«Mamma, mamma!».
Mi sento chiamare, o meglio, qualcuno sta urlando da camera sua.
Sorrido e penso a come passa il tempo; avevo solo vent’anni quando rimasi incinta e quella peste mi ha scombussolato la vita, in meglio.
Mi alzo dalla sedia a dondolo ed entro in casa, vado verso la cucina e poso nel lavandino la tazza che avevo in mano.
«Mamma, vieni in camera».
Mia figlia è una testa dura, non molla mai.
Salgo le scale e guardo le foto della mia famiglia, con una mano sfioro la mia preferita, la nascita di Alice, ero tanto felice ma contemporaneamente spaventata; ero stata sveglia tutta la notte per paura che le potesse succedere qualcosa.
Vado avanti, continuando a salire le scale, e arrivo davanti alla sua porta. Busso. La porta si apre e la sua figura mi si para davanti, la guardo meglio e trattengo una risata, ha un occhio truccato e l’altro no.
«Mamma, mi devi aiutare, devo andare ad un appuntamento con Lorenzo e non so cosa mettermi. Mi aiuti per favore?».
Mi guarda con quel faccino da cane bastonato, sospiro e mando gli occhi al cielo, annuisco.
«Grande mamma, ti adoro».
Si gira, va verso l’armadio, comincia a frugare tra i vestiti e li butta tutti in terra.
«Alice, ma cosa fai?», le dico urlando.
«Guardo cosa mettermi, no?».
Vado verso l’armadio e… «Ma quanti vestiti ha? E il bello è che li ho comprati tutti io».
Guardo attentamente, scelgo un paio di jeans e una maglietta bianca, li butto sul letto e poi, con il dito, le indico un paio di scarpe da ginnastica. Conosco i gusti di mia figlia: so che le piace mettersi solo il mascara, so che le piace leggere libri di fantascienza e infine so che preferisce ascoltare la musica rock invece di quella moderna e, in questo, ha preso da suo padre.
Mi guarda e mi abbraccia un po’ troppo forte.
«Ti aspetto giù», le dico, mentre vado verso la porta e afferro la maniglia; ma prima di andare mi giro un’ultima volta verso di lei. La vedo specchiarsi; ha un sorriso bellissimo e quegli occhi, gli stessi di suo padre, quegli occhi che mi hanno fatto innamorare.
Scendo le scale e vado a sedermi sul divano a vedere un po’ di televisione.
Non so quanto tempo è passato da quando sono qui, ma a un certo punto sento dei rumori provenire dalle scale, ciò significa che sta scendendo e, infatti, a un certo punto una figura mi copre la visuale, punta i suoi occhi nei miei e mi sorride.
«Sono pronta!», afferma tutta felice, sedendosi sul divano.
«Fra poco dovrebbe arrivare», esclama mentre continuiamo a guardare la televisione.
«Ah, sia chiaro, entro mezzanotte ti voglio a casa». Sbuffa e alza gli occhi al cielo. Indubbiamente in questo ha preso da me, ridacchio e vado verso la cucina per preparare la cena.
Sentiamo suonare il campanello, ci alziamo entrambe dal divano e andiamo verso la porta, afferro la maniglia e apro.
Davanti a me trovo il ragazzo di mia figlia, con un mazzo di fiori. L’ho sempre detto che quel giovane è da sposare.
«Buona sera, signora Finis», regalandomi un sorriso.
«Quante volte ti ho detto di chiamarmi Matilde, Lore!».
«Ok signora Fin… Matilde.», grattandosi la testa imbarazzato.
«Andiamo, Lore, è meglio».
La vedo prendere la giacca e uscire, non saluta nemmeno, ah la gioventù! Sembro mia nonna.
Vado a sistemare la tavola per la cena e aspetto che torni mio marito.
A un certo punto sento la porta aprirsi e richiudersi rapidamente. Mentre prendo i piatti dalla mensola sento due braccia che mi avvolgono da dietro.
«Sai, mi sei mancata».
Sorrido.
«Ma se non mi vedi solo da stamani?».
«Lo so, ma quando non sei con me, è come se mi mancasse l’aria».
Mi batte forte il cuore, accidenti a lui che mi fa ancora questo effetto. Mi giro, gli metto le braccia intorno al collo e lo bacio, è mancato anche a me.
«Ma come siamo dolci oggi», gli dico ridacchiando.
«Se adesso sono così è solo merito tuo», mi dice guardandomi negli occhi.
