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Amnesty International accusa Israele di “Apartheid”, chiede embargo ONU di armi verso Tel Aviv

Amnesty International ha pubblicato oggi un suo rapporto riguardante il comportamento dello stato israeliano nei confronti della popolazione palestinese nel quale accusa Israele di “Apartheid”, afferma Amnesty nella notizia pubblicata sul proprio sito:

“Le autorità israeliane devono essere chiamate a rispondere per aver commesso il crimine di apartheid contro i palestinesi, ha affermato oggi Amnesty International in un nuovo rapporto schiacciante. L’indagine descrive in dettaglio come Israele applichi un sistema di oppressione e dominio contro il popolo palestinese ovunque abbia il controllo sui suoi diritti. Ciò include i palestinesi che vivono in Israele e nei Territori Palestinesi Occupati (OPT), così come i rifugiati sfollati in altri paesi.

Il rapporto completo, L’apartheid israeliano contro i palestinesi: sistema crudele di dominio e crimine contro l’umanità, illustra come massicci sequestri di terre e proprietà palestinesi, uccisioni illegali, trasferimenti forzati, drastiche restrizioni ai movimenti e negazione della nazionalità e della cittadinanza ai palestinesi siano tutti fattori componenti di un sistema che, ai sensi del diritto internazionale, equivale all’apartheid. Questo sistema è mantenuto dalle violazioni che Amnesty International ha ritenuto costituire l’apartheid come un crimine contro l’umanità, come definito nello Statuto di Roma e nella Convenzione sull’apartheid.

Amnesty International chiede alla Corte penale internazionale (CPI) di prendere in considerazione il crimine di apartheid nella sua attuale indagine negli OPT e chiede a tutti gli stati di esercitare la giurisdizione universale per assicurare alla giustizia gli autori di crimini di apartheid.

L’uccisione illegale di manifestanti palestinesi è forse l’illustrazione più chiara di come le autorità israeliane utilizzino atti proibiti per mantenere lo status quo. Nel 2018, i palestinesi a Gaza hanno iniziato a tenere proteste settimanali lungo il confine con Israele, chiedendo il diritto al ritorno dei rifugiati e la fine del blocco. Prima ancora che iniziassero le proteste, alti funzionari israeliani hanno avvertito che i palestinesi che si avvicinavano al muro sarebbero stati fucilati. Entro la fine del 2019, le forze israeliane avevano ucciso 214 civili, inclusi 46 bambini.

L’articolo continua affermando che Amnesty chiede l’imposizione di un embargo di armi nei confronti dello stato israeliano da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite:

Alla luce delle sistematiche uccisioni illegali di palestinesi documentate nel suo rapporto, Amnesty International chiede anche al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di imporre un embargo globale sulle armi a Israele. Questo dovrebbe coprire tutte le armi e le munizioni, nonché le attrezzature delle forze dell’ordine, date le migliaia di civili palestinesi che sono stati uccisi illegalmente dalle forze israeliane. Il Consiglio di Sicurezza dovrebbe anche imporre sanzioni mirate, come il congelamento dei beni, contro i funzionari israeliani più coinvolti nel crimine di apartheid.

Agnès Callamard, Segretaria Generale di Amnesty International, dichiara “Il nostro rapporto rivela la reale portata del regime di apartheid di Israele. Sia che vivano a Gaza, a Gerusalemme est e nel resto della Cisgiordania, o nello stesso Israele, i palestinesi sono trattati come un gruppo razziale inferiore e sistematicamente privati dei loro diritti. Abbiamo scoperto che le crudeli politiche di segregazione, espropriazione ed esclusione di Israele in tutti i territori sotto il suo controllo equivalgono chiaramente all’apartheid. La comunità internazionale ha l’obbligo di agire

Amnesty afferma inoltre che tale oppressione sistematica ha origine in preoccupazioni rivolte al mantenimento di una egemonia demografica ebraica nel territorio da parte dei governi israeliani fin dal 1948:

“Dalla sua istituzione nel 1948, Israele ha perseguito una politica volta a stabilire e poi mantenere una maggioranza demografica ebraica e massimizzare il controllo sulla terra e sulle risorse a beneficio degli ebrei israeliani. Nel 1967 Israele ha esteso questa politica alla Cisgiordania e alla Striscia di Gaza. Oggi, tutti i territori controllati da Israele continuano ad essere amministrati con lo scopo di avvantaggiare gli ebrei israeliani a scapito dei palestinesi, mentre continuano ad essere esclusi i profughi palestinesi.

