionato all’Istituto regionale per la programmazione economica della Toscana dalla stessa commissione, nel quadro degli incarichi di ricerca che annualmente il Consiglio regionale può conferire a Irpet.
“Il nostro rapporto intende mettere in evidenza, oltre alle criticità già note, le potenzialità di queste aree e sfatare alcuni falsi miti, quali la completa deindustrializzazione assoluta di questi territori, evidenziando l’importanza delle presenze manifatturiere, evocando tre strategie di fondo: difendere per quanto possibile questa presenza manifatturiera, portare lo sviluppo e avere infrastrutturazione adeguata, cercare spunti che richiamassero l’idea che questi territori possono svolgere un ruolo complementare con il motore tradizionale dell’economia toscana”.
Il rapporto è stato illustrato alla commissione dalla dirigente Irpet, Sabrina Iommi. Suddivide il territorio oggetto di analisi, considerando anche le cosiddette Aree Snai, che partecipano al ciclo di programmazione nazionale per le Aree interne (in Toscana sono sei: “Casentino Valtiberina”; “Garfagnana Lunigiana Media valle del Serchio Appennino Pistoiese”; “Valdarno Valdisieve Mugello Val Bisenzio”; e nella Toscana centro-meridionale, “Amiata Grossetana Amiata Val d’Orcia Colline del Fiora”; “Alta Valdera Alta Val di Cecina Colline Metallifere Val di Merse”; “Valdichiana Senese”), e quelle intermedie e riunendole in tre gruppi, “aree nord, aree sud e aree intermedie”. Nel complesso, costituiscono il 17 per cento al Pil regionale, coprono il 70 per cento del territorio e contengono un quarto della popolazione toscana.
Accomunati da una “sostanziale perifericità, si distinguono per significative differenze, sia dal punto di vista demografico che economico”. Quelle a Nord “sono più spiccatamente montane, appenniniche, però anche più vicine alle aree maggiormente urbanizzate. La posizione rispetto ai poli urbani ha un ruolo nel determinare il destino di queste aree. Sono molto boscate e presentano alcuni insediamenti produttivi di stampo prettamente manifatturiero”. Le aree a Sud sono prevalentemente più collinari e più lontane dai grandi centri abitati. “Sono scarsamente popolate e caratterizzate da un ruolo centrale dell’agricoltura, che interagisce moltissimo con lo sviluppo turistico. Opportunità di sviluppo per filiera agroalimentare e turismo verde”. L’ultimo gruppo, quello delle aree intermedie, riguarda aree molto meno disagiate e molto popolate: il Valdarno aretino, a forte specializzazione manifatturiera; la costa e isole e l’area del Chianti, più a economia agri-turistica. “Il destino di tutte queste aree dipende da due fattori: la dotazione di capitale naturale e competenze; la posizione meno più o remota dai grandi poli urbani”. Elemento di ottimismo è dato dal fatto che “siamo in una fase di grande cambiamento del modello di sviluppo, con un’ampia gamma di politiche di sviluppo (produzione e consumo). Le grandi transizioni – verde, digitale, demografica – aprono nuove sfide e opportunità. Sarà cruciale favorire nuove opportunità di lavoro e sostenere la creazione di piccole agglomerazioni locali (piccoli poli), in modo da garantire il maggior ritorno degli investimenti”.
Il rapporto si diffonde nell’analisi dell’accessibilità fisica e immateriale, in particolare quella digitale; la dinamica demografica, con una riduzione della popolazione che è cominciata nel 2012 e vede le aree interne (non le aree intermedie) registrare variazioni negative più intense. “L’attrazione di flussi migratori in ingresso è la sola via per compensare il trend negativo (occorrerà rendersi più attrattivi)”. Il sistema produttivo vede diverse specializzazioni, con un ruolo spiccato della manifattura: “la manifattura paga il 20 per cento in più in termini di retribuzioni, a parità dimensionale”. Nel 2023, il 68 per cento delle imprese ha dichiarato che la principale criticità riguarda invece la difficoltà di reperire manodopera. Quanto al turismo, “le Aree del sud segnano il risultato di gran lunga migliore”. Riflessioni sull’evoluzione del turismo: “si segnala il diffondersi di forme di turismo più attente alla qualità; c’è la necessità di investimenti per l’ammodernamento delle strutture ricettive. Si ritiene utile sfruttare la spinta delle città d’arte per attrarre turisti anche nelle aree più periferiche”.
Quanto all’istruzione e formazione, le aree interne sono spesso caratterizzate da scuole di piccole dimensioni (fenomeno delle pluriclassi; insegnanti precari con alta mobilità); rischio di apprendimenti più bassi rispetto alla media regionale e competenze insufficienti; maggiore incidenza di scelte a favore di percorsi professionalizzanti; minore la probabilità di iscrizione all’Università. “L’orientamento a una formazione di tipo più professionalizzante potrebbe portare a potenziare questo tipo di offerta e formazione”. Partecipazione al mercato del lavoro: laddove è più difficile trovare lavoro si accentua lo scoraggiamento delle donne; anche i giovani ‘Neet’.
In generale le differenze di reddito sono meno accentuate nelle aree interne rispetto ai centri urbani, con redditi mediamente più bassi e un livello di disuguaglianza abbastanza contenuto. Se si calcola il numero di anni necessari per acquistare un’abitazione in base al reddito, “le aree con gli indicatori peggiori sono quelle molto turistiche, Costa Sud e Isole, con una debolezza del mercato lavoro, bassi redditi, alti valori immobiliari e con alto costo della vita”.