«Lo so, ti ho salvato», ricambiando lo sguardo.
«E io ho salvato te», mi dice mentre mi abbraccia.
La nostra storia non è stata tutta cuori e fiori, ne abbiamo passate tante. Siamo cresciuti entrambi in America, anche se io sono di origine italiana. I miei avevano deciso di trasferirsi per il fatto che avevano offerto un lavoro a mio padre e, così, ho dovuto ricominciare tutto da capo. È lì che ho conosciuto Cameron. Ci siamo visti per la prima volta a una festa di una nostra amica in comune. Ed è lì che è nato il nostro tormentato amore.
Tormentato per il fatto che il mio ex, quando avevo diciotto anni, mi picchiava e ho iniziato a chiudermi sempre più in me stessa. Stavo sempre da sola, non parlavo con nessuno, ero un’anima tormenta senza una via d’uscita e avevo perso la fiducia negli uomini. È stato difficile fidarmi di Cameron, ma lui ha avuto tanta pazienza con me. Mi ha sopportato, mi ha aiutato a superare le mie paure; quando la notte mi svegliavo per colpa degli incubi, lui si svegliava e mi dondolava come una bambina, finché non mi riaddormentavo.
Cameron, tuttavia, non è sempre stato un ragazzo d’oro. All’età di diciassette anni perse il padre e cadde in depressione. Iniziò a frequentare persone poco affidabili e io avevo paura che gli potesse succedere qualcosa. Piano piano sono riuscita a fargli capire che c’ero io con lui, che poteva contare su di me, per qualsiasi cosa. Lui si è fidato, ha lasciato tutto e dopo la scuola superiore ci siamo trasferiti in Italia. Qui, ho saputo di essere incinta: la nostra vita è cambiata da un giorno all’altro. Fino al settimo mese di gravidanza ho lavorato in un negozio di alimentari per poter pagare l’affitto, mentre Cameron ebbe un’offerta di lavoro per conto di un’agenzia di trasporti. Per il momento andava bene così poi, quando nacque Alice, ci siamo rimboccati le maniche e abbiamo fatto tanti lavori extra per garantire un futuro migliore a nostra figlia, il frutto del nostro amore.
E adesso eccoci qua, lei ora ha già sedici anni. Posso dire che ne abbiamo passate tante, ma il nostro amore ci ha permesso di superare tutto.
Mentre siamo a vedere un film, sentiamo la porta di casa aprirsi e chiudersi con forza e qualcuno salire rapidamente le scale. Sbuffo. Osservo mio marito intento ad alzarsi e ad andare da lei, ma lo fermo: «Cam, vado io».
Lui sospira come se si fosse tolto un peso: «Allora, dato che vai tu da quel mostriciattolo, io vado a letto. Ti aspetto di là».
Sono davanti alla sua porta e sento dei singhiozzi provenire dalla camera, alzo gli occhi al cielo: «Che tutte le forze della natura siano con me!». Mi decido a bussare e sento un «Avanti» bassissimo.
Entro.Vedo la mia bambina seduta sul letto che sta strappando una foto, mi avvicino, mi siedo accanto a lei e guardo i soggetti. Sono lei e Lorenzo, mi si spezza il cuore a vedere quelle lacrime scendere lungo le sue morbide guance.
Le scosto una ciocca di capelli e la metto dietro il suo orecchio, poi le appoggio due dita sotto il mento per guardarla meglio negli occhi.
«Tesoro, cosa è successo?».
«Lorenzo mi ha lasciata», dice continuando a piangere.
«Come mai?».
«Ha visto dei messaggi tra me e Matteo e pensa che lo tradisca».
«Cucciola, tutto passa, sorridi e stai tranquilla che fra un po’ di tempo starai meglio».
«Ma mamma io lo amo», sospira, si calma e mi richiama.
«Mamma ma che cos’è l’amore?».
Bella domanda, ma sapevo cosa risponderle.
«Stai un attimo qui, vado a prendere una cosa».
«Okay».
Mi alzo, vado dentro camera mia e vedo Cameron russare. M’incammino per andare verso l’armadio, apro e afferro in silenzio una scatola. Ritorno da mia figlia e gliela metto davanti agli occhi. Tutta incuriosita la apre. Prende una foto bellissima.
«Siamo io e tuo padre allo zoo. Mi aveva portata per il nostro primo anno insieme, pensa che romantico».