Amnesty International riconosce che gli ebrei, come i palestinesi, rivendicano il diritto all’autodeterminazione e non sfida il desiderio di Israele di essere una casa per gli ebrei. Allo stesso modo, non considera che Israele etichettandosi come “Stato ebraico” indichi di per sé l’intenzione di opprimere e dominare.

Tuttavia, il rapporto di Amnesty International mostra che i successivi governi israeliani hanno considerato i palestinesi una minaccia demografica e imposto misure per controllare e ridurre la loro presenza e l’accesso alla terra in Israele e nei Territori Occupati. Questi obiettivi demografici sono ben illustrati dai piani ufficiali per “giudaizzare” le aree di Israele e della Cisgiordania, inclusa Gerusalemme est, che continuano a mettere migliaia di palestinesi a rischio di trasferimento forzato.”

Questo rapporto da parte di Amnesty segue a due altri rapporti simili pubblicati recentemente da altre organizzazioni per i diritti umani: quello dell’organizzazione israeliana per i diritti umani B’Tselem pubblicato il 12 gennaio 2021 e quello di Human Rights Watch uscito il 27 aprile 2021.

Da parte sua il governo israeliano ancora prima della sua pubblicazione aveva definito il rapporto di Amnesty “parziale e falso” e aveva chiesto a Amnesty International di non pubblicarlo. Il portavoce del Ministero degli Esteri israeliano il giorno precedente la pubblicazione del rapporto ha dichiarato che Amnesty stava usando “doppi standard e demonizzazione per delegittimare l’esistenza di Israele come patria del popolo ebraico“. In una dichiarazione a parte il Ministero degli Esteri israeliano ha dichiarato “Queste sono le componenti esatte di cui è fatto l’antisemitismo moderno“.

Le accuse di antisemitismo da parte israeliana verso critiche e accuse al comportamento dello stato israeliano verso i palestinesi tuttavia hanno recentemente portato molti a affermare come il termine “antisemitismo” stia venendo strumentalizzato al punto da rischiare di perdere di reale significato nel discorso pubblico.

Un esempio recente che ha portato molti a fare questa osservazione è il caso dell’attrice Emma Watson che è stata accusata di antisemitismo dall’ex ambasciatore israeliano alle Nazioni unite, Danny Davon, per aver postato sul proprio profilo instagram una foto di uno striscione pro-palestinese con la scritta: “La solidarietà è un verbo”, accompagnando il tutto con una citazione della studiosa femminista Sara Ahmed:

La solidarietà non suppone che le nostre lotte siano le stesse lotte, o che il nostro dolore sia lo stesso dolore, o che la nostra speranza sia per lo stesso futuro. Solidarietà comporta l’impegno, e il lavoro, così come il riconoscimento che anche se non abbiamo gli stessi sentimenti, o le stesse vite, o gli stessi corpi, viviamo su un terreno comune.

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Il post di Emma Watson su Instagram

A sostegno della Watson si è schierato un numero consistente, oltre 40, di celebrità del mondo del cinema.

Gli Stati Uniti hanno dichiarato, come riporta la CNN, attraverso il portavoce del Dipartimento di Stato Ned Price che “descrivere Israele come uno stato di apartheid “non era un linguaggio che abbiamo usato, né lo useremmo mai“. Price ha aggiunto che l’Amministrazione non avrebbe commentato in modo più completo fino a quando non avesse avuto la possibilità di leggere il rapporto per intero.”.

Immagine d’apertura: La Segretaria Generale di Amnesty International Agnès Callamard, in una foto del luglio 2019 alla Conferenza Globale sulla libertà dei media

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