«C’è stata un’esplosione di #test #sierologici» per il #coronavirus Sars-CoV-2, «ed è una cosa da una parte buona e dall’altra meno buona, anche perché alcuni di questi test hanno un’attendibilità molto ridotta». Parola di Luca Richeldi, primario di Pneumologia della Fondazione Policlinico Gemelli Irccs di Roma e componente del Comitato tecnico-scientifico sul coronavirus. «Il problema dei test diagnostici – ha spiegato – è che nessuno è accurato al 100%, ha una certa percentuale di falsi positivi e negativi. Si cerca di fare con il meglio che c’è. E il meglio che c’è sono alcuni test che sono arrivati in tecnica Elisa o Clia e sono test affidabili».
Cosa succederà se sottoponendosi a un test affidabile questo rileva la presenza di anticorpi Igg per Sars-CoV-2? Si dovrà fare un tampone? «È un protocollo che non c’è ancora – ha fatto notare Richeldi – ma quel test è mirato a vedere se c’è stato un contatto col virus e una risposta immunologica. Quindi non è mirato a vedere se c’è attualmente Rna virale in quell’organismo. Immagino che il grande studio di sieroprevalenza che sta partendo su più di 150mila italiani con uno dei test affidabili ci darà delle risposte in questo senso».
«Con le misure che abbiamo adottato in senso restrittivo, negli ultimi 15 giorni di lockdown abbiamo dimezzato i deceduti e raddoppiato i guariti. Si sono dimezzate anche le persone ricoverate e se guardiamo a un mese fa i numeri sono superiori. La tendenza mensile è che stiamo andando nella direzione giusta – ha proseguito – La diffusione del virus si è rallentata e c’è meno pressione sul servizio sanitario». Inoltre, «oggi vediamo 6 regioni che non riportano decessi per Sars-Cov-2, e 9 regioni con meno di 10 decessi giornalieri», ha aggiunto nella conferenza stampa di ieri alla Protezione civile.
In conferenza stampa Richeldi ha poi spiegato che lo studio pubblicato su Nature, che ha confermato la presenza di anticorpi nei guariti da Covid-19, «è importante perché su questo gruppo di pazienti tutti hanno sviluppato anticorpi. Ci dice poi che nella maggioranza di questi la risposta al virus è sostenuta e ha un misurabile livello all’interno del sangue periferico, sarà quindi certamente in futuro uno strumento come minimo per misurare la diffusione del virus, ma anche sperare che ci sia almeno una temporanea protezione rispetto ad una nuova infezione».
«Non sappiamo quanto dura”» l’immunità al coronavirus Sars-Cov-2 ha puntualizzato il primario. «Certamente lo studio è importante: pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature Medicine, dà risultati molto chiari». Mostra che «su questo gruppo di circa 300 pazienti, nell’arco delle canoniche due o tre settimane tutti sviluppano anticorpi che sono identificabili e misurabili a livello del sangue periferico. Questo è il presupposto per sviluppare un’immunità protettiva. Che lo sia», protettiva, «non è detto».
Fonte AdnKronos