Gli investimenti, ora molto più consistenti grazie ai fondi disponibili, rappresentano un’opportunità. “Gli investimenti specifici per le aree Snai sono anche occasioni importanti”. Gli scenari evolutivi prevedono la necessità di riuscire a inserire queste aree nella più generale evoluzione del contesto economico”.
La sintesi del direttore Sciclone è che “non esiste una categoria unica delle aree interne. Il disegno delle politiche deve inevitabilmente coinvolgere il livello locale, conoscere la specificità delle caratteristiche. Sarà utile aprire un confronto a livello locale per valutare rispetto ai due assetti: quanto difendere e rafforzare l’esistente e quanto trovare cose nuove. Ci sono aree vocate alla produzione di energie rinnovabili, ma questo può avere implicazioni non banali sulla produzione agricola. Le aree interne non sono solo turismo e agricoltura, ma ci sono ancora diffuse e importanti attività manifatturiere, di cui vale la pena valutare la capacità di preservare e rafforzare la presenza. Servono specializzazioni produttive e specializzazioni formative, di qui la possibilità di rafforzare l’istruzione professionalizzante”.
Il rapporto ha riscosso il giudizio positivo di tutti i commissari. Luciana Bartolini (Lega) lo giudica “molto approfondito: ha toccato i tanti temi che spesso trattiamo in commissione. Giusto che si parli di scuole a indirizzo professionalizzante, andare a fare l’Università da queste aree può essere penalizzante. Si potrebbe però fare qualcosa anche per far andare i ragazzi all’Università, anche perché chi ci va, partendo da queste zone, può tornare più volentieri”.
Anche Mario Puppa (Pd) rivolge i “complimenti a Irpet, il quadro conferma questioni che affrontiamo ogni giorno, la fotografia si sovrappone in maniera abbastanza conforme alle nostre conoscenze. La parte relativa alle possibilità di sviluppo, è molto stimolante. Ci sono nuove opportunità legate a sviluppo tecnologico (digitalizzazione) e allo sviluppo culturale. Alcune aree sono assommate in questo rapporto, componendo la geografia con i confini dei Comuni in maniera molto ampia: Garfagnana (verso agricoltura di qualità) e Media valle (vocazione manifatturiera molto spinta) hanno però caratteristiche ben diverse e ci sono differenziazioni evidenti. L’altitudine, ad esempio, influenza l’accesso ai servizi e alle linee di trasporto. Sono molto d’accordo sulle proposte. Dobbiamo connettere i vari aspetti a quello della formazione (istituti di alta formazione connessi alla vocazione del territorio) e quello della manifattura, legata spesso a elementi di affetto per quel territorio”.
Secondo Elena Rosignoli (Pd), sarebbe “interessante continuare a monitorare gli effetti degli investimenti per capire risultati, indirizzi e destinazioni. Sono d’accordo sui percorsi professionalizzanti. La Toscana ha una buona rete di Its e non tutte le aree sono ben attrezzate, a volte è difficile raggiungere gli Its esistenti. Con la quinta commissione potremmo avviare ulteriore riflessione”. Elisa Tozzi (FdI) si associa ai ringraziamenti, “il quadro è esaustivo”, e auspica un “monitoraggio e valutazione di quello che è stato fatto fino ad oggi, sicuramente le risorse ci sono, ci sono i canali di finanziamento. Occorre vedere cosa è stato realizzato in termini di investimenti e politiche istruzione e formazione. Dovremo capire se le azioni siano state efficaci o meno, comprendere meglio che tipo di politiche vengono messe a terra. Se con il Pnrr, che ha una specifica voce, non colmiamo il gap della digitalizzazione è chiaro che le imprese non si insediano, non si crea lavoro e si va verso lo spopolamento. Un incentivo a stare sul territorio potrebbe arrivare dal Fondo sociale europeo. Mi è molto piaciuto riferimento ai piccoli poli di sviluppo. È un ulteriore passo per elaborare atti d’indirizzo”.
Il presidente Marco Niccolai si è detto colpito dalla “suddivisione con le tre macro aree: può risultare utile. Ho apprezzato molto le sottolineature sulla questione del manifatturiero. Quanto al tema del ricambio generazionale, che riguarda tutto il tessuto produttivo, è utile capire quanto incide e se si ripercuote di più su queste aree. Apprezzabile anche il riferimento al turismo, che non può essere considerato alternativo, così come il tema dell’efficientamento energetico, che non può essere alternativo al manifatturiero. L’aspetto dell’istruzione è infine molto presente: dai poli tecnici-professionali, all’integrazione tra Its e istituti superiori”. Il presidente ha chiesto un approfondimento sul tema dell’istruzione e ai riferimenti al modello di scuola senza zaino, presenti nel rapporto.
“La riflessione in atto relativa a queste aree con scarsa presenza di bambini (di qui le pluriclassi) – ha risposto Iommi – è se conviene continuare a difendere piccole scuole nelle quali l’offerta e la possibilità d’interazione è molto limitata o creare poli un po’ più grande con aumento di offerta dei servizi (mensa, insegnamenti aggiuntivi). Sulla digitalizzazione: in queste aree, dove diventa molto oneroso raggiungere la scuola del polo più vicino, può essere utile mantenere un piccolo presidio e connetterlo con altri poli. Sperimentare un’offerta formativa più vicina alle specializzazioni produttive, con collaborazione tra istituzioni pubbliche e imprese”.
Vincenzo Ceccarelli (Pd) ha chiesto “se non sarebbe possibile avere rilevamento sulle performance successive dei bambini e delle bambine che fanno le scuole senza zaino e frequentano le pluriclassi”.