Il 31 dicembre del 192 d.C l’imperatore romano Commodo viene assassinato in un complotto a opera di alcuni senatori, pretoriani e della sua amante Marcia, finendo strangolato dal suo maestro di lotta, l’ex gladiatore Narcisso.
Commodo, figlio del regnante imperatore Marco Aurelio, nacque il 161 d.C come Lucio Elio Aurelio Commodo a Lanuvio, l’antica Lanuvium vicino a Roma. Egli ricevette una buona istruzione nelle mani di quella che Marco Aurelio chiamò “un’abbondanza di buoni maestri“. Marco Aurelio è stato il primo imperatore dopo Vespasiano ad avere un figlio proprio, e sembra fosse sua ferma intenzione che Commodo divenisse il suo erede, nonostante da molto tempo gli imperatori, spesso senza figli maschi adulti, adottassero i loro eredi. Del resto Commodo fu l’unico dei molti figli maschi di Marco Aurelio a sopravvivere al padre.
Commodo regnò assieme al padre tra il 177 e il 180, e durante questo periodo secondo le fonti non commise crudeltà o stranezze. In seguito alla morte del padre nel 180 tuttavia, egli, assicuratosi il consenso presso la plebe e l’esercito tramite elargizioni, iniziò in breve tempo a governare da monarca assoluto, guadagnandosi l’ostilità del Senato. Assillato dal pensiero che tutti cospirassero contro di lui, e molto spesso questi pensieri erano fondati, istituì presto un documento ufficiale, da lui redatto ogni giorno, denominato lista di proscrizione: una serie di persone sospette, più o meno fondatamente, veniva poi bandita o giustiziata.
Commodo aveva la passione per i combattimenti gladiatori e quelli contro le bestie, al punto da scendere egli stesso nell’arena vestito da gladiatore, come l’Ercole romano indossando una pelle di leone e facendosi addestrare da Narcisso, uno dei più forti in quei tempi nei combattimenti gladiatori. Partecipò a 735 giochi, pretendendo di essere regolarmente registrato e pagato come un normale gladiatore, ma naturalmente nessuno poteva batterlo, anche grazie all’assegnazione di armi smussate e scudi manomessi; tutti i prescelti finivano inesorabilmente sconfitti e chiunque veniva a conoscenza del trucco era inserito con un documento ufficiale in una lista di proscrizione e quindi bandito o giustiziato. I suoi eccessi non si limitavano a questo “hobby”. Nel 190 una parte della città di Roma fu distrutta da un incendio e Commodo colse l’opportunità per “rifondarla”, chiamandola in suo onore Colonia Commodiana. Non si fermò lì. Rinominò a suo nome anche il Senato, la flotta e i mesi del calendario.
Nel 192, di fronte al crescente malcontento per gli eccessi di Commodo, il prefetto del Pretorio Quinto Emilio Leto e il cubicularius Ecletto, temendo per la propria vita dopo essersi opposti alle ultime stravaganze dell’imperatore ed essere stati inseriti in una lista di proscrizione, organizzarono una congiura con Cassio Dione e numerosi altri senatori, anch’essi esasperati dallo stato delle cose. Venne ben presto coinvolta la concubina Marcia, favorita di Commodo di probabile fede cristiana (aveva spinto Commodo a interrompere le persecuzioni e a graziare papa Vittore I), cosicché, approfittando della sua prossimità al principe, si riuscisse ad avvelenarlo in modo da ucciderlo segretamente, in maniera non plateale o cruenta e senza uno scontro fisico.
L’attentato venne messo in atto il 31 dicembre 192, vigilia dell’insediamento dei nuovi consoli, durante un banchetto gli venne avvelenato il vino. L’imperatore, però, credendo di sentirsi appesantito dal pasto si ritirò nei suoi appartamenti e chiese ai domestici di aiutarlo a vomitare, salvandosi così inconsapevolmente. A quel punto, essendo fallito l’avvelenamento e temendo di potere essere presto scoperti, i congiurati si rivolsero al campione dei gladiatori Narcisso, istruttore personale dell’imperatore, consegnandogli una spada; il gladiatore, spinto dalla promessa di una ricca ricompensa e dalla rivalsa personale per essere stato inserito in una lista di proscrizione, uccise quella sera stessa Commodo nei bagni, forse strangolandolo o trafiggendolo. Nell’anno seguente Narcisso venne giustiziato come assassino dell’imperatore durante la guerra civile, e Marcia condannata a morte dal nuovo imperatore. Cassio Dione invece si salvò e scrisse uno dei pochissimi resoconti della vicenda.
Bibliografia e fonti varie
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- Albino Garzetti, L’Impero da Tiberio agli Antonini, Cappelli, Bologna, 1960 (v. pag. 551 e segg.: Commodo)
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- Santo Mazzarino, L’Impero romano, tre vol., Laterza, Roma-Bari, 1973 e 1976 (v. vol. II); riediz. (due vol.): 1984 e successive rist. (v. vol. I)
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