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Berzan

In questa fredda notte di giugno, un raggio di luna, lama argentea che fende questo nero abisso, raggiunge i miei occhi pieni di acqua.

Il mio corpo, ormai, è gonfio.

Vorrei che quei piccoli morsi sulla mia pelle fossero di Hana e non dei pesciolini colorati che mi vorticano intorno.

Dieci metri di acqua schiacciano questo involucro di uomo ormai inutile.

L’acqua nei miei occhi si mescola con le lacrime non versate, con le gocce di pioggia mai sentite sulla pelle, con i sussurri di Hana che non respirerò più.

Sento freddo, tanto.

Le tenebre che mi circondano offuscano e cancellano anche i miei ricordi. No. Quelli non li ho lasciati andare. É stato solo un attimo di disperazione, ma sono ancora qui con me, nel mio cuore fermo, nella mia mente incartapecorita, nei miei occhi vacui e fissi. Sono l’ultimo raggio di una esistenza ormai persa nella oscurità di questo sepolcro liquido, pieno di vita e di colori a me estranei.

I filamenti gialli degli anemoni che mi fanno da corona in questa opprimente fossa si muovono al ritmo delle maree e del flusso delle onde. Mi rammentano le lunghe chiacchierate serali con Hana, i suoi fianchi e i suoi seni sollecitati delle mie ormai smarrite pulsioni, i suoi sospiri accordati con la mia passione.

Amedeo Cappella

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