Quattro romanzi fa, l’ispettore capo Chen Cao della polizia di Shanghai era andato in vacanza a Wuxi, nota località turistica, dove aveva preso coscienza del grave problema dell’inquinamento cinese. La bella ambientalista Shanshan, oltre ad aprirgli gli occhi, aveva condiviso con lui una passionale notte di cielo e pioggia, delicata metafora erotica cinese.
Nel nuovo romanzo di Qiu Xiaolong, intitolato L’ultimo respiro del Drago (Marsilio, traduzione di Fabio Zucchella, pp. 240, 18 euro), l’inquinamento è cresciuto a velocità galoppante. A Shanghai e a Pechino, le persone devono camminare con le mascherine sulla bocca e cercano di abbellirle come decorazioni floreali. Il partito mescola le carte sui livelli d’attenzione delle polveri sottili, ma Shanshan, oramai moglie di un ricco industriale, sta per diffondere un documentario esplosivo destinato a diventare virale. Al tempo stesso, una serie di omicidi compiuti a cadenza regolare preoccupa il Pcc stesso.
È l’ispettore Chen a doversela vedere con la questione dell’inquinamento, incaricato come al solito dal suo nume tutelare Zhao, vecchio dinosauro del partito, e con l’indagine su quattro morti, tutti ritrovati con una mascherina affianco, aiutato come sempre dal fido collega Yu e dalla moglie Qinqin, divenuta proprietaria di un piccolo ristorante. Ad aiutare Chen provvederanno anche le massime dei Trentasei stratagemmi, notissimo trattato strategico della dinastia Ming.
Come al solito le donne non mancano per quel gran romantico sfortunato di Chen, che trascorrerà le indagini ripensando alla bella poesia scritta per Shanshan sul lago Tai, avvelenato dall’inquinamento, e alla notte passionale trascorsa insieme.
Chen farà di tutto perché il documentario di colei che ora si chiama Yuan Jing arrivi a essere diffuso, mentre un’altra vecchia fiamma, anche lei convolata ad altre nozze, la giornalista Lianping, lo aiuterà indirettamente nelle indagini.
I soliti ingredienti per una gustosa indagine di Chen non mancano, così come le descrizioni degli innumerevoli manicaretti che Chen Cao, anche nei momenti più caldi delle indagini, sa gustare. È lui, del resto, a utilizzare nelle sue comunicazioni un codice cifrato gastronomico.
Gli appuntamenti, ad esempio, si prendono sotto forma di ordinazione di zongzi di riso ripieni di maiale, involtini avvolti in foglie di bambù e bolliti oppure cotti al vapore.
Chen si ritroverà anche a mangiare in un ristorante biologico alla buona, dove i clienti portano loro stessi il cibo da cucinare, incluse pregiate tartarughe selvatiche.
L’onestà porterà ancora una volta Chen sul filo del rasoio, stretto tra correnti del Partito comunista che vogliono cavalcare l’ondata ambientalista e altre che preferiscono i soldi portati dallo sviluppo industriale e si mostrano senza scrupoli. Se Chen continuerà a essere ispettore, lo sapremo solo nel prossimo romanzo.
Barbara Caputo