Comportamento. Un pezzo della mostra

Comportamento. Da domenica al Pecci

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Comportamento. Scoprirlo ritrovando l’arte. A partire dal 7 maggio fino al 24 settembre 2017 al Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci di Prato si tiene il re-enactment del Padiglione Italia della Biennale di Venezia del 1972, o meglio di una sua parte, Comportamento, curata, oggi come allora, da Renato Barilli, che insieme ad Opera di Francesco Arcangeli rappresentava il binomio dialettico centrale in quella edizione. Opera o comportamento era, infatti, il titolo completo della mostra, che poneva la domanda se in futuro l’arte sarebbe ancora stata affidata a dipinti e sculture più o meni tradizionali, oppure si sarebbe espansa nella processualità che gli interventi di molti artisti in quegli anni sembravano preferire.

La mostra Comportamento apre una collaborazione con il Comune di Firenze, accogliendo l’invito di rivolgere l’attenzione all’arte italiana in rapporto alla grande mostra YTALIA. Energia. Pensiero. Bellezza a Forte Belvedere e altri luoghi d’arte fiorentini, per la cura di Sergio Risaliti e con l’organizzazione di Mus.e, che inaugurerà il 2 giugno prossimo.

Più che una ricostruzione filologica di quella parte del padiglione centrale, la mostra intende, da un lato, suggerire il senso dei lavori di artisti che in quel periodo, si affacciavano sul palcoscenico internazionale: Gino De Dominicis, Luciano Fabro, Mario Merz, Germano Olivotto (la cui prematura scomparsa  interruppe la sua ricerca pochi anni dopo), Franco Vaccari. Dall’altro, grazie al lavoro di ricerca compiuto da Giada Pellicari, attraverso fotografie e documenti di archivio, cerca di riportare alla luce le vicende organizzative e critiche di quell’evento. Com’ è noto le polemiche si concentrarono principalmente sul ragazzo con la sindrome di Down esposto, sebbene solo per pochi minuti, dall’allora giovanissimo Gino De Dominicis, innescando pareri contrastanti e causando schieramenti tra loro opposti nella critica dell’epoca.

Furono polemiche determinate più dall’incomprensione dei nuovi fenomeni, contro la nuova arte, provenienti da varie aree della cultura, anche da quelle in apparenza innovatrici ma al fondo reazionarie, che non un’analisi vera e propria di quel fatto. Era la forza provocatoria della realtà, che entrava con tutta la sua irruenza nella dimensione artistica a sorprendere e a lasciare interdetti. Si trattava di una mostra molto coraggiosa e pionieristica, in quanto prima occasione, per un’istituzione pubblica come la Biennale, di affrontare il nodo dei movimenti scaturiti, in Italia come altrove, dalla rivoluzione del ’68, di grande impatto proprio nel settore dell’arte, di cui si giunse a proclamare la morte, se intesa come ricorso ai mezzi tradizionali della pittura, sostituiti dai nuovi media tecnologici propugnati da quella svolta: la fotografia, col suo logico sviluppo nel video, l’installazione di oggetti reali, il ricorso al corpo stesso degli artisti o di loro delegati.
Pensata come un percorso attraverso l’allestimento delle opere che furono originariamente esposte, in combinazione ad altre, invece, similari, la mostra si snoda attraverso quattro sale situate nella parte dell’edificio del Centro Pecci progettato negli anni Ottanta dall’architetto Italo Gamberini. È arricchita da una parte documentaria, comprendente materiale fotografico, articoli, filmati e testi pubblicati in quell’occasione. 

Nel rifacimento di Comportamento sono presenti lavori esemplari come la famosissima e controversa Seconda soluzione di immortalità di Gino di De Dominicis, insieme alla palla, al cubo invisibile e alla pietra che, all’epoca, circondavano il protagonista Paolo Rosa.
Impossibile ricostruire interamente la sala di Luciano Fabro, formata da nove preziosi piedi in vetro di Murano e shantung di seta, di cui si propone un ambiente che intende suggerire, illusoriamente, l’atmosfera dell’opera originale, con proiezioni di fotografie di Ugo Mulas, mentre altri lavori realizzati dallo stesso Fabro rimandano ad alcuni aspetti concettuali di quell’installazione.

In mancanza del Vascello fantasma, la barca con igloo e numeri di Fibonacci andata perduta, la stanza di Mario Merz viene allestita con diverse opere: il famosissimo Object Cache-Toi, del Kunstmuseum di Wolfsburg, igloo riconducibile a quello esposto in origine sull’imbarcazione, e A Real Sum is a Sum of People – Pub George IV, Kentish Town, London, una serie di fotografie accompagnate dalla serie di Fibonacci al neon effettivamente presenti in mostra.
presenti le Sostituzioni di Germano Olivotto, il più sfortunato di quel gruppo di artisti, in quanto una morte prematura interruppe la sua ricerca pochi anni dopo.

Imprescindibile, infine, è anche l’operazione di Franco Vaccari concepita con la cabina photomatic – Esposizione in tempo reale IV – Lascia su queste pareti una traccia fotografica del tuo passaggio che, storicamente, dà l’avvio a pratiche relazionali e narrative.

Sono esposti anche i due video Tentativo di volo di Gino De Dominicis e Lumaca di Mario Merz dalla raccolta Identifications di Gerry Schum.

L’esposizione è accompagnata da un catalogo edito da Silvana Editoriale, contenente un saggio critico del curatore Barilli, oltre al suo testo apparso allora nel catalogo del 1972, e ancora, documenti storici e apparati bio-bibliografici su artisti e opere.

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