I miei nonni materni, nati alla fine dell’Ottocento, mi raccontavano spesso, quand’ero giovanotto, la storia di uno spasimante dei tempi della loro gioventù, che andava a far la serenata sotto le finestre della ragazza amata. Una sera, stanchi di sentire il giovane cantare a squarciagola, il padre e la ragazza stessa, aprirono l’uscio di casa e invitarono il giovane a entrare, per ragionare. Lui restò sorpreso, mise un piede sulla soglia dell’uscio e con l’altro restava sull’aia davanti a casa, incerto sul da farsi. Allora la giovane e il padre lo buttarono fuori e gli chiusero la porta alle spalle, ammonendolo a non tornare più. Morale: stare con un piede sull’uscio e uno sull’aia è pericoloso.
Mi piacerebbe, talvolta, raccontare questo aneddoto a Pierluigi Bersani e agli altri dirigenti della così detta minoranza del Pd, che sembrano sempre indecisi se restare nel partito o andare via. Personalmente condivido tutte le critiche che rivolgono al segretario del partito/presidente del Consiglio, tant’è che ho preso le mie decisioni in tempi non ancora sospetti come quelli attuali, avendo già visto nella leadership una deriva destrorsa che non è compatibile con le mie idee, col mio modo di concepire una sinistra moderna e con le necessità del paese e dell’intera Europa.
Ho sentito, qualche giorno fa, Bersani rispondere alle domande di un conduttore televisivo (ancora non cambio canale quando appare la faccia sorridente dell’uomo di Bettola, perché penso che sia in buona fede e sia una persona per bene in un mondo di lupi) e ha detto cose gravissime, con la sua parlata pacata e chiara: la legge elettorale detta italicum, in combinato disposto con la riforma costituzionale, disegna una repubblica autoritaria; l’abbattimento della tassa sulla casa per tutti favorisce la crescita della disuguaglianza; sulla sanità si sta correndo verso la privatizzazione, che significherà tagliare fuori i poveri da qualsiasi assistenza. C’è bisogno d’altro? Se serve mettiamoci anche la scuola, i diritti dei lavoratori, le pensioni di reversibilità!
Nella stessa intervista, il buon Bersani (ma credo parlasse anche a nome di altri, tra cui Cuperlo e Speranza) ha confermato che non lascerà il Pd, perché è la sua casa e perché non saprebbe dove andare. Sul dove andare ciascuno può avere le idee più varie, ma resto sempre fedele all’antico adagio che dice: meglio soli che male accompagnati; Bertold Brecht disse una volta che non sapendo dove stare si era messo dalla parte del torto.
Sulla casa che sarebbe ancora il Pd ho molti dubbi: non c’è più la casa, il partito si è trasferito nella villa padronale di un ex berlusconiano e temporaneamente Bersani e i suoi sono parcheggiati in una tenda nel giardino, intorno ci sono pericolose latte di benzina. Presto la tenda sarà bruciata e i suoi occupanti buttati fuori e il portone di ferro sprangato. È troppo pericoloso stare a lungo con un piede sull’uscio e uno sull’aia!