Lei ride, poi prende il mio test di gravidanza e sbarra gli occhi.
«L’hai tenuto veramente?», mi domanda.
«Ovvio, è stato il giorno più bello della mia vita, dopo il parto». Faccio una smorfia ricordandomi quanto fu doloroso partorire. Poi, metto una mano dentro la scatola e afferro dei fiori secchi.
«Vedi questi fiori? Erano in un sentiero, hai presente la storia di Pollicino? Ecco, io li raccoglievo e, alla fine di quel percorso, trovai tuo padre inginocchiato che mi chiedeva di sposarlo. È stato bellissimo! Dopo tutto quello che abbiamo passato, cucciola, c’è l’abbiamo fatta, insieme.
Ricordo bene quel giorno, ero stata tutto il giorno con le mie sorelle, Chiara e Elisa, e nel frattempo, a mia insaputa, papà stava organizzando tutto per farmi la proposta.
Ma ora tesoro ascolta, conosco una poesia di Shakespeare molto bella:
Dolce amore, rianima la tua forza, non sia
il tuo sentire più ottuso di quell’appetito,
che oggi soddisfatto del suo cibo,
domani si riaccende di primitivo ardore.
Sii cosi, amore: anche se oggi appaghi
i tuoi avidi occhi tal che sazi cadano nel sonno,
riaprili ancor domani e non soffocare
l’entusiasmo d’amore in torpore eterno.
Sia questo infelice momento simile a quel mare
che divide le sponde ove due giovani promessi
si recano ogni giorno, così, quando scorgerai
ritornar l’amore, più felice sarà l’incontro.
O sia come l’inverno che tanto colmo di disagi,
rende più prezioso e ambito l’arrivo dell’estate.
Avevo sedici anni quando lessi questa poesia, mi colpì cosi tanto da ricordarmela a memoria.
L’amore, cucciola, è come il mare. Alcune volte può essere calmo e altre volte può essere mosso. È giusto che ci siano i litigi, le discussioni, ma ciò ha un limite. L’amore può essere l’àncora che ti può salvare o un dirupo che ti può far cadere, ma è senza dubbio la cosa più bella che ti possa capitare. La sensazione di essere legata a un’altra persona è bellissima; ti senti completa, serena; ti senti viva.
Non avere paura, combatti, combatti per quello che è tuo. Non essere spaventata, alzati e sorridi, è così che si va avanti: bisogna essere positivi, perché di vita ce n’è solo una, non sprecarla. Combatti per quello in cui credi, sfogati, arrabbiati, ma ricorda: non avere paura.».
La guardo ed è bellissima. Ha gli occhi celesti chiari, i capelli sul castano biondo e una caratteristica che ha preso da entrambi, la statura. Per i suoi sedici anni è altissima. Quando aveva dodici anni la gente le chiedeva che scuola superiore facesse, quando invece frequentava ancora le medie.
Ad un certo punto la porta si apre e si affaccia Cameron.
«Cosa ci fai qui?», gli dico sorridendo.
«Non riuscivo a dormire, vi ho sentito parlare e ho deciso di venire da voi, ma sono rimasto per un momento fuori per non disturbare.», dice mentre si appoggia allo stipite della porta.
«Tranquillo», gli dico, mentre con la mano gli faccio segno di sedersi qui con noi. Così lo osservo staccarsi prontamente dallo stipite e dirigersi dietro di me, avvolgendomi con un abbraccio. Poi lo sento sospirare e punta il suo sguardo su nostra figlia che è intenta a vedere cosa c’è dentro la scatola.
«Sai, Alice, non è facile spiegare che cos’è l’amore perché ogni persona lo vive in maniera differente», si gira un secondo verso di me e poi ripone nuovamente il suo sguardo su di lei.
«Sai non sono stato un ragazzo facile, mio padre morì quando ero un adolescente e mia madre era troppo occupata a stare dietro al lavoro e ai miei fratelli più piccoli. Non sapevo cosa volesse dire avere una famiglia alle spalle. Ero solo, non avevo un appoggio e diventai amico di persone che non erano per niente affidabili. Facevano gare clandestine, spacciavano, io avevo soltanto diciassette anni e non sapevo ancora cosa fosse l’amore. Non sapevo che cosa volesse dire avere qualcuno vicino, finché non incontrai tua madre a quella festa. Era bellissima, mi ricordo ancora com’era vestita. Aveva un vestitino con i fiori, molto primaverile, non certo adatto a una festa. È stato proprio quello che mi colpì cosi tanto: non indossava i tacchi, come tutte le altre ragazze, ma portava un paio di converse bianche. Aveva i capelli raccolti in uno chignon con dei ciuffi che gli cadevano sul viso e quegli occhi, verde marino, m’ipnotizzarono.
Lei era a scherzare con alcuni suoi amici, mentre io tranquillo mi avvicinavo. Quando le fui vicino, tua madre mi vide e abbozzò un sorriso. Me lo ricordo come fosse ieri, non ero sicuro che una ragazza come lei si avvicinasse e cominciasse a parlare in modo così disinvolto con me.
Non se ne poteva più di stare a quella festa, così si decise di andare via.
Si camminò tantissimo, eravamo arrivati in un parco stupendo pieno di fiori, c’eravamo messi su una panchina e abbiamo cominciato a parlare e, quando lei mi chiedeva cose del tipo “Cosa fanno i tuoi di lavoro?”, io mi rabbuiavo ed evitavo di risponderle, ponendole altre domande. Lei se ne accorgeva e con tutta calma, con un sorriso in più, aspettava che fossi pronto per parlarle di quella parte della mia vita.
Tua madre, vedi Alice, mi ha insegnato la cosa più bella di questo mondo e le sarò per sempre riconoscente. È grazie a lei che ho lasciato quel gruppo e mi sono dedicato a costruire il mio futuro. Lei era l’unica cosa di cui ero certo: la volevo accanto a me, volevo addormentarmi con lei, volevo fare la spesa con lei, volevo leggere in sua compagnia, volevo vedere la televisione con lei, volevo ascoltare la musica con lei, volevo viaggiare con lei, volevo sentire la sua risata, volevo baciarla e volevo farci l’amore.
Poi, sei arrivata tu, sai come mi diede la notizia di essere in dolce attesa? Ascolta. Eravamo distesi sul tappeto, circondati da popcorn, marshmallow e tante di quelle schifezze che solo al ricordo mi ritorna mal di pancia. Stavamo guardando Colpa delle Stelle, tua madre aveva la fissa per quel film. Anche tutt’ora, non credere, quando esci con le tue amiche mi costringe a vederlo con lei e, ogni volta, piange. Da quante volte l’ho visto conosco tutte le battute a memoria!».
Si gira verso di me e immediatamente alzo le mani in aria: «Non è colpa mia se quel film mi emoziona così tanto. E, per tua informazione, se non ti piace vederlo, puoi tranquillamente non farlo.».
Lui alza gli occhi al cielo, poi riposa il suo sguardo su di me e continua: «Così, poi, me la farai pagare per due mesi.».
Io gli faccio la linguaccia e lui e mia figlia ridacchiano complici.
«Pesti», dico a bassa voce mentre loro continuano a ridere.
Poi Cam si ricompone e riprende deciso il discorso.
«Dunque si stava guardando il film e, quando misi una mano dentro al secchiello dei popcorn, trovai qualcosa. La tirai fuori ed era un piccolo porta gioie di legno, mi girai verso di lei e vidi che stava tranquillamente guardando il film, come se niente fosse. Ancora a distanza di anni non capisco come abbia fatto a stare così calma. L’aprii e non potei credere ai miei occhi. Era un test di gravidanza e, per di più, positivo! Posai il mio sguardo su di lei e notai che mi stava già guardando. Con le lacrime agli occhi mi disse: «Beh, che dire, avremo un piccolo popcorn!».
Scoppiamo tutti e tre a ridere, mia figlia si gira verso di me e esclama: «Ma davvero mamma?».
E io sorridendole: «Che dovevo dire? Avevamo un pacchetto di popcorn aperto, non sapevo come dirglielo e poi li mangia sempre, sono andata sul sicuro», dico io sorridendo fiera di me stessa.
«Beh, bel modo di dire certe cose!», dice Cameron.
Ridacchio, poi cala il silenzio. Ma non di quelli imbarazzanti, un silenzio confortante, dove tutti e tre stiamo pensando a quello che abbiamo detto fino a quel momento. A interromperlo è Cameron, lo vedo prendere un sospiro, si gira verso sua figlia, la guarda negli occhi e le dice: «Alice, l’amore per me è la persona che hai accanto. Io mi sono innamorato così, come ci si addormenta, piano piano, e poi tutto in una volta